2. The Green Line

Fabrizio Napoli
Live, Love, Beirut
Published in
3 min readApr 14, 2013

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La green line, la linea di demarcazione delle fazioni in guerra durante la guerra civile. Un solco largo quanto un'autostrada, costretto tra prime linee di palazzoni di cemento sventrati, crivellati, deformati. Una trincea dell'unica pace possibile in quei giorni, quella senza esseri umani e perciò disabitata e malinconica. Una terra di nessuno dove l'assenza di qualsiasi impronta umana aveva fatto esplodere non ordigni ma una vegetazione coraggiosa e vivace. Questa natura, che non si era lasciata intimorire dal rumore degli spari attorno, aveva proseguito il suo compito quasi si fosse sentita investita di un dovere istituzionale o da una necessità trascendentale. Tra le parti in conflitto si era frapposto un lungo parco urbano di vegetazione fitta e intricata, a suggerire forse che spesso la strada per la pace non è così spianata. Una lingua verde

“... che sulla carta si snodava come un gigantesco serpente, con la testa nel mare, il corpo ripiegato su un immenso territorio, la coda perduta nel cuore del continente.”1

E tutto attorno l’orrore, l’orrore, l’orrore.

La green line della guerra civile segna ancora oggi una discontinuità nel flusso ininterrotto di palazzi e cantieri di grattacieli della città. Ma la natura sembra essersi ritirata per lasciare spazio a detriti di vario genere e elefantiaci progetti di ricostruzione urbanistica. Solo alcuni arbusti ed erbacce sparute sono rimasti a presidiare un'idea di possibile simbiosi con l'ambiente.

Le green line sono oggi diffuse per la città ma in scala infinitesimamente più ridotta. Hanno l'aspetto di qualche decoro floreale sui balconi, giardini privati o piante e alberi agli ultimi piani dei nuovi palazzi del centro città. O di piccole e ostinate imprese di arrampicata tra i palazzi o sfondamenti di recinzioni ad opera di viti americane, ficus e alberi cocciuti. Sono spazi organizzati di contenzione del verde o piccole storie di anarchia naturalistica destinate ad essere brutalmente soppresse qualche giorno. Queste green line spezzettate in più parti e più livelli della città ricordano che separare non è solo una questione di tracciare una linea retta e che le parti da segnare non sono più solo due. La diaspora degli alberi e delle piante è l'immagine più didascalica della frammentazione della società libanese in tanti piccoli giardini di identità non sempre facili da delimitare e decifrare.

E poi ci sono le altre green line. Quelle dei check-point dell'esercito sparsi in città come landmark rivestiti non solo di una funzione di controllo del territorio ma di definizione dello stesso. Una toponomastica efficace di immagini del presente che soppianta quella ufficiale delle mappe con i nomi presi in prestito da glorie e tragedie di un passato troppo recente. Linee verdi artificiali di improbabili camouflage fatti di chiazze di colore verde scuro e finti arbusti, con un’ambizione mimetica che non regge nemmeno la prova dello sguardo più distratto. Non è possibile alcuna mimesi a Beirut con i colori di una natura che non ha cittadinanza. Sarebbe da suggerire ad uno di questi gentilissimi e giovani soldati di leva che la migliore soluzione mimetica sarebbe un carrarmato di cemento e divise grigie senza finti rami e foglie. Ma è subito evidente che qui la necessità è opposta: la presenza militare va evidenziata e non camuffata. Come un tratto di Uni-Posca, verde si capisce.

1 Heart of Darnkess, Joseph Conrad

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