3. “Sir?”

Fabrizio Napoli
Live, Love, Beirut
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3 min readApr 14, 2013

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«A che serve Internet?» mi chiede Robert Fisk dopo un sorso del suo terzo Gin & Tonic. Racconta che gliene hanno servito uno a bordo strada mentre osservava frastornato il cadavere del primo ministro Rafiq Hariri dilaniato da una bomba. Cercava di prendere appunti su un taccuino, ovviamente inadatto ad accogliere questo rendiconto dell’orrore; si è avvicinato un cameriere e gli ha chiesto «Vuole qualcosa da bere, signore?» E lui ha trovato solo la compostezza inglese per proferire «Gin & Tonic, grazie».

Ah il Gin & Tonic! La pietra miliare dell’identità britannica, la magnifica sospensione della realtà che si rende necessaria prima di affrontare una dura prova. Quel Gin & Tonic di Robert era come la sigaretta pensosa sulla bocca del meccanico armeno di Mar Mikhael che si appresta a smontare un motore e vuole raccogliersi in concentrazione. Sa che anche lui, in quel momento, potrà essere protagonista della storia, almeno quella del suo piccolo quartiere. Meglio affrontare la solennità con una piccola pausa.

Il cadavere di Hariri che giaceva a bordo strada era uno squarcio fumante nella promessa di futuro per la società libanese. Come il Titanic colpito da una deriva di ghiaccio anarchica e orgogliosa. E anche lì la vita era riuscita ad andare avanti con un ultimo sussulto di dignità e orgoglio. L'orchestra suonava sul ponte mentre la nave si inabissava. Come questo signore di mezz'età del Kent, ora di fronte a me, sorseggiava il suo Gin & Tonic osservando cadaveri fumanti e camerieri mutilati. E anche nel suo bicchiere c'erano pezzi di ghiaccio alla deriva mentre il Libano affondava senza speranza.

A che serve Internet, mr. Fisk? Non lo so più neanche io. È un insieme di piccoli iceberg alla deriva; ogni tanto qualcuno impatta con qualcun altro, fa un gran rumore e la gente è contenta. Forse è più facile rispondere cos'è il medio oriente, mr. Fisk. Continua a bere il tuo Gin & Tonic, Robert non ti stai perdendo nulla.

Mi racconta del suo recente matrimonio con una giovane e bella attrice Afghana. Ha gli occhi che gli brillano, Robert, della stessa luce fenicia che irrora le rovine di Byblos. Un bagliore di operosità e voglia di vivere che lo ha inevitabilmente contagiato. La moglie giovane e una bella casa con affaccio sulla corniche. In attesa del prossimo Titanic da raccontare meglio guardare il mare. Bravo Mr. Fisk, hai preso anche tu una fetta del sogno libanese. Avanti il prossimo, ce n'è per tutti.

Mi mette in guardia dalla retorica del “Moving forward” che tanto appassiona i burocrati occidentali alle prese con l'angoscia di dare una prospettiva stabile a questo paese. Gli executive delle diplomazie europee che disegnano road map improbabili per il medio oriente. Una cartografia napoleonica di eventi e cose al posto giusto, boulevard di buone azioni e intenzioni che devono accadere negli spazi e nei tempi designati. Non capiscono che quì la storia e il presente marciano al ritmo dei loro tamburi. E poi i giovani expat della buona borghesia europea che vogliono salvare il mondo mentre il giardino dorato della UE appassisce lentamente e loro trangugiano drink a buon prezzo nei bar più cool di Gemmayze. Tutti con un titolo altisonante appena sfornato da qualche corridoio del palazzo di travertino della FAO a Roma o qualche ufficio vetro e acciaio di Bruxelles o Ginevra. “Moving forward”. Non avete capito niente giovanotti. Il Libano non vuole andare avanti, vuole andare in alto.

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