Andrea Malizia e Luca Leonardini alla Rotonda di Ardenza
Con Andrea Malizia alla Rotonda di Ardenza

Al cuore della ricerca per capire l’impatto delle neuroscienze sul business

Luca Leonardini
Livorno 2020
Published in
10 min readSep 11, 2019

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Intervista con Andrea Patricelli Malizia, Direttore Operativo del Laboratorio di Neuroscienze di Intesa Sanpaolo Innovation Center presso la Scuola IMT Alti Studi Lucca.

Andrea Malizia, livornese, è il direttore operativo di un laboratorio di neuroscienze applicate a Lucca. Da sempre Andrea è animato da una grande curiosità che stimola e alimenta il suo spirito di esploratore: da piccolo si trattava di esplorare i confini della strada, poi quelli del quartiere per finire con quelli della città. Da adulto l’esplorazione è continuata — e continua — in modo olistico su percorsi di studio apparentemente lontani, resi complementari e interconnessi da un solido approccio scientifico multidisciplinare. Da questo breve ma intenso incontro, emerge che nella vita di Andrea, come in quella di ogni innovatore, l’esplorazione è la condizione per giungere all’innovazione:

“non c’è innovazione senza esplorazione”.

Da livornese e da cittadino del mondo, sogna una Livorno più consapevole delle sue potenzialità, più vicina alle sue radici e per questo più coraggiosa, più aperta al cambiamento.

Cosa ti ha appassionato quando eri piccolo?
Come tutti i bambini cresciuti nella zona di San Jacopo e di Villa Fabbricotti, ci piaceva vivere all’aria aperta, esplorare la zona verde incolta tra via Goito e via Giovanni da Verrazzano, la costa tra i Pancaldi e i Fiume, la villa Fabbricotti. Praticamente abitavamo per strada, quella era la nostra casa. Vivere all’aria aperta ha sempre sviluppato la curiosità delle persone, l’apertura mentale necessaria per scoprire, imparare a conoscere e a relazionarsi con l’ambiente esterno.

Ancora oggi racconto ai miei figli di quando a 10 anni con gli amici arrivammo fino a Montenero in bicicletta con le prime BMX: fu un’avventura, un’esplorazione continua, un’esperienza unica, qualcosa che molti ragazzi di oggi non hanno la libertà di vivere. Per questo sono grato ai miei genitori per avermi sempre lasciato libero di esplorare, esperienze che alla lunga si sono rivelate preziose per lo sviluppo della mia vita professionale.

L’esplorazione è quello strumento che soddisfa la curiosità, il nostro desiderio di scoprire e di conquistare il sapere. Viene da dire che

non c’è innovazione senza esplorazione.

L’esplorazione ci contraddistingue come esseri umani e anche quando non porta risultati attesi, il metodo empirico di per sé porta valore alla nostra crescita intellettuale.

Quali studi hai fatto prima dell’università?
Ho frequentato e mi sono diplomato presso l’Istituto Tecnico Industriale Statale Galileo Galilei di Livorno. Il diploma dell’istituto tecnico era quell’attestato che, se l’università non fosse stata nei miei programmi futuri, poteva darmi la possibilità di trovare lavoro, così decisi di iscrivermi all’ITIS indirizzo Deuterio o chimica industriale.

Qui mi innamorai del laboratorio di analisi e di chimica organica; quello era il luogo che mi ha affascinato maggiormente durante il triennio professionalizzante, mi ha aiutato a crescere senza la paura di sbagliare nel creare, provare e capire. L’esperienza dell’ITIS mi ha insegnato il metodo pratico del laboratorio e a risolvere i problemi in modo logico: un metodo molto valido, applicabile anche nella vita.

Dopo il diploma cosa ha ispirato la scelta dell’indirizzo universitario?
Il laboratorio, l’amore della mia vita, mi ha portato verso la biologia. Mi sono laureato in tecniche di laboratorio biomedico e, dopo qualche anno in cui frequentai Farmacia all’Università di Pisa e Firenze, decisi di laurearmi all’Università di Siena nell’area della biologia molecolare. Dopo aver lasciato l’Italia, completai i miei studi di dottorato (Ph.D.) in medicina traslazionale presso la University College Dublin in Irlanda e fui piacevolmente sorpreso dalle differenze nell’insegnamento e applicazione dei concetti e metodi tra l’università italiana e quella irlandese, o in generale quella anglosassone, che ritrovai nuovamente durante i miei studi per un Master in Business Administration (MBA) alla Northeastern University a Boston, USA.

Hai conseguito un diploma universitario triennale in tecniche di laboratorio biomedico, una laurea in biologia molecolare, un dottorato in medicina traslazionale, un MBA in finanza: qual è il filo rosso che collega queste scelte apparentemente distanti?
Una grande curiosità che ha sempre alimentato quel forte spirito di esploratore che ho dentro. Da meno di due anni coordino un laboratorio di neuroscienze applicate ai contesti aziendali: non esiste un percorso universitario specifico per fare questo tipo di lavoro, ma piuttosto una serie di competenze ed esperienze professionali, insieme ad un interesse multidisciplinare, che rappresentano l’essenza stessa della ricerca. Il percorso di studi che ho seguito nasce dal desiderio di soddisfare la sete di sapere e di conoscenza. Le lauree e il dottorato di ricerca sono serviti appunto ad accrescere la mia conoscenza in generale e in particolare nell’ambito accademico. Il livello di responsabilità attuale prevede che interagisca con una serie di figure interne ed esterne al laboratorio, che abbia una visione concreta del lato finanziario delle mie azioni e decisioni sul ritorno economico degli investimenti: tutto ciò è possibile proprio grazie al mio MBA.

Puoi spiegare il contesto nel quale lavori alla Scuola IMT Alti Studi Lucca?
La Scuola IMT Alti Studi Lucca nasce nel 2005 come scuola di eccellenza ad ordinamento speciale come le sue vicine e più antiche Scuola Normale e Sant’Anna a Pisa, ed ospita poco più di cento studenti dottorandi provenienti da tutto il mondo oltre ad una buon numero di ricercatori e professori.

La Scuola IMT è riconosciuta a livello internazionale per l’approccio di tipo multidisciplinare, che si riconosce nei suoi quattro percorsi di dottorato: Economics, Networks and Business Analytics (ENBA), Computer Science and Systems Engineering (CCSE), Analysis and Management of Cultural Heritage (AMCH) e Cognitive, Computational and Social Neurosciences (CCSN).

I quattro percorsi di studio sono totalmente diversi ma insegnati con un metodo interdisciplinare, creando sinergie tra i diversi curriculum, e realizzando qualcosa di completamente nuovo e apprezzato nel panorama internazionale universitario. L’Innovation Center Lab Neuroscience è il prodotto risultante dalla collaborazione tra Intesa Sanpaolo Innovation Center e la Scuola IMT dove le neuroscienze sono applicate al contesto aziendale e non solo. Il nostro obiettivo è creare un nuovo modello di lavoro cooperativo tra industria e ricerca in un ambito che, pur seguendo i nuovi trend di mercato e le tecnologie in accelerazione esponenziale, non è ancora coperto da grandi players o dalle start-up.

Giardino interno della Scuola IMT Alti Studi Lucca

Per 10 anni hai vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Puoi raccontarci come si è sviluppato questo percorso professionale?
Dopo quattro anni all’Università di Pisa lavorando la mattina presso l’Anatomia Patologica 3a come dipendente ospedaliero e il pomeriggio a supporto della ricerca universitaria, cominciai a cercare qualcosa di più stimolante per la mia carriera. Mi affidai a mia moglie che mi consigliò di cercare possibili offerte di lavoro all’estero, in particolare a Dublino in Irlanda.

Per coincidenza, quello che poi sarebbe diventato il mio mentor all’University College Dublin, stava cercando appunto un manager di laboratorio. Feci il colloquio e, dopo poche settimane, decidemmo di partire per l’Irlanda dove abbiamo vissuto per quattro anni. Sebbene Dublino offrisse molto per una coppia, nel 2009, insieme a nostra figlia, partimmo alla ricerca di una città più adatta alle nostre esigenze. La scelta cadde su Boston in Massachusetts, sia per la vicinanza all’Europa sia per l’offerta che ricevetti come ricercatore presso la Harvard University.

Arrivammo con il visto tipico dei ricercatori per poi rientrare in Italia dopo dieci anni come cittadini americani insieme al nostro secondo figlio. In quei dieci anni ho lavorato all’università e nell’industria farmaceutica come ricercatore, e in seguito consulente nell’ambito di strategie di marketing e corporate.

In un contesto dominato dalle tecnologie in accelerazione esponenziale quali sono le caratteristiche della mentalità vincente?
Facciamo fatica a seguire tutte le tecnologie in accelerazione esponenziale, questo grazie alla riscoperta della complementarità del know-how tra i diversi settori industriali e la ricerca, anche quella universitaria. Un tipico esempio è l’Artificial Intelligence che include varie discipline con l’obiettivo comune di riprodurre attività proprie dell’intelligenza umana.

Ogni giorno sentiamo parlare di nuove soluzioni tecnologiche che ci aiuteranno nelle nostre decisioni e nelle nostre attività quotidiane a lavoro e in famiglia, ma, alla fine, la nostra percezione alla novità è quel filtro che distingue l’utile dal necessario. Difatti ciò che fa la differenza non è tanto la tecnologia in sé, ma soprattutto come ci approcciamo a essa. L’essere open minded, cioè abbattere le resistenze al nuovo e abbracciare la novità, sicuramente è di grande utilità.

Pensi che la tecnologia sia più uno strumento abilitante o che invece sblocchi qualcosa dove la mente non arriva?
Non c’è una linea di demarcazione precisa e netta, per questo l’aspetto dell’utilità concreta, o necessità, è un fattore determinante nella scelta di seguire e adottare una nuova tecnologia o un nuovo dispositivo. La tecnologia in sé può essere considerata il prodotto di una richiesta per soddisfare un bisogno, quindi appunto uno strumento abilitante ma, al tempo stesso, aiuta le persone a pensare oltre al suo semplice utilizzo ed immaginare un possibile mondo di interazione tra l’uomo e la macchina.

Quando sei in giro nel mondo, c’è qualcosa che ti manca della mentalità livornese?
Quello che manca a un Livornese all’estero è la leggerezza, non nel senso di superficialità, quanto piuttosto di spensieratezza, della capacità di ridere della vita, forse anche in maniera un po’ amara qualche volta, ma uscire dalle situazioni sempre di buonumore. In questo senso a Livorno il momento sociale è un momento per alleggerire, sdrammatizzare e dimenticarsi per alcuni minuti dei problemi o degli impegni di lavoro. Basta fermarsi alla terrazza Mascagni o al mercato centrale e subito si riconosce nella folla la battuta facile, l’incontro per caso che si risolve con un “andiamo a bere qualcosa insieme”. Ricordo ancora che quando andavo a cena fuori a Boston, portavo sempre con me biglietti da visita da scambiare con altre persone. La cena con i vicini o con amici, diventava un momento di networking magari utile per il business. La tipica domanda a questi eventi sociali era “Cosa fai nella vita?”. Nessuno mi ha mai fatto questa domanda a Livorno.

Quando torni a Livorno invece cosa ti piacerebbe ritrovare nella tua città di quello che ti piace tanto all’estero?
Mi piacerebbe vedere una maggiore autostima e consapevolezza delle proprie capacità nei nostri concittadini, caratteristiche che invece non fatico a trovare in altre parti d’Italia o altrove all’estero. Purtroppo, noto molto spesso che i livornesi sembrano avviliti, demoralizzati, in particolare quando si tratta della partecipazione sociale, politica o lavorativa, cosa che si riflette anche nella scarsa valorizzazione delle loro capacità e sfortunatamente sui giovani: non ho un’immagine del Livornese particolarmente felice neanche quando è sugli scogli! La città non sta vivendo un periodo di benessere ma penso che il livornese abbia sempre avuto la capacità e l’energia per rimboccarsi le maniche ed essere pronto alle sfide. Il livornese non riesce a vedere il bicchiere mezzo pieno ma, solo quando vuole lui, ha in sé la forza di prendere la bottiglia e riempire tutto il bicchiere.

Se c’è un futuro che sogni per Livorno, qual è?
La città offre, grazie alla sua posizione geografica e alle ottime condizioni climatiche sia nei mesi estivi che quelli invernali, un investimento perfetto per il turismo, il trasporto e il commercio marittimo. Una serie di opportunità su cui la città dovrebbe investire particolarmente. Le radici della città affondano appunto nel periodo in cui Livorno era uno dei principali porti del Mediterraneo.

Penso che pochi livornesi sappiano bene la storia della città (incluso il sottoscritto) ma sono convinto che il futuro di Livorno passi attraverso la riscoperta delle sue radici più autentiche: radici che nascono da quella che è la risorsa principale della costa livornese. Una provincia che si affaccia sul mare, un elemento che ha sempre modellato la natura della nostra costa, gli spiriti dei cittadini nei giorni di libeccio e offerto opportunità sia ai pescherecci sia ai traghetti e agli yacht.

Un futuro su cui la risorsa principale di Livorno può essere sfruttata secondo nuove tecnologie, il centro di biorobotica del Sant’Anna allo Scoglio della Regina è un tipico esempio come anche la rivalorizzazione dell’area degli ex-macelli, oltre naturalmente facilitare l’operatività di alcuni spazi della città affinché questa possa offrire al trasporto e commercio marittimo una reale posizione di valore rispetto agli altri porti del mare Tirreno.

Cosa ci può affrancare da questa idea del “ganzo all’incontrario” per ricollegarci alle nostre radici e agevolare il cambio di mentalità utile al rilancio di Livorno?
Nella mentalità Livornese è fortemente radicata l’idea del “ganzo all’incontrario” o del “chi me lo fa fare?” — ovvero esattamente l’opposto di quello che vedo quando sono all’estero — ma è importante evidenziare che questo non coincide affatto con la storia della nostra città né tanto meno con quella dei nostri antenati. Viviamo ogni giorno elogiando i grandi livornesi che si sono contraddistinti nel mondo (Ciampi, Modigliani, Virzì, Fattori..), dovremmo andare oltre in cui tutti noi possiamo cambiare l’attitudine in “ce la posso fare anch’io”.

I livornesi sono bravi a creare un muro nei confronti di tutto quello che viene dall’esterno, lo guardano sempre in modo molto critico e diffidente. In questo contesto l’insegnamento e la conoscenza della storia delle nostre origini è fondamentale per capire che “ganzo” non è accettare passivamente il trasformarsi del presente in futuro, ma riconoscere di appartenere a una stirpe nata dalle Leggi Livornine, che è stata capace di rinascere e trasformarsi in qualcosa di grande, che nei secoli ha saputo difendere valori universali, creare ricchezza economica, culturale, sociale.

Quali consigli daresti a un giovane che sta per diplomarsi?
Viaggiare, viaggiare, viaggiare. Non solo per divertirsi, ma per imparare. Se può permetterselo, suggerirei a un giovane diplomato di iscriversi ad una università all’estero. In Italia i corsi universitari indirizzano gli studenti ad una formazione teorica accademica decontestualizzata dalla richiesta di mercato in cui le nozioni acquisite diventano utili invece nel loro essere.

A un giovane universitario darei lo stesso consiglio di viaggiare, viaggiare, viaggiare. Lo inviterei a fare un’esperienza professionalizzante post universitaria per scoprire la propria indipendenza e valorizzare le proprie conoscenze con un’esperienza formante. La conoscenza di nuove culture, non come turista, ma come cittadino e la riscoperta di se stessi segue quel percorso da cui abbiamo cominciato: andare, viaggiare ed esplorare richiede l’apertura mentale indispensabile per confrontarsi in modo costruttivo con il mondo.

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Luca Leonardini
Livorno 2020

Business Innovation Architect | ExO Certified Coach Consultant & Trainer | Qualified Innovation Manager | TEDx Organizer | https://www.lucaleonardini.com