Nella sala assaggi presso Le Piantagioni del Caffè con Enrico Meschini.

Le Piantagioni del Caffè, perla rara nella torrefazione di eccellenza a Livorno

Luca Leonardini
Livorno 2020
Published in
9 min readJun 26, 2019

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Intervista con Enrico Meschini, ornitologo per passione, imprenditore di professione.

È possibile costruire il successo di un progetto imprenditoriale partendo dalla consapevolezza di non essere un buon imprenditore e di non essere un buon venditore?

Può sembrare un paradosso, ma in realtà il successo de “Le Piantagioni del Caffè” è costruito facendo leva anche su queste debolezze opportunamente trasformate in due originalissimi punti di forza che caratterizzano tutt’oggi l’anima dell’azienda.

In questo breve incontro oltre a raccontare il percorso del suo originale progetto imprenditoriale, Enrico Meschini spiega come l’approccio scientifico della sua formazione universitaria di ornitologo, sia stato un aiuto determinante nel preparare e nel costruire con perseveranza la strada del successo.

Signor Meschini, quale percorso di studi ha seguito?
Il mio percorso di studi è abbastanza anomalo rispetto ad un percorso normale di studi che fa un imprenditore, sempre ammesso che per fare l’imprenditore in senso stretto sia assolutamente necessario fare uno specifico percorso di studi. Dato e non concesso.

Mi sono laureato in scienze naturali a Pisa con una tesi sperimentale sui meccanismi che regolano l’orientamento degli uccelli, anzi la navigazione, ovvero la capacità che hanno di stabilire un punto prestabilito indipendentemente da dove si trovino.

Poi ho fatto un percorso universitario sempre basato sull’orientamento nel mondo animale. Per alcuni anni ho fatto l’ornitologo professionista e sono stato dipendente del Museo di Storia Naturale di Livorno. Poi sono arrivato all’azienda di famiglia che lavorava nel mondo del caffè già dal 1895 con ottimi risultati.

Cosa ha ispirato il suo interesse, la sua passione per la natura, per gli animali e gli uccelli?
Mio nonno aveva un certo interesse per la natura e in particolare un suo cugino, una persona del 1888 che mi prese a ben volere insegnandomi a catturare gli uccelli a scopo scientifico sulla spiaggia di San Rossore. Diciamo che ho sempre vissuto in un ambiente facilitante e che alla fine mi sono ritrovato a fare l’ornitologo, attività che continuo a svolgere tutt’ora in maniera semi-professionale.

Come è iniziato il suo percorso imprenditoriale?
Non avevo velleità imprenditoriali e sono diventato imprenditore essenzialmente per esigenze familiari all’età di 35 anni. In sostanza mi sono ritrovato a fare l’imprenditore senza volerlo e se devo essere proprio sincero senza averne neppure le capacità. Ancora oggi non credo di essere un buon imprenditore, fermo restando che bisognerebbe capire cos’è un imprenditore visto che oggi si tende a generalizzare molto questa definizione che include attività di tutte le dimensioni.

Per la precisione, in seguito a problemi di relazioni familiari, decisi di cercare un percorso alternativo nel quale mi potessi riconoscere e realizzare. Fu così che iniziai ad aprire le vendite all’estero che negli anni ‘80 non erano considerate interessanti quasi da nessun torrefattore, tanto che la quantità di caffè riesportata dall’Italia non superava il 5%. Questo perché il caffè espresso veniva considerato una bevanda etnica consumata esclusivamente dagli italiani in Italia e dalle comunità italiane all’estero.

Tuttavia notai che qualcosa in quello spazio di mercato stava muovendosi, così presi una decisione in contro tendenza che pochi altri concorrenti avevano avuto il coraggio di percorrere in quel momento e che mi dette ragione, malgrado il parere contrario della famiglia dalla quale mi separai nel 2008.

Iniziai ad esportare caffè consapevole della validità e della difficoltà della mia scelta innovativa. Riconoscendo i miei limiti di venditore, cercai di superarli iniziando a riflettere sulla caratteristica fondamentale del nostro caffè, che per una tradizione impostata da mio nonno, era la buona qualità.

Incominciai, così, a migliorare i prodotti in funzione della qualità e ad assaggiare il caffè con metodo scientifico. Fu un percorso da autodidatta perché a quel tempo non esistevano assaggiatori di caffè, o meglio ve ne erano pochissimi e quei pochi lavoravano tutti per le grandi marche.

Ma non mi persi d’animo e cercai contatti in Italia e all’estero per approfondire le mie conoscenze. Entrai in contatto con operatori e assaggiatori esperti con i quali strinsi rapporti di stima reciproca.

Continuai a specializzarmi e migliorarmi nell’assaggio convinto che se avessi selezionato un prodotto di grande qualità, non avrei fatto fatica a convincere nessuno per comprarlo: presentare, o meglio raccontare qualcosa di eccezionale, sarebbe stata la strategia vincente per supplire alla mia scarsa capacità di vendita. E così fu: sono riuscito a vendere e a creare un certo mercato pur non essendo un venditore.

Qual è stata la formula vincente che vi ha reso unici?
Come abbiamo visto i primi elementi riguardano la conoscenza del prodotto e la sua qualità: ed infatti oltre a specializzarmi nell’assaggio ho coinvolto un’altra persona (ancora oggi mio dipendente) per avere un confronto in più. Inoltre ho approfondito la conoscenza del prodotto per assicurarne una qualità sempre maggiore.

Tuttavia vi è un ulteriore elemento, che costituisce il passaggio fondamentale. Mi resi conto di una lacuna nella conoscenza relativa al produttore e a come viene realmente prodotto il caffè. In questo mi fu utile un cambio di legislazione dei primi anni ’90 che in Brasile consentì ai produttori di esportare liberamente sul mercato senza più essere obbligati a vendere solo ai grandi esportatori. Un fattore che aprì nuove opportunità subito individuate da un gruppo di persone nel quale mi inserii anch’io grazie alla conoscenza con un trader svizzero col quale avevo stretto un rapporto di stima e di amicizia tuttora vivo.

Iniziai a viaggiare sempre di più e questo mi permise di colmare le lacune delle mie conoscenze regalandomi un’intuizione che ha cambiato sostanzialmente il corso degli eventi futuri. Insieme a tre altri torrefattori decisi di fondare l’associazione CSC (Caffè Speciali Certificati) di cui sono ancora oggi il presidente. L’associazione è basata sulla certificazione dei caffè di singola piantagione. A quel tempo cercavamo un produttore che fosse anche esportatore e che seguisse tutto il complesso ciclo di lavorazione del caffè.

L’idea era di interagire alla pari tra realtà simili e dare ai produttori di caffè la consapevolezza di trattare con i consumatori finali in cerca di qualità e non con i grandi esportatori o importatori.

Può accennare la storia della vostra azienda?
Come le dicevo, lavoravo per l’azienda di famiglia che si chiamava e si chiama tutt’oggi Arcaffè. Quando nel 2000 i rapporti familiari di cui parlavo prima divennero problematici, decisi di comprare una quota significativa di questa azienda, “Le Piantagioni del Caffè” che esisteva già dal 1994.

In quegli anni chiunque parlasse di caffè di singola piantagione era considerato un visionario. Fu solo intorno al 2005 che i torrefattori (non italiani!) iniziarono a muoversi alla ricerca dei caffè di singola piantagione ed io a quel tempo avevo già accumulato un vantaggio di quasi dieci anni. “Le Piantagioni del Caffè” trae origine da un altro visionario, Claudio Corallo agronomo tropicale di Firenze, il quale all’epoca aveva due piantagioni in Congo dalle quali produceva un caffè qualità robusta che era veramente eccezionale, era un prodotto particolarissimo che vendeva a prezzi quasi impossibili. Insieme ad altri amici decise di creare una piccola torrefazione che potesse utilizzare il caffè delle sue piantagioni: di qui il nome “Le Piantagioni del Caffè”.

Il nome dell’azienda era perfettamente calzante con la mia idea di caffè di qualità e fu così che nacque il rapporto con l’azienda della quale sono diventato poi l’azionista di maggioranza assoluta.

Enrico Meschini in piantagione con la figlia e un produttore brasiliano

Le Piantagioni del Caffè che azienda è diventata oggi e come vede il futuro?
Facciamo 5 milioni di fatturato quindi in termini di torrefazione siamo una piccola realtà, unica nel suo genere che fa quasi esclusivamente caffè speciali, siamo in movimento continuo ed in progressione di vendita continua. Rappresentiamo una realtà rara in Italia e in Europa: esiste sicuramente una miriade di piccole torrefazioni — i cosiddetti “microroasters” — specializzati in caffè buonissimi di piantagioni speciali, con volumi di vendita molto limitati, mentre noi siamo gli unici a fare prodotti con caratteristiche eccezionali non in quantità microscopica.

Riusciamo grazie al supporto dell’ente certificatore ed al fatto che abbiamo sviluppato internamente una grande capacità di assaggio che ha fatto tesoro della mia esperienza come componente di giurie internazionali. Ho creato un gruppo di assaggiatori che sta allargandosi ulteriormente e per un’azienda di piccole dimensioni come la nostra è un dato molto significativo. Vedendo la crescita continua di tutte le nostre attività e delle nostre vendite, devo dire che vedo un futuro piuttosto roseo. Inoltre sia a livello nazionale che internazionale godiamo di un’ottima reputazione in continua crescita in quanto ci viene riconosciuta la capacità di creare un prodotto di grande qualità.

Sembra che abbia preparato il successo di ogni ambito della sua azienda con metodo e grande pazienza. Esiste una relazione tra l’imprenditore e l’ornitologo?
In effetti in ogni ambito la base è sempre stata un approccio assolutamente scientifico, una mentalità nell’affrontare le sfide ispirata al metodo empirico attraverso esperimenti continui e soprattutto attraverso il “come” li impostiamo. Questo è fondamentale. Le faccio l’esempio di CSC, l’associazione per la certificazione dei caffè speciali: l’iter certificativo l’ho costruito io grazie al metodo che ho imparato nel mio percorso universitario e che ho applicato rigorosamente ad ogni fase.

Quando lavora all’estero l’aiuta il fatto di essere livornese?
L’unica cosa positiva dell’essere livornese e in generale anche dell’essere toscano, è quella di parlare francamente, una cosa non comune nel mondo imprenditoriale e del commercio in particolare. Questo ci permette di muoverci dovunque a nostro agio e di stabilire relazioni privilegiate con imprenditori in ogni parte del mondo: tra i tanti esempi penso ad un imprenditore danese con il quale ho creato un rapporto molto franco e aperto o agli amici israeliani della Arcaffè (Israel) di cui siamo soci e che, con 45 punti vendita, producono il migliore caffè del paese.

Capovolgendo la domanda di prima, quali aspetti le piacerebbe ritrovare a Livorno della mentalità dei paesi che ha visitato per lavoro?
Sono convinto che dal punto di vista della qualità di vita, godiamo di un ottimo livello, ma se mi chiede dove vorrei andare a stare all’estero, senza dubbio le direi in Danimarca, un paese che ho conosciuto meglio di altri. Ci andrei perché pur essendo nordici, i danesi sono aperti e perché laggiù trovo un rispetto delle regole che non immaginiamo neppure e che a me sta molto a cuore.

Vede la cosa grave da noi, non è tanto il mancato rispetto delle regole, quanto il bearsi e il gratificarsi nel non osservarle e nel farla franca, nel sentirsi “ganzo all’incontrario”. Devo ammettere che mi pesa un po’ questo aspetto del carattere livornese che pensa di essere “ganzo”: in realtà non mi risulta lo sia o quanto meno non mi pare lo sia più degli altri.

Secondo lei cosa potrebbe invertire la tendenza alla mentalità del “ganzo all’incontrario”?
È un po difficile da spiegare. Pensare che ciò che fai o che sei sia meglio in assoluto è una forma di provincialismo: il problema è che l’italiano medio con tutte le sue caratteristiche è un provinciale.

Credo che l’unico modo per cambiare, sia di iniziare a riconoscere ed accettare i propri limiti e di prendere lezioni dagli altri. Chi è convinto di essere più “ganzo” degli altri, non solo non lo è, ma non imparerà mai nulla. Questo è un limite enorme dei miei concittadini che, però va detto, rispecchia una realtà più ampia a livello nazionale.

Quale consiglio darebbe a un giovane che sta per diplomarsi e si trova davanti alla decisione se continuare gli studi o entrare subito nel mondo del lavoro?
La prima cosa che mi viene da dire è “leggere” per approfondire la conoscenza. Leggere per me significa smettere di guardare e iniziare a vedere spinto dalla curiosità. Ad esempio, non le nego che, con tutte le dovute cautele, sono un assiduo frequentatore di Wikipedia che consulto dalle cinque alle dieci volte al giorno.

Vede, io penso che tolta un’esigua minoranza di giovani con una consapevolezza precisa della passione che intendono seguire nella loro vita, tutti gli altri debbano essere polivalenti e flessibili per adattarsi alle condizioni mutevoli del mercato. La specializzazione verticale è una strada praticabile solo per quei pochi consapevoli della loro passione. Tuttavia sono convinto che un giovane con una visione ampia della realtà (la lettura e la curiosità lo aiuteranno molto) troverà sempre nuove opportunità nel mondo.

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Luca Leonardini
Livorno 2020

Business Innovation Architect | ExO Certified Coach Consultant & Trainer | Qualified Innovation Manager | TEDx Organizer | https://www.lucaleonardini.com