Iran, la rivincita degli ayatollah

Vincenzo Maddaloni
The Sfoglio
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3 min readNov 11, 2015
Il presidente iraniano Hassan Rohani con alle spalle un ritratto della guida suprema Ali Khamenei

BERLINO — I bombardamenti russi sulle postazioni dell’ISIS e quelle degli altri gruppi terroristici, in un mese hanno prodotto più effetti di tulle le azioni belliche svolte dalla coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti in 14 mesi. La tenacia degli iraniani nel sostenere i popoli della Siria e dell’Iraq, nonostante la dissacrante campagna mediatica di accuse sul loro intervento promossa dagli Usa e incoraggiata dai suoi alleati, si sta dimostrando, al pari dei russi, altrettanto efficacemente e Russia stanno combattendo contro il terrorismo salafita, che è supportato da Abd al-ʿAziz Āl Saʿūd, il re dell’Arabia Saudita, il capo di stato e il monarca del regno asiatico, il Custode delle “Due Sante Moschee”, Mecca e Medina. Soprattutto egli è il capo indiscusso del Wahhabismo — Islam ultraortodosso — che ha prodotto personaggi come Osama bin Laden e i Ṭālebān.

Iran e Russia hanno imparato a conoscere questi lefevriani dell’Islam dalla seconda metà degli anni Novanta, dopo la prima guerra di Cecenia (1994–1996), quando agli indipendentisti guidati da Dzhokar Dudaev si affiancarono degli islamisti, finanziati dall’Arabia Saudita. I guerriglieri ceceni compirono azioni che ricordano quelle odierne dell’ISIS, come distruggere gli ospedali, massacrare gli studenti nelle scuole, abbattere le chiese ortodosse. Essi miravano a creare un califfato del Caucaso, almeno quindici anni prima che Al Baghdadi tentasse di posizionarne un altro tra Siria e Iraq. I russi quindi hanno una lunga esperienza nel combattere il terrorismo islamista, sul proprio territorio per giunta, e anche questo spiega il loro successo in Siria.

Molto più antica è l’ esperienza iraniana. E’ da cinquecento anni che la Persia mantienepiù o meno le stesse frontiere, mentre tutto il mondo islamico che le sta intorno si è messo in movimento, ridisegnando le vecchie frontiere etniche fra arabi e non arabi; fra arabi, turchi, e persiani-iraniani. Quest’ultimi da sempre continuando a fare storia a sé, non mancano mai di stupire e di inquietare, come quando nel 1979 sbarcò a Teheran l’ayatollah Khomeini con la sua rivoluzione.

Sebbene l’Iran si consideri l’unico Stato islamico “puro”, i repentini cambiamenti in atto in un vicinato da sempre in ebollizione e la minacciosa pressione degli americani lo hanno sollecitano alla cooperazione con i Paesi vicini. Lo ha fatto in passato con comportamenti spesso contradditori, in cui a posteriori vi si intravvede una certa logica: da una partel’Iran tende a garantire la propria sicurezza in un contesto internazionale anarchico; dall’altra parte sfrutta razionalmente le proprie risorse per questo scopo.

Sicuramente l’obiettivo è di conquistarsi, entrando in questa coalizione militare con Damasco, Baghdad e Mosca, il riconoscimento di superpotenza regionale. Infatti, l’ Iran potrebbe far buon uso dell’ingombrante presenza americana in Medio Oriente per proporsi con una seria politica di distensione verso le nazioni arabe ed europee, come l’artefice di una mediazione che limiti i conflitti in questa parte di mondo. Una strategia che l’Iran ha già intrapreso nel recente passato e che il nuovo presidente dell’Iran di Hassan Rohani penso voglia riprendere. Vedremo — 14, 15 novembre — se durante la sua visita ufficiale a Roma, la prima in Europa, ne farà cenno. Certamente agli occhi del mondo sarebbe, come dire? La rivincita degli Ayatollah.

Postilla. Negli anni 1978 e ’79 ho raccontato da Teheran la caduta dello Scià e la presa del potere da parte di Khomeini. Sempre dall’Iran ho firmato negli anni numerose corrispondenze. Ho scritto il libro “L’atomica degli Ayatollah, il ruolo strategico dell’Iran e la crisi con gli Usa”, (con lo scrittore iraniano Amir Modini) .

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