Cosa fare con i Social Media? Minimalismo Digitale e altre storie

Luca Pozzoli
LucaPozzoli
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11 min readJan 5, 2021

La discussione sugli effetti della tecnologia è sempre viva e in qualche modo necessaria e utile: bisogna ripensare in modo equilibrato il rapporto con il mondo digitale che sta permeando ogni aspetto della nostra vita. Personalmente ho sempre avuto un approccio positivo alle nuove tecnologie, le ho adottate e cercate di capire fin dal loro apparire, come strumenti utili per migliorare la qualità della vita delle persone e fare sentire la propria voce.

Ora più che mai, in periodo di pandemia, abbiamo imparato ad apprezzare la possibilità di connessione, le informazioni sempre disponibili e le possibilità di intrattenimento illimitato. Detto questo — e non ultimo il fatto che queste riflessioni sono pubblicate su un blog e diffuse su un social network — la ricerca di regole e modi corretti per l’utilizzo di questi strumenti, ormai indispensabili per ogni cosa, è altamente salutare e raccomandata, per non passare dal rifiuto incondizionato al supporto entusiastico e acritico.

Stiamo esagerando? Chiediamoci una cosa semplice, quante volte al giorno controlliamo il nostro telefono? Una ricerca recente indica 52 volte. La stessa ricerca dice anche che il 63% delle persone sta cercando di limitare l’uso del telefono ma solo la metà è riuscita effettivamente a ridurre il tempo utilizzato davanti allo schermo.

Si sono alzate ultimamente diverse voci critiche e ben documentate sull’utilizzo dei social media, dal film documentario di grande successo su Netflix, “The Social Dilemma”, al libro di Cal Newport “Digital Minimalism”, illustrato dallo stesso autore in un video molto efficace dal titolo “Perché dovresti lasciare i Social Media”.

La tesi è semplice: nati come un modo per connettere le persone, i social media si sono evoluti in vere e proprie macchine da soldi, dove la raccolta pubblicitaria e gli introiti aumentano in relazione al tempo che passiamo su di essi. Nel documentario si parla estesamente dei meccanismi inventati per renderci schiavi del nostro smartphone, che rendono questa relazione molto simile a quella spiegata dalla psicologia della dipendenza da stupefacenti o alcool.

Colpiscono molto affermazioni di questo tenore:

“Vi siete mai chiesti come guadagnano i social? Come mai non paghiamo per usufruire dei servizi che offrono? La risposta è semplice: Se non stai pagando per un prodotto, allora il prodotto sei TU”.

Siamo tutti, chi più, chi meno, incollati gran parte della giornata sui social, controlliamo senza sosta le mail o navighiamo in rete. Nel documentario tutti i retroscena vengono spiegati dai massimi esperti di nuove tecnologie, coloro che hanno partecipato attivamente alla nascita e alla crescita di Facebook, Twitter, Instagram, Pinterest, Youtube e Google.

La missione iniziale della rete e dei social era nobile: connettere le persone di tutto il pianeta, sfruttare la tecnologia per il bene, unendo le forze, favorendo vicinanza e creatività e invece il mezzo sembra essere sfuggito di mano ai loro stessi creatori che nel documentario appaiono quasi “pentiti” a tal punto che, per dilemmi etici, alcuni di loro hanno deciso di non lavorare più a tali progetti, dedicandosi al contrario a fare qualcosa per cambiare la situazione in atto.

Nessuno probabilmente si aspettava che vi fosse il rovescio della medaglia di questi tanto apprezzati e utili sistemi tecnologici: fake news, disinformazione, dipendenza da social e conseguente depressione (soprattutto nei giovani) sono solo alcune delle conseguenze più visibili di un fenomeno davvero molto ampio e complesso. Ogni azione che facciamo sul web viene registrata e catalogata da sofisticati computer e, grazie a complessi algoritmi, viene usata a fini utili a generare profitti. In pratica Facebook, così come Google e altre piattaforme ci fanno vedere solo cose che ci interessano in modo da spingerci a stare sempre più connessi. Il pericolo di questo è che smettiamo di essere obiettivi e costruttivi, vediamo le cose solo da un punto di vista, quello che abbiamo (o ci hanno) creato. Viene a generarsi così una polarizzazione della società che non si ferma neppure di fronte a notizie assolutamente false (fake news) che però hanno enorme credito.

Nel documentario si racconta ad esempio che il fatto che la terra sia piatta è stato consigliato migliaia di volte dall’algoritmo. Uno studio del Mit ha infatti svelato che su Twitter le notizie false si diffondono 6 volte più facilmente di quelle vere. Insomma anche la disinformazione è a scopo di lucro. La conseguenza dell’uso “oscuro” dei social è anche quello di incitare all’odio e alla violenza, nel documentario si fa l’esempio del Myanmar dove, proprio fomentando attraverso la rete, sono stati compiuti dei veri e propri crimini contro l’umanità, ma conosciamo bene gli usi di queste false notizie nel periodo del Covid o delle macchine di propaganda gestite dai politici che fanno leva sulla paura, sugli immigrati, le congiure e cospirazioni di vario tipo, fino ad arrivare ai negazionisti del virus, che non si fermano neppure di fronte ai morti in tutto il mondo.

CHE FARE?

Tutto vero e ben documentato, insieme anche agli aspetti positivi che pure continuano ad esistere e quindi la domanda è: come possiamo fare per utilizzare al meglio queste nuove tecnologie, adottando comportamenti che ci possano mettere al riparo dai pericoli indicati, proprio nello stesso modo in cui abbiamo messo le cinture di sicurezza per proteggerci dagli incidenti in auto o il casco per la motocicletta? Sì, perché la soluzione non può essere il rifiuto totale, abbiamo bisogno di questi strumenti e la nostra vita è migliorata, ad esempio per andare in un posto grazie a Google Maps, evitando gli ingorghi o gli incidenti, o per prenotare un ristorante e capire prima se può essere adatto per noi.

La prima cosa da fare è partire dal modo di considerare queste attività, che all’inizio ci facevano sentire meglio, connessi, tecnologicamente all’avanguardia, informati e attivi. In una recente intervista, alla domanda “qual è la sua idea di lusso?”, Brunello Cucinelli, considerato il Re del cashmere, nonché uno degli imprenditori italiani più illuminati, ha dato una risposta molto interessante, che riguarda proprio questo punto:

“Il vero lusso è vivere una vita che sia segreta al tuo smartphone. Che non deve sapere se vado a passeggiare nel bosco o se sono a Camogli a parlare ad un convegno. Questo è il lusso che eleva l’animo umano, che lo avvicina alla grande bellezza. “

In un’epoca in cui le tecnologie digitali sono diventate sempre più invasive, il vero lusso non è più dunque quello di possedere l’ultimo modello di smartphone, ma evitare di esserne posseduti. Saremo davvero ricchi (di tempo e di vita) solo se impareremo a proteggere i nostri spazi mentali da questi dispositivi e da questi algoritmi progettati a tavolino per assorbire completamente la nostra attenzione e rivenderla al miglior offerente. Quindi dobbiamo mantenere intatta la nostra sfera privata ed usare gli strumenti, invece di esserne usati.

QUALCHE CONSIGLIO PRATICO

Gli esperti forniscono alcuni consigli per limitare la dipendenza eccessiva da questo sistema che opera sulla nostra attenzione:

· Disinstallare le app non necessarie o almeno annullare le notifiche in modo da non far vibrare o suonare il telefono per notizie che in quel momento non sono per noi essenziali

· Prima di condividere una notizia analizzare la fonte, fare qualche ricerca in più

· Assicuriamoci di sentire anche l’altra parte dell’informazione, quella che solitamente grazie a questo sistema non ci arriva (es. seguiamo qualcuno che non la pensa come noi su Twitter)

· Tutti i dispositivi vanno usati solo limitatamente e spenti in determinati orari (ad esempio un’ora prima di dormire), meglio niente social media fino a 14 anni (tipo motorino dei nostri tempi) e stabilire un tempo di utilizzo moderato.

· Togliere la suoneria al telefono quando scriviamo o lavoriamo, o quando abbiamo davvero bisogno di concentrarci su quello che stiamo facendo.

· Mangiare e camminare senza lo smartphone in mano.

· Non accedere ai social network se non per condividere qualcosa di valore per chi ci segue.

· Mai e poi mai utilizzare i social network per sfogare le proprie emozioni negative, dando libero sfogo ai propri peggiori istinti.

Si tratta di consigli pratici che possono certamente aiutare, ma spesso finiscono per essere dimenticati anche perché le forze contro cui lottare sono estremamente potenti e sofisticate. La risposta è un vero e proprio cambio di atteggiamento, adottando una nuova filosofia di vita, il “Minimalismo Digitale”.

MINIMALISMO DIGITALE

Il minimalismo digitale punta ad un maggiore controllo e intenzionalità su come spendiamo le nostre energie e il nostro tempo, trovando il giusto equilibrio. Non si tratta di rinunciare al proprio smartphone o eliminare Facebook, ma reclamare il controllo su quello che facciamo entrare nella nostra vita.

Come lo definisce l’autore Cal Newport, il minimalismo digitale è “Una filosofia di utilizzo della tecnologia che prevede la scelta accurata di un numero ristretto di attività digitali (app, siti, servizi online) che siano in linea con i nostri valori e l’eliminazione volontaria di tutto il resto.”

Insomma, niente social detox o diete mediatiche estemporanee, a cui spesso seguono malsane… abbuffate digitali, ma piuttosto un vero e proprio cambio di paradigma nel nostro rapporto con la tecnologia. Invece di essere perennemente connessi, nel timore di perderci qualcosa di interessante (la famosa FOMO: fear of missing out, paura di rimanere tagliati fuori), la filosofia del minimalismo digitale capovolge il punto di vista e ci sprona a selezionare con cura quelle attività online e quei servizi digitali che creano reale valore nella nostra vita, sbarazzandoci di tutto ciò che potrebbe essere interessante o divertente, ma che nella stragrande maggioranza dei casi assorbe semplicemente il nostro tempo e la nostra attenzione.

Chi sono i minimalisti digitali? Sono le persone calme, felici che possono tenere delle lunghe conversazioni senza il bisogno di consultare in modo furtivo i loro telefoni. Si possono perdere in un buon libro, un progetto di lavoro o una camminata mattutina. Possono divertirsi con i loro amici e famiglie senza il bisogno ossessivo di documentarne l’esperienza. Sono informati delle notizie del mondo ma non se ne sentono sommersi. In altre parole, non hanno paura di perdere qualcosa perché sanno già quali attività li riempiono di significato e soddisfazione.

Quindi vediamo come l’autore suggerisce di mettere in pratica il minimalismo digitale:

· fare un uso intenzionale della tecnologia, ovvero domandarsi sempre perché e con che fine stiamo utilizzando un’app o un dispositivo elettronico;

· chiedersi che valore aggiunga alla nostra vita ogni elemento digitale che vi introduciamo;

· usare il digitale come strumento per creare qualcosa, non per influenzare il nostro stato d’animo, cosa che possiamo fare meglio da soli, o per passare il tempo, con l’unico risultato di non avere più tempo per pensare o per realizzare i nostri progetti;

· anteporre il reale al digitale, godendoci i momenti con amici e famiglia anziché immortalarli per raccontarli su un social network, o invitando gli amici a un aperitivo piuttosto che scrivergli un messaggio su Facebook, fino a mettere da parte i nostri dispositivi quando viaggiamo, ci spostiamo da un posto all’altro, o anche solo facciamo una pausa durante il lavoro.

Cal Newport offre un suggerimento interessante per iniziare: la gradualità non funziona molto bene in questo caso, è troppo forte il marketing dell’attenzione per vincere contro questi strumenti, quindi propone una soluzione diversa.

Mettere in programma un periodo di 30 giorni durante il quale prendersi una pausa da tutte le tecnologie opzionali della nostra vita (“opzionali” significa che la loro rimozione temporanea non danneggerà la nostra vita personale o professionale).

Le mail di lavoro non sono quindi opzionali, Twitter molto probabilmente sì. Durante questa pausa, esploriamo e riscopriamo le attività e i comportamenti che ci danno soddisfazione e significato. Riscopriamo la bellezza di passare del tempo da soli: la solitudine, fisica e mentale, è importante per pensare chiaramente. Invece di sentirsi tagliati fuori, proviamo a lasciare il telefono a casa quando andiamo a fare una passeggiata, o scriviamo un diario e semplicemente passiamo del tempo da soli.

Al termine dei 30 giorni reintroduciamo gradualmente gli strumenti digitali nella nostra vita, eliminando le parti che non servono: ad esempio non clicchiamo “mi piace”.

I social media sono diventate versioni digitali dei fast food, troppo facili da consumare, ma non ci danno ciò di cui abbiamo davvero bisogno per una vita salutare. Invece di farci coinvolgere, Cal Newport nel suo libro suggerisce di limitare l’uso di questi strumenti ad un utilizzo attivo e consapevole: usiamoli tranquillamente per rimanere in contatto con le persone che conosciamo ma non entriamo nella roulette dei “mi piace” o permettiamo a noi stessi di essere sempre disponibili.

Reclamiamo il nostro diritto al tempo libero. Una delle ragioni per cui passiamo così tanto tempo sulle tecnologie digitali è che abbiamo perso i nostri hobby e le attività da fare nel tempo libero. È più facile guardare il telefono che leggere un libro o uscire per fare una corsa o disegnare qualcosa. Reclamando il nostro tempo libero per attività “analogiche” possiamo liberarci dall’ansia di essere tagliati fuori e semplicemente vivere meglio.

Uniamoci al movimento di Resistenza dell’Attenzione. Non siamo obbligati di utilizzare tutte le caratteristiche del nostro smartphone ed essere costantemente connessi ai social media: ridurre il numero di punti d’entrata è una parte importante di essere minimalisti digitali. Scegliamo il nostro social media preferito, per me ad esempio Instagram non ha nessuna attrattiva, perché dovrei avere un account attivo? Proviamo a rimuovere i social media non necessari dal telefono. Oppure, se non possiamo, trattiamolo come un compito professionale, qualcosa che facciamo per necessità e non di più.

Quando si parla di tecnologie, Meno può essere di più e molto meglio.

Il minimalismo digitale è un modo per definire chiaramente quali tecnologie ammettere nella nostra vita. E come usarle. Quando abbiamo capito quali sono i nostri veri valori possiamo costruire il nostro utilizzo della tecnologia intorno ad essi. Invece di sentirsi sommersi, possiamo diventare più intenzionali, più produttivi e più responsabili della nostra vita.

La tecnologia in sé non è né buona né cattiva. La chiave è usarla per sostenere i nostri obiettivi e seguire i nostri valori, invece di permettere che lei utilizzi noi.

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Luca Pozzoli
LucaPozzoli

Leader di organizzazioni di vendita diretta a domicilio, Presidente di Avedisco e Univendita dal 2007 al 2013