Food Delivery, il cibo è servito (a casa)

Cibus Talks
Luciana Squadrilli
Published in
5 min readMar 7, 2018

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C’era una volta la pizza da asporto o, per i più pigri, consegnata a casa dal ragazzo che si guadagnava qualche soldo durante gli studi universitari tra le mance e quello che gli passava il locale.

Oggi, invece, il food delivery — la consegna a domicilio di piatti già pronti, anche gourmet — è un vero e proprio business, che sta cambiando lo scenario dei consumi alimentari degli Italiani e anche quello dei player del settore: dai colossi multinazionali che puntano tutto sulla scelta più ampia possibile di proposte — pizza, panini, indiano, sushi, gelato, cucina light o vegana, vino o birra, c’è tutto — alle piccole iniziative di nicchia, per lo più locali, che si specializzano su temi come l’healthy food (piatti studiati da una nutrizionista e preparati da un team di cuochi usando ingredienti freschi e sani, anche senza glutine o zucchero, formula portata da Londra a Milano da Rose & Mary) o il quality delivery (che oltre a proposte salate, dolci, gelati e vino si allarga anche a fiori o oggetti di design) proposto dalla start up romana Cosaporto, pensato per non sfigurare quando si è invitati a cena e non si ha tempo di passare prendere qualcosa in enoteca o in pasticceria.

Così, se secondo il Rapporto Fipe 2017 il “fuori casa” — vale a dire la scelta di mangiare fuori dalle mura domestiche, dal bar al ristorante — cresce sempre più arrivando circa il 36% dei consumi alimentari complessivi, quelli a casa sono sempre più dominati dal cibo consegnato a domicilio.

Secondo i dati diffusi dall’Osservatorio eCommerce B2c del Politecnico di Milano il food delivery nella ristorazione è cresciuto nel 2016 del 29%.
Dati confermati dal 1° Osservatorio nazionale sul mercato del Takeaway in Italia realizzato sempre nel 2016 dalla società di ricerche di mercato GfK in collaborazione con JustEat (piattaforma di ordinazione online di cibo a domicilio consegnato dagli stessi locali, che oggi opera in 15 paesi nel mondo ed è quotata in borsa) che oltre a rilevare la crescita del takeaway (solitamente con delivery) ne analizza anche alcune modalità interessanti: dalla crescita del “digital takeaway” che però ancora non supera il telefono, fino al luogo da cui vengono effettuati gli ordini: in maggioranza proprio da casa, seguita dall’ufficio. Riguardo poi alle motivazioni di questa scelta, oltre alla pigrizia — chi non è mai rimasto con il frigo vuoto e senza voglia di uscire per raggiungere il supermercato o il ristorante più vicino? — c’è anche la curiosità e la voglia di provare qualcosa di diverso dal solito.

“Sfogliando” le proposte online a Roma su un popolare sito di food delivery troviamo per esempio, oltre a pizze, fritti e hamburger, sushi, curry e noodles ma pure il Pabellón criollo tradizionale (specialità a base di riso bianco, carne mechada, plátano fritto, fagioli neri) preparato da un ristorante venezuelano o i Tunnbrodsrulle, sorta di piadina vichinga (sfoglia di grano duro ripiena di insalata di patate, pomodori, lattuga iceberg e, a scelta, gamberetti, wurstel o salmone) proposta da un ristorante svedese.

Ma le cifre sono in ulteriore crescita: secondo alcuni dati pubblicati da Wired nell’ottobre 2016, il business del “digital food delivery — il cui valore si attesta sui 400 milioni di euro l’anno — aveva prospettive di crescita del 50% entro il 2019.

A guidare questo fenomeno inarrestabile sono soprattutto le due principali città italiane: Roma e Milano. Interessanti i dati resi noti a luglio 2017 da Deliveroo — servizio di food delivery fondato nel 2013 da William Shu e Greg Orlowski, oggi operante in 12 Paesi con oltre 20.000 rider “propri” — riguardo al vero e proprio boom registrato nelle due città: ordini raddoppiati in Italia nei primi sei mesi dell’anno, con un +135% a Milano e +150% a Roma. Per la felicità della piattaforma ma anche dei ristoranti partner che hanno registrato un aumento del fatturato del 30% (ma resta da vedere se e quanto hanno perso nell’incasso in sede).

In particolare, il picco di ordini a domicilio si registra la domenica sera (a Milano alle 20, a Roma alle 21 seguendo le abitudini delle diverse latitudini), quando l’euforia del sabato sera lascia spazio alla voglia di restare in casa in vista della ripresa del lunedì. A sorpresa però — o forse non troppo — le scelte di romani e milanesi premiano proposte abbastanza tradizionali: la pizza al primo posto, seguita dall’hamburger in entrambe le città, e poi dal Black Angus alla griglia a Milano e dal Trapizzino (il triangolo di pizza farcito con i sughi della tradizione romanesca) nella Capitale.

Più eterogeneo il “podio” di Glovo — altra start up di food delivery attiva da 2 anni — che ha di recente premiato come “best partner” i locali preferiti dai propri utenti nel 2017, sempre a Milano e Roma, in base agli ordini effettuati: i milanesi amano i panini di mare di Pescaria, gli hamburger di Burgez e l’intramontabile re del sushi Poporoya mentre i romani si dimostrano “americanofili” ma anche tradizionalisti scegliendo la steak house T-Bone Station, di nuovo il Trapizzino e i dolci in stile USA di Bakery House ma pure il Tiramisù di Pompi.

Insomma, cambia il mezzo e a volte anche il menu ma ai grandi classici nazionali non si rinuncia. Soprattutto se si possono mangiare comodamente a casa propria.

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