Social Eating, mangiare (insieme) è conoscere

Cibus Talks
Luciana Squadrilli
Published in
5 min readApr 16, 2018

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Una volta c’erano le grandi tavolate famigliari dove non era un problema aggiungere un piatto per l’ospite — anche forestiero — sopraggiunto all’ultimo minuto, o le antiche usanze delle locande contadine come lo Stammtisch, parola tedesca che indica tanto il tavolo dedicato agli ospiti abituali quanto il “gruppo” stesso che vi si riunisce per mangiare, parlare o giocare a carte.Negli ultimi anni è diventata una moda, un fenomeno di tendenza per cui è stata coniata anche un’apposita definizione — social eating appunto — che solitamente indica “la preparazione di pasti nel proprio domicilio a pagamento con persone sconosciute ed incontrate tramite una piattaforma on line”.

In realtà il social eatingin sé — vale a dire il “mangiare sociale” — abbraccia l’esperienza più ampia di sedersi a tavola con qualcuno che non si conosce e condividere cibo, bevande e chiacchiere. Che si tratti del “tavolo sociale” al ristorante (non da tutti apprezzato) o di situazioni “estemporanee” in cui ci si ritrova seduti intorno a un tavolo più o meno lungo in ambienti solitamente non destinati alla cucina e all’ospitalità, spesso con finalità benefiche o sociali.

È il caso, ad esempio, delle Cene Clandestine organizzate qualche anno fa a Roma — in cui lo studio di comunicazione e fotografia Mammanannapappacacca si trasformava per una sera in ristorante con uno chef stellato che cucinava per circa 90 persone raccogliendo fondi per una finalità a sua scelta — o delle Cene in Bianco organizzate da Antonella Bentivoglio d’Afflitto, un modo per “riconquistare” spazi cittadini riscoprendo valori come etica, ecologia, estetica, educazione, eleganza.

Oggi però, con social eating s’intendono soprattutto le cene casalinghe con ospiti sconosciuti organizzate per far quadrare i conti e conoscere persone con la comune passione del cibo, come avviene nel circuito di Gnammo, start up e piattaforma online nata nel 2012 all’interno dell’Incubatore I3P del Politecnico di Torino.

Proprio sul sito di Gnammo si trova il codice etico che distingue tra Social Eating (“evento organizzato in una Location che è una casa di civile abitazione, con carattere occasionale, senza strumenti professionali e senza organizzazione imprenditoriale”) e home restaurant(“una casa di civile abitazione nella quale si organizzano Eventi abitualmente, con strumenti professionali o con organizzazione imprenditoriale”), quest’ultimo ora regolato da un’apposita legge dopo le accuse di “concorrenza sleale” da parte dei ristoratori professionisti.

Oggi Gnammo è presente in 2.278 città italiane, con oltre 18.500 eventi pubblicati e 8.000 cuochi registrati che ogni giorno propongono pranzi, cene o esperienze legate al cibo presso la propria abitazione. Sono diversi, inoltre, i progetti creati in collaborazione con aziende, associazioni o marchi interessati a far arrivare i propri prodotti direttamente sulle tavole di chi li prepara e li consuma. Un esempio è You&Meat nato dalla partnership con Centro Carni, storica azienda di Tombolo (PD). Insieme hanno messo a punto la nuova linea di burger gourmet a base di carni di qualità come Scottona, Aberdeen Angus, Chianina, Piemontese e Bio, che saranno presentati in 10 incontri gratuiti di social meating in programma in 5 città (Milano, Torino, Firenze, Bologna e Venezia). Saranno invitati a partecipare i maggiori digital influencer del mondo food e tutti gli gnammers, vale a dire gli iscritti alla piattaforma.

Altra esperienza interessante è quella del Parma Home Restaurant Festival, arrivato allasua sesta edizione in programma nei due week end di maggio, dal 10 al 13 — quindi proprio in coda a Cibus — e dal 25 al 27.

Nato tre anni fa come progetto d’esercitazione del Master in Web communication e social media dell’Università di Parma diretto dal professor Giorgio Triani, il festival ha il patrocinio del Comune di Parma, Città creativa per la gastronomia Unesco e sede appunto di una manifestazione di respiro internazionale come Cibus.

Gestito in collaborazione con NTV 3.1, società di comunicazione nata proprio dall’esperienza del master, il festival — che ha anche un’edizione autunnale e degli spin off a Mantova e Marsala — punta da un lato a valorizzare le produzioni di eccellenza di Parma e provincia, dall’altro a promuovere usi e consumi gastronomici coinvolgendo gli abitanti e invitando gli stessi Parmigiani e i turisti a scoprire luoghi solitamente non aperti al pubblico. “Lo abbiamo voluto chiamare “Festival della Cucina Domestica, inusuale e del Social Eating” — spiega il prof. Triani — Perchè alla base c’è l’idea di condividere il cibo nelle case ma anche in luoghi particolari, proponendo delle esperienze uniche: dal pranzo in cantina alla cena nel caseificio o all’Università, ma pure la colazione con un barman d’eccezione, una cena per due in una galleria d’arte, un aperitivo con concerto in una casa o una dinner theatre per 14 persone con performance teatrale in un’altra abitazione privata”.

In questo caso non si tratta di una piattaforma professionale ma di un modo — saltuario, informale, accessibile a tutti grazie ai prezzi popolari ma fortemente “condiviso” da chi decide di ospitare or organizzare gli incontri, vincendo un po’ la diffidenza degli abitanti del luogo e anche l’iniziale ostilità dei ristoratori locali — per sottolineare la dimensione sociale del cibo, coinvolgendo ogni volta circa 6–700 persone.

“Penso che, soprattutto per i più giovani, prevalgano l’interesse alla condivisione, la curiosità di sedersi a tavola con persone che non si conoscono e di scoprire luoghi inusuali, rispetto a quello per il cibo in sé — prosegue Triani — Ma non c’è dubbio che un’esperienza del genere sia anche utile a far conoscere prodotti e piatti. Negli anni scorsi abbiamo avuto degli anziani ristoratori, ormai in pensione, che hanno riproposto antiche ricette quasi scomparse ma pure Messicani e Spagnoli trasferitisi a Parma che hanno aperto le loro case e hanno dato vita a cene “contaminate”. Sarebbe bello se anche i grandi produttori della zona, proprietari di brand internazionali, aprissero le proprie case: sarebbe una grande idea di marketing, una comunicazione globale a costo zero”. E dalle passate edizioni sono nati anche i siti di e-commerce e incoming Made in Parma e Made in Egadi.

Intanto, Triani e i suoi studenti stanno lavorando sulla programmazione e comunicazione per l’imminente edizione. Non mancherà una cena sui tetti di Parma, con vista Duomo, e per quest’anno c’è anche l’avallo di due grandi protagonisti della ristorazione locale: i fratelli Spigaroli, patron dell’Antica Corte Pallavicina e del ristorante Al Cavallino Bianco, sono protagonisti di un video in cui invitano ad andare a mangiare nelle case e nei luoghi del Festival. E se lo dicono loro, ci sarà davvero da fidarsi.

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