Akelarre (Il Sabba) — Donne che ballano nei boschi
Ho sempre trovato la cinematografia dedicata al tema delle Streghe un po’ carente, sia per quantità che per qualità. Troppo incanalata nel dualismo streghe buone contro streghe cattive, ha lasciato in secondo piano una serie di aspetti più profondi collegati alla vera natura di chi il nome di “strega” se lo portava addosso e al suo rapporto con il mondo che la circondava.
Poi, nel giro di pochi anni, sono arrivati Suspiria di Guadagnino, Hagazussa di Lukas Felgeifeid e il recente Akelarre (Il Sabba) di Pablo Agüero e Katell Guillou. Film in apparenza diversi, hanno il grande pregio di guardare più a fondo nell’animo delle donne chiamate “streghe” portando alla luce un nucleo comune, l’essenza della loro “temibile” diversità: un’ancestrale, insopprimibile desiderio di libertà. Libertà di esprimersi, di essere se stesse, di vivere la vita secondo i propri desideri e attitudini e la propria femminilità. Libertà che ha sempre fatto paura al patriarcato a causa della sua natura considerata sovversiva. In altri termini, per usare una definizione che è ancora in grado di far accapponare la pelle a qualcuno, sono tre film profondamente femministi.
Se però i primi due sono stati accolti con buoni se non ottimi giudizi, l’ultimo pare abbia deluso sia chi si aspettava un horror in pieno stile che chi credeva di vedere un film storico sulla caccia alle streghe.
In realtà, a mio modesto parere, è sfuggito a costoro quello che era l’intento cardine degli Autori e che proverò a spiegare.
*** Attenzione! Ci sono alcuni spoiler anche se non sostanziali.
Labourd (Paesi Baschi), 1609. Ana, Katalin, Maria, Maider, Olaia e Oneka, amiche poco più che adolescenti, vivono in un piccolo villaggio affacciato sul mare, si occupano dei campi e lavorano la canapa mentre i loro padri, fratelli e compagni sono a pesca per lunghi periodi. Sono allegre e spensierate, piene di fantasia, racconti e sogni alimentati dalle leggende locali e dalla magia dei paesaggi selvaggi; gli orrori della Caccia alle Streghe sono solo un’eco lontana.
Fino a che, in un giorno di sole, l’eco diventa un rumore di zoccoli e armature. Le ragazze vengono prelevate con forza dai soldati, incappucciate e rinchiuse in una prigione improvvisata, nella stalla di un’anziana donna costretta, suo malgrado, ad ospitare e nutrire una delegazione arrivata dalla Francia. Delegazione composta dall’Inquisitore bordolese Pierre de Lancre di Rostegui, dal cancelliere, dal cerusico (leggi aguzzino) e delle guardie armate, a cui si aggiunge il giovane e timoroso parroco del paese.
Ignare dei motivi dell’arresto, le giovani cercano di farsi forza a vicenda convinte che si tratti di un errore. Ma dopo che alcune di loro vengono spinte ad accusare le compagne di essere streghe, realizzano che l’unico modo per salvarsi è il ritorno degli uomini. Si accordano quindi per inventarsi storie su diavoli e streghe in modo da stuzzicare la curiosità dell’Inquisitore e prolungare gli interrogatori fino al plenilunio, giorno in cui i pescatori dovrebbero fare rientro.
Tuttavia, appena gli interrogatori riprendono e cominciano le torture, capiscono che Rostegui è molto scaltro e determinato a chiudere il processo il prima possibile con una condanna di massa. I timori iniziali si trasformano in paura, rabbia, senso di impotenza e le ragazze si rendono conto che anche quando anche una vecchia canzone d’amore diventa pretesto per vederci il Maligno, il loro destino è già segnato: finiranno sul rogo. Decidono allora di rischiare il tutto per tutto e di dare all’Inquisitore ciò che sta morbosamente cercando: la prova della reale esistenza del Sabba.
La più forte e coraggiosa del gruppo, Ana, dichiara di essere una strega e chiede di essere portata davanti all’Inquisitore. Durante un lungo interrogatorio che assume i connotati di un gioco di seduzione disperato (per lei) e morboso (per lui), racconta per filo e per segno cosa avviene durante il Sabba, riuscendo a esasperare la curiosità famelica di Rostegui, al punto da convincerlo ad assistervi di persona.
Quello che accade da questo momento in poi non può essere raccontato, deve solo essere visto e ascoltato.
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Il film, diretto da Pablo Agüero e da lui scritto in collaborazione con Katell Guillou, si ispira a fatti realmente accaduti e descritti dallo stesso giudice Rostegui nel suo Tableau de l’inconstance des mauvais anges et démons: la caccia alle streghe che portò a un numero considerevole di processi e di roghi nel villaggio di Labourd, Paesi Baschi, fra il 1609 e 1611. A capo di quei processi si trovava proprio lui, Pierre de Lancre di Rostegui, giudice della laica Inquisizione francese, tristemente conosciuto per la ferocia dei suoi interrogatori che condannarono al rogo circa 500 fra donne e uomini della Navarra, inclusi alcuni preti.
Siamo agli inizi del 1600, la caccia alle streghe ha raggiunto dimensioni spaventose, esacerbata anche dai conflitti fra tribunali cattolici e laici, questi ultimi interessati molto più all’occupazione di nuovi territori per conto dei sovrani e alla confisca di beni e proprietà che all’anima dei condannati. Pierre de Lancre apparteneva a questa seconda categoria, ma era anche animato da una curiosità speculativa fuori dal comune e dal desiderio di scovare qualsiasi attività criminale collegata alla stregoneria e, se uno dei suoi obiettivi era dimostrare che la giustizia laica francese funzionava assai meglio di quella cattolica spagnola, l’altro era provare l’esistenza del Sabba, durante il quale le streghe si congiungevano carnalmente a Satana per scopi occulti e malefici.
Rostegui arriva a Labourd nel 1609 a seguito della denuncia del senior Urtubi de Saint-Pei, il quale sosteneva di essere vittima di un maleficio dopo aver partecipato a un Sabba. Per il giudice è un’ottima occasione per dimostrare ancora una volta la sua efficienza.
Come racconta Rostegui stesso nel suo trattato, egli provava un misto di attrazione e repulsione nei confronti della bellezza e dalla libertà di quelle donne di mare e, in particolare, rivela come
il fascino pericoloso dei loro occhi sia un rischio, sia per l’amore che per il potere magico
E, se è vero che gli occhi sono lo specchio dell’anima, chissà quali abissi infernali possono riflettere anime che si sono vendute al demonio. I canti d’amore sono veri e propri inni a Lucifero, per non parlare dei balli notturni tenuti nei boschi, in luoghi segreti e misteriosi. E cosa vogliono occultare con l’oscuro dialetto locale con cui le streghe comunicano fra di loro?
“Se non le fermiamo in tempo, quelle streghe malvagie sconvolgeranno l’ordine dell’universo” afferma.
Rostegui è un uomo colto, cinico e concreto: crede poco nei malefici ma, in compenso, crede fermamente nel potere contagioso e sovversivo della libertà, che deve essere soppressa a ogni costo e, per raggiungere il suo obiettivo, non ha alcun problema a rafforzare le sue argomentazioni appellandosi al reato più grave imputato alla stregoneria secondo i dettami del Malleus Maleficarum: il reato di apostasia; l’abbandono consapevole e volontario della fede cristiana sancito dall’unione carnale delle donne (badate bene, solo delle donne) con il demonio. Dietro questa presunzione di efficienza, si nasconde però una curiosità morbosa e una non indifferente vanità. Così infatti lo descrive Jules Michelet nella sua più che celebre opera La Strega:
Questo bordolese, magistrato gentile, prototipo di quei giudici mondani che hanno dato allegria alla toga nel XVII secolo, suona il liuto negli intervalli, e fa anche ballare le streghe prima del rogo. Sa scrivere; è molto più chiaro di tutti gli altri. Ma in lui si insinua una nuova oscurità, caratteristica del tempo. Le streghe, cioè, son troppe, il giudice non può bruciarle tutte, e le più, astute, capiscono che sarà indulgente con quelle che meglio gli entreranno nella testa, nella passione. Che passione? Innanzi tutto, una passione popolare, l’amore per l’orrido meraviglioso, il gusto d’aver paura, e anche, c’è bisogno di dirlo? il piacere dell’indecenza. Aggiungete un problema di vanità: queste donne, abili, mostrano il Diavolo tremendo e furibondo, e il giudice, sempre più, si gratifica di domare un tale avversario. S’imbandiera nella vittoria, troneggia idiota, trionfa delle chiacchiere dementi. [Jules Michelet, La Strega — CAP. IV, Le Streghe Basche]
È proprio ispirandosi a questa caustica analisi che Agüero e Guillou intessono una trama che poco alla volta prende il largo dai fatti descritti da Rostegui per raccontare un’altra storia: quella che contrappone uomini privi di ogni empatia, animati dal fanatismo più intransigente ma vittime dei loro stessi appetiti, a un gruppo di giovani donne le cui uniche armi sono il legame che le sostiene e il desiderio di riprendersi la libertà. Agli autori non interessa fare un altro film sulla caccia alle streghe, ma raccontare come molte donne finirono per dichiararsi tali pur di sfuggire all’ennesimo interrogatorio estenuante o alle terribili sessioni di tortura. Ma, allo stesso tempo, ci mostrano come i giudici stessi spesso finissero vittime del fascino sensuale e misterioso della stregoneria, e come questo suscitasse in loro desiderio e senso di colpa, per i quali erano considerate responsabili le donne stesse, ritenute artefici di qualche opera di seduzione malefica. Un circolo vizioso e ipocrita che portava sempre e inevitabilmente alla condanna delle vittime designate, sia che si dichiarassero innocenti o colpevoli.
Ma le ragazze di Labourd sembrano avere davvero qualcosa di magico, una forza innata e caparbia che sprigiona tutta la sua potenza nel Sabba.
Gli uomini temono le donne che non li temono dice ad Ana, l’anziana donna costretta a ospitare il processo nella propria casa.
Di fronte agli sguardi scettici del cancelliere, sconvolti del prete, terrorizzati delle guardie e voraci del giudice, si lasciano andare a una rappresentazione sfrenata di quello che nella loro immaginazione è un Sabba: cantano, ballano, suonano, si contorcono; scelgono di diventare le streghe che Rostegui così caparbiamente cerca e, così facendo, spezzano catene fisiche e mentali, sovvertono i ruoli e rompono gli equilibri: non più vittime ma protagoniste, consapevoli del potere che sono in grado di esercitare. Un potere che ha ben poco di demoniaco e molto a che fare la con la debolezza dell’animo umano.
La sequenza del Sabba vale da sola il film, sia per come è stata realizzata (mi ha fatto pensare a quadro di Caravaggio che prende vita) sia per come è stata interpretata dalle giovani attrici quasi tutte esordienti — fra cui spicca la strepitosa Garazi Urkola nel ruolo di Katilin, la più giovane del gruppo -, che hanno dato anima e corpo per far emergere la fisicità e lo stato di estasi totale propri di questa danza che ricorda quella delle Baccanti: una travolgente energia d’acqua, tutta femminile, contro cui nessun rogo ha potere.
E che il film si apra con il fuoco e si chiuda con l’acqua, non è certo un caso.
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Il film è stato scritto da Pablo Agüero (screenplay by), Katell Guillou e diretto da Pablo Agüero
Le ragazze
Ana: Amaia Aberasturi
Katalin: Garazi Urkola
Maria: Yune Nogueiras
Maider: Jone Laspiur
Olaia: Irati Saez de Urabain
Oneika: Lorea Ibarra
L’Inquisizione
Pierre de Lancre di Rostegui: Alex Brendemühl
Consigliere Salazar: Daniel Fanego
Padre Cristobal: Asier Oruesagasti
Cerusico: Daniel Chamorro
Le altre donne
La Nonna: Jeanne Insausti
La proprietaria della casa: Elena Uriz
Una delle cameriere della proprietaria: Amalia Robin
L’altra cameriera della proprietaria: Amaia Azkue
Colonna sonora
Maite Arrotajauregi
Aránzazu Calleja
Il film completo è disponibile su Netflix