Aspettando Spiral: Saw (2004)

Lucia Patrizi
M E L A N G E
Published in
5 min readMay 25, 2021

Da qualche settimana a questa parte sembra di essere tornati nel 2007, non vi pare? Quei tempi un po’ strani in cui andavi in sala a vedere remake o torture porn, e non c’erano poi tutte queste alternative; ma anche tempi in cui gli studios investivano spesso e volentieri in horror ad alto budget, destinati a portare gli sbudellamenti a un pubblico generalista, non avvezzo a certe visioni, eppure pronto a ingurgitare varie forme di sadiche torture su grande schermo tra una manciata di pop corn e l’altra.
Dico che sembra di essere tornati in quell’epoca, perché sta per uscire (in USA arriva il 14 maggio, da noi il 16 giugno) Spiral: From the Book of Saw, diretto da Darren Lynn Bousman, che credevo ormai essersi dedicato con soddisfazione al giardinaggio, regista dei capitoli II, III e IV della saga di Jigsaw, con Chris Rock e Samuel L. Jackson, che promette di rinverdire i fasti di uno dei più fortunati franchise della storia dell’horror recente. Anzi, si può dire, vergognandosene anche un pochino, che L’Enigmista interpretato da Tobin Bell è l’ultima vera icona horror, prima che l’horror cambiasse completamente pelle: sette film più l’ottavo in arrivo, un successo senza precedenti, incassi oltre ogni più rosea aspettativa, un vero e proprio fenomeno di culto che ha contraddistinto l’horror nella prima decade del XXI secolo e gli ha dato un nome preciso: torture porn.
Ma com’è cominciato tutto questo?
Con due amici australiani, un bagno fetido e un budget di poco più di un milione di dollari.

Rivisto oggi, e senza considerare i seguiti, Saw, quello originale uscito nel 2004 è un film con pochissima violenza, quasi tutta fuori campo, e tantissimi dialoghi.
Gente che parla dentro a una stanza: così lo si potrebbe riassumere, ed è anche logico, dato che James Wan (regia) e Leigh Whannel (attore protagonista e sceneggiatore) avevano a stento i soldi per affittare la stanza dove far parlare le persone. Saw è un film da “cortile”, una cosa piccolissima e indipendente girata tra amici, ed è tutto tranne che un torture porn. A stento lo si può definire horror: somiglia più a tutta quella serie di thriller usciti nella seconda metà degli anni ’90 sulla falsariga di Seven, e proprio a Seven è debitore di parecchie cose, tra cui la natura profondamente moralista di Jigsaw, che sceglie le vittime in base a un proprio, discutibilissimo e perverso, codice di comportamento; ci sono anche delle evidenti somiglianze nell’estetica, nella scelta di mostrare un mondo lercio, putrido, in totale disfacimento, e nelle tonalità fredde e verdognole della fotografia, caratteristiche entrambe accentuate all’eccesso, quasi ci fosse un intento auto-parodistico, nei film successivi.
Mi piacerebbe se davvero i vari seguiti fossero delle autoparodie consapevoli, ma purtroppo non è così, e ci arriveremo nel corso delle settimane che ci separano da Spiral.
Non credo sia più necessario recensire in maniera classica il primo Saw: è, tutto sommato, un buon thriller, anche se molto al di sotto delle potenzialità sia di Wan che di Whannel, e ha il merito di aver lanciato la carriera di entrambi, che nel frattempo sono diventati due colossi del cinema horror, e non solo: Wan ha messo lo zampino anche in grossi franchise hollywoodiani, come Fast & Furious e il DCEU.
Quello che ci interessa di più è cercare di capire le ragioni del successo di Saw e la sua conseguente trasformazione in una saga che, con qualche intervallo di tempo, continua ancora oggi, a ben 17 anni dal suo debutto nei cinema.

Nel primo Saw, John Kramer, alias Jigsaw, appare per una manciata di secondi verso la fine: sì, è il “cadavere” sdraiato al centro del bagno dove sono rinchiusi i due protagonisti del film; avvertiamo la sua minacciosa presenza, ma di lui sappiamo pochissimo, giusto che è un malato terminale che sbrocca e decide di far apprezzare il dono della vita alle persone, sottoponendole a ordalie oscene. Che è un’idea niente male per un cattivo coi fiocchi.
Appunto, un cattivo. Un detestabile, squallido, triste individuo che può anche muovere lo spettatore a compassione, visto che sta morendo, ma la cui distorta visione delle cose non viene fatta passare neppure per un istante come giusta o condivisibile. E segnatevi questo punto, perché ci torneremo negli articoli successivi, grazie.
Ciò che stuzzica la fantasia degli spettatori è innanzitutto il concetto di “gioco”, dell’assassino che gioca con la sua vittima e la spinge a superare delle prove.
In questo film non sono nulla di particolarmente elaborato (ricordate che non ci sono i soldi): c’è la trappola più geniale di tutta la saga, ovvero la trappola per orsi al contrario, che però non vedremo mai davvero in azione fino al settimo capitolo; c’è un percorso da attraversare nel filo spinato; c’è il poveraccio che si sveglia coperto di nitroglicerina e deve decifrare un codice con in mano una candela. Tutte cose molto rudimentali, rozze, ma terribilmente efficaci e, proprio perché non mostrate affatto o mostrate il minimo indispensabile, in grado di stuzzicare l’immaginazione del pubblico.

Vero che Saw ha delle somiglianze inquietanti (per gli avvocati) con Seven, ma non ne possiede né il rigore filosofico né la forza espressiva. Ne è, in altre parole, una versione da consumo di massa, ed è in questo che il film riesce a creare una mitologia valida sia per il più smaliziato horror fan che per lo spettatore più casuale, quello che va nel multisala e sceglie il film lì per lì, in base alla locandina.
Non penso fosse una cosa programmata da Wan e da Whannel, che in realtà cercavano soltanto di esordire con un film che potesse essere realizzato in poco tempo e con pochi soldi; la dimostrazione di questo la potete trovare nella storia produttiva di Saw II, ma ci arriveremo. Vi basti sapere che nessuno coinvolto nel cast artistico o tecnico di Saw si aspettava un riscontro simile, tantomeno di veder nascere una progenie di seguiti.
Wan e Whannel hanno avuto la bravura, e anche la fortuna, di azzeccare una formula e di aprire una strada.
Soltanto che poi, per la famigerata legge della contrazione degli utili, non sarebbe più stato sufficiente limitarsi a suggerirla, la violenza. Anche perché una struttura narrativa come quella di Saw, che rimane invariata anche se complicata all’inverosimile dalle sceneggiature successive, chiama necessariamente trappole sempre più letali e sequenze sempre più esplicite.
Nei prossimi capitoli di questo viaggio nella saga torture porn più famosa del mondo vedremo come siamo arrivati dal taglio di un arto fuori campo allo scioglimento nell’acido del protagonista nel sesto film messo in scena con dovizia di particolari.
Non vi assicuro che sarà un bel viaggio, ma spero che sarà interessante.

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