Aspettando Spiral: Saw II-III-IV — La prima stagione

Lucia Patrizi
M E L A N G E
Published in
6 min readJun 3, 2021

Per molti fan della saga di Jigsaw, esiste una “trilogia originale” delle gesta del personaggio interpretato da Tobin Bell, mentre gli altri capitoli tendono a essere considerati spuri, o comunque non all’altezza dei primi tre film. Ma la verità è, a mio avviso, molto diversa: un film come Saw IV ha molte più cose in comune con Saw II di quante quest’ultimo ne abbia con il primo film, quello diretto dal buon James Wan.
A partire dal regista, Darren Lynn Bousman, che infatti troviamo al timone dei film dal secondo al quarto, per proseguire con la narrazione di un’unica storia che parte in Saw II e si conclude in Saw IV e, a parte John Kramer, alias Jigsaw, e Amanda, non ha alcun personaggio in comune con il capostipite.
Jigsaw e Amanda? E ti pare poco?
Mi pare pochissimo, considerando che entrambi apparivano nel film del 2004 sì e no per cinque minuti a testa, e che uno dei due è il motivo per cui la vicenda prosegue.
Per questo motivo, ho deciso di non dedicare un post a ogni film, altrimenti non avremmo mai portato a termine l’impresa, ma di suddividere questo tentativo di analisi di una saga che, nel bene e nel male (soprattutto nel male) ha contraddistinto e anche definito l’horror del primo decennio del XXI secolo, in “stagioni”.
Saw è infatti, molto prima che a questa idea ci arrivasse la Marvel, non tanto una saga horror come potevano essere Nightmare o Venerdì XIII, ma una serie tv portata su grande schermo: Saw, di James Wan, è il pilot inconsapevole di essere tale, i capitoli dal II al IV sono la prima stagione, mentre quelli dal V al VII la seconda, molto al di sotto delle aspettative (e degli incassi) e quindi interrotta.
Ci occuperemo infine del tentativo di rivitalizzare la formula con il tardivo, ma comunque interessante Jigsaw, del 2017, e poi ce ne andremo al cinema a vedere Spiral, sapendo almeno in parte cosa dobbiamo aspettarci.

Come abbiamo visto nell’articolo precedente, nessuno si aspettava che Saw avesse il successo planetario che ha avuto. Non era quindi previsto un seguito e anzi, Wan e Whannel erano al lavoro sulla loro opera seconda (Dead Silence) quando, appena una settimana dopo l’uscita di Saw nelle sale, la Lions Gate decide di finanziare un secondo film.
Il problema è che non esisteva una sceneggiatura pronta.
Intanto, un regista di videoclip di nome Darren Lynn Bousman, sta cercando disperatamente di vendere a qualche casa di produzione uno script intitolato The Desperate. Il produttore di Saw, Gregg Hoffman, se lo ritrova sulla scrivania e contatta Bousman: “Ti produco io il film, ma lo chiamiamo Saw II”. Whannel si dichiara disponibile a dare una pulita generale alla sceneggiatura, e a integrarla il più possibile con l’idea originale alla base di Saw. Le riprese cominciano a fine aprile del 2005 e il film è pronto per uscire in sala per la settimana di Halloween; da quel momento in poi, Saw diventerà, almeno per cinque anni IL film di Halloween.

Il breve sunto della storia produttiva di Saw II è utile a capire che, al netto delle teorie dei fan e dei fiumi di inchiostro virtuale versati per dare un senso all’intera saga, non c’è mai stata una vera e propria progettualità nel passaggio dal primo al secondo film. Al contrario, si è presa una sceneggiatura inedita e la si è aggiustata alla bisogna.
Vista la non disponibilità di James Wan, in altre faccende affaccendato, non cambia soltanto il passo narrativo del film, ma anche lo stile di regia, affidata a un esordiente abituato a usare un linguaggio molto specifico, quello del videoclip; Bousman non ritiene necessario modificare il suo stile nel passaggio da un media a un altro, si limita ad applicare ciò che conosce al cinema, e in questo crea lo stile della saga di Saw, che per quanto esteticamente povero, brutto e di pessimo gusto, è inconfondibile.
A parziale discolpa di Bousman va detto che il sistema di accelerazioni, dissolvenze in bianco e montaggio rapidissimo esisteva, in parte, anche quando al comando c’era Wan. Ma lì erano espedienti per portare a casa un film con un budget scarso o inesistente; dal secondo film in poi, il tutto, oltre a essere esasperato a un livello mai visto prima, diventa la cifra stilistica dell’intera serie, il tratto distintivo, il collante tra un film e l’altro.
Insieme alle trappole, ovviamente.

Nel secondo film, il focus della narrazione si sposta decisamente verso i meccanismi messi in campo da Jigsaw per infliggere quanto più dolore possibile alle sue vittime, da un lato; dall’altro, si sposta verso il personaggio di John Kramer, mera comparsa fino a quel momento, che qui diventa il protagonista assoluto della vicenda, con tanto di flashback dedicati al suo passato e spiegoni interminabili sulla sua “filosofia”.
Una cosa normale nell’ottica dell’horror seriale: il villain, di solito poco presente nei capostipiti, prende sempre più spazio nei seguiti. Ma qui, lo abbiamo già detto, non siamo nei territori un po’ camp di Jason o Freddy, qui siamo entrati nei luoghi oscuri del torture porn post 11 settembre, e l’attenzione spropositata al meccanismo di tortura in quanto tale, unita a quella per le motivazioni di un assassino moralista e convinto di impartire chissà quale lezioni di vita ammazzando a destra e manca, assume un senso sinistro, di puro cinema reazionario.
Altro punto fermo della saga sarà il mantenimento del finale con colpo di scena che ribalta tutta la situazione vista fino a quel momento. Trucco già presente nel primo film (Jigsaw è sempre stato nella stanza), ma da qui in poi condotto con una certa dose di disprezzo per l’intelligenza del pubblico, obbligato a sospendere l’incredulità di fronte a trappole che necessiterebbero di anni e anni di meticolosa progettazione, fondi di denaro pressoché illimitati e anche la capacità di rendersi invisibili per passare inosservati mentre si costruisce il tutto, e a risvolti nella trama sempre più grotteschi e improbabili.
Ancora nel secondo film, il fatto che Amanda venga presentata come complice di Jigsaw fa presagire qualcosa di molto interessante, un rapporto, tossico e di certo poco sano, tra “mentore” e allieva che forse avrebbe potuto contribuire a dare un po’ di spessore e umanità alla vicenda.
Ma la scrittura è debole, il rapporto non viene approfondito, tutta l’attenzione del pubblico dirottata su trappole ogni volta più complesse e micidiali.
Non so se sia un dato positivo o negativo, ma di certo Saw ha sdoganato il gore, anche “estremo”, qualunque cosa questo aggettivo voglia dire, per un pubblico più ampio, e ha anche aperto la strada a un periodo in cui gli studios davano budget consistenti a film ad alto tasso di violenza: il primo Saw costa a stento un milione di dollari, con il secondo il budget di produzione viene triplicato e vanno aggiunti altri tre milioni solo per la campagna pubblicitaria. Con il quarto film arriviamo a ben 10 milioni di dollari per un prodotto che, si sapeva, sarebbe uscito (tagliato) con la categoria Restricted. Se gli anni che vanno, più o meno, dal 2005 al 2010 sono contraddistinti da horror a budget medio alto e targati R, il merito (o la colpa, a seconda di ciò che ne pensate) va tutto alla saga di Saw.
Con tutto che si tratta di tre film mediocri a voler essere generosi, rimangono lo stesso di gran lunga superiori a ciò che sarebbe arrivato dopo; qui si nota ancora il desiderio di raccontare una storia, per quanto confusa e complicata e appesantita da un messaggio equivoco.
In seguito, e soprattutto nei capitoli VI e VII, ogni cosa si sarebbe ridotta a uno spettacolo per guardoni; cosa che la dice lunga sull’opinione elevata che alla Lionsgate avevano del pubblico di riferimento della saga. Ma alla fine, il pubblico è sempre migliore dell’opinione che di esso hanno le produzioni e, dopo aver raggiunto il picco di incassi con il quarto film, la saga registrerà un calo costante che porterà, gradualmente, alla sua fine.
Ma di questo ne parliamo la prossima volta.

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