Black Summer — la serie

Germano Hell Greco
M E L A N G E
Published in
5 min readMay 27, 2019

È vero, gli zombie ci annoiano.

O forse no? È con diffidenza, ormai, che approccio nuove storie appartenenti a questo filone, perché di zombie si è detto e scritto troppo. Di sicuro non tutto, ma abbastanza per desiderare di metterli da parte per un buon decennio, almeno, in caldo, in attesa di riscoprirli. Fa tutto parte della ciclicità.

Ma arriva Black Summer, tratta di un’apocalisse zombie. La si accoglie col sopracciglio alzato, come Sick Boy sul divano accanto a Renton, consapevoli che, incredibilmente, con gli zombie non abbiamo ancora chiuso la partita.

Ci sono i sopravvissuti, devono lottare per arrivare a un’oasi di salvezza, tutt’intorno a loro la civiltà crolla con velocità incredibile.

Liscio, familiare, sempreverde. Alla maggior parte piace così.

E sebbene, in questi giorni, molti si siano scoperti orfani di Z-Nation, la verità è che io non sono tra questi, e la serie della Asylum, pur essendo oltremodo dignitosa quando non bella, nonostante la mescolanza tra epicità e trash, non mi ha mai appassionato davvero. The Asylum sbarca direttamente su Netflix con Black Summer. E dobbiamo farci i conti.

Lenta, veloce, troppo lunga, troppo corta. Non accetto più simili aggettivi. Non hanno senso.

Black Summer si presenta con rispetto per la materia e a viso scoperto. Proprio perché tratta di temi così abusati, non può contare sull’effetto sorpresa. Superfluo, quindi, sfoderare il set di trucchi, imbellettarsi, e mostrarsi più fighi di ciò che si è. Può contare, oltre che sui mezzi di produzione, sugli attori e sulla corporazione di mestieri di cinema e televisione, solo sulla storia. La storia deve esplodere, diventare un meccanismo di precisione e proseguire netta, senza sbavature.

Missione compiuta.

A partire dal montaggio che incastra le fasi temporali presentando medesimi eventi da molteplici punti di vista, per amore di chi vuol conoscere proprio tutto di ogni situazione. Il risultato, anche in questo caso, pur non essendo io amante di questo tipo di visione, non è stucchevole. Affatto.

Si inizia pericolosamente, con una mamma, Rose (Jaime King), che perde in un colpo solo marito e figlia, in circostanze “note”, per così dire. Si è sul baratro del sentimentalismo sullo sfondo dell’apocalisse, ma lo si supera agilmente.
Occorre un atto di fede e proseguire almeno fino al termine del secondo episodio.

Dopo, su un totale di 8 puntate, la serie diventa sempre più dinamica, sveste i panni del disorientamento classico, innestato sul conflitto civiltà/presa di coscienza del crollo della medesima, e diventa pura azione.

L’intreccio è semplice, quasi elementare, un gruppetto variegato di superstiti deve attraversare l’aria metropolitana di una città e arrivare allo stadio, dove l’esercito sta raccattando i rimasugli di popolazione per trasferirli in zone sicure.

Ci si deve organizzare per farlo, lasciando alle spalle il proprio passato in un quarto d’ora.

Si apprezza, per la prima volta, credo, la sensazione di avere a che fare con persone normali, non guerrieri iper-addestrati. Si raggiunge la summa di tale impostazione nell’episodio quattro, dedicato al personaggio più debole, Lance, che siamo tutti noi, bestie da divano e laptop. Faticheremmo davvero a sfuggire a una sola di queste creature, la maggior parte di noi non arriverebbe a dieci metri dalla porta di casa.

Gli zombie appartengono alla visione moderna: infetti veloci e inarrestabili.

L’idea che la società possa collassare in mezza giornata di fronte a tali esseri appare meno improbabile del solito, blindando la volontaria sospensione dell’incredulità.

È davvero difficile prendere la mira e colpire gli zombie alla testa, se questi sono bestie inferocite e si muovono come tori nell’arena.

Il viaggio attraverso la città da parte dei superstiti sa di discesa progressiva verso il caos. Più avanzano e maggiore si avverte il crollo repentino della civilizzazione, tra gruppi di ragazzini riorganizzati in una breve, per quanto gradevolissima riedizione del Signore delle Mosche, fino a bordelli che offrono facili piaceri sull’orlo della Fine del Mondo. Tutto come ci si aspetterebbe che fosse, persino la sgradevole sensazione che le autorità non esistano che a (sempre più vuote e isolate) parole e che l’idea di mandare la gente allo stadio sia frutto di ben altra esigenza…

Piccolo mistero/curiosità: da più parti ho letto che Black Summer costituirebbe un prequel a Z-Nation.

L’idea troverebbe conferma in due citazioni:

- il titolo stesso, Black Summer, che richiama un dialogo tra Roberta Warren e Mark Hammond dove ci fa riferimento a un’ ”estate nera”, nell’episodio 1 di Z-Nation.

- le voci che circolano tra i superstiti di BS circa un’orda, una mandria costituita da decine di migliaia di zombie che sta percorrendo il territorio degli Stati Uniti distruggendo ogni cosa. L’orda, se ricordate, è al centro di un bellissimo episodio di Z-Nation.

Eppure, al di là dell’assoluta diversità di caratterizzazione dei personaggi di BS rispetto a Z-Nation, la prima, qui trattata, che richiama maggiormente l’impostazione adrenalinica della serie dei 28 Giorni/settimane dopo, e delle precedenti citazioni, canali ufficiali di SyFy confermano l’assoluta mancanza di legami tra le due serie, che costituiscono prodotti assolutamente originali e indipendenti.

Diversità di costruzione, narrazione, impostazione, genere e sfumature. Black Summer predilige l’impianto realistico, coi personaggi che, per presentarsi non ricorrono ai ricordi dei tempi felici e a noiosi flashback, ma possono contare solo sul presente. Un presente senza ipocrisie, dove nemmeno nei sogni si sfugge dall’angoscia.

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Kick-Ass Writer. Short Tempered Blogger. Editor in chief.