Bussano alla Porta

Germano Hell Greco
M E L A N G E
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3 min readMar 21, 2023

Ormai la mia relazione unilaterale con M. Night Shyamalan è cosa nota. Da un certo punto di vista, il nostro incarna tutto ciò che non vorrei essere come narratore.

Ogni volta che mi avvicino a una sua opera non so come ne uscirò. Certo, forse il fatto che continui, nonostante cose come After Earth, ad avvicinarmi alle cose che produce, fa propendere l’ago della bilancia in modo drammatico.
Shyamalan continua a piacermi, come dice la gente coinvolta in relazioni burrascose e altalenanti.
Il nostro non tornava a firmare una sceneggiatura da After Earth, appunto. Certe cose quindi, lasciano il segno. Persino su di lui.

Com’è quindi, Bussano alla Porta?
Intanto posso dirvi cos’è: è ciò che Shyamalan fa da quando ha iniziato la carriera.
Ovvero scrive cose ambiziose e gigantesche, che vorrebbero, per essere sviluppate a dovere, finanziamenti faraonici, ma le fa con pochi soldi. Solo che lui non è John Carpenter. Alla fine credo sia l’ambizione che lo freghi. Carpenter non aveva aspirazioni in stile Icaro, non ha mai voluto volare fino al sole.
Shyamalan sì.
E finora la cera sulle ali gli si è sciolta quasi tutta.

Bussano alla Porta è imperniato sulla sceneggiatura sua, co-firmata da Steve Desmond (tratta da The Cabin at the End of the World, di Paul Tremblay), che vuole — incredibilmente — l’apocalisse alle porte fondarsi sulle scelte esiziali, stile Vecchio Testamento, di una famiglia qualunque, in un posto qualunque.
Famiglia che, ovviamente, non ha idea di avere tra le mani il Destino del Mondo, e quindi tocca a un gruppo di desperados illuminati sulla via di Damasco, scelti da Dio (?), perché a Dio piace non parlare in modo chiaro, come sempre, recarsi dalla suddetta famiglia e renderli edotti della situazione e di ciò che ci si aspetta da loro.
A parole e con i fatti.

Tra gli illuminati abbiamo Dave Bautista e Rupert Grint (sprecatissimo).
Bautista si veste da Atlante, piuttosto, e regge sulle sue spalle tutto il film. Costui è un esempio intrigante di tizio che si è fatto un mazzo così per imparare a recitare e essere preso sul serio. E ci sta riuscendo. Fisicamente è sempre — e temo lo sarà sempre — difficile piazzarlo, perché devi letteralmente costruirgli addosso dei ruoli, ma lui si mette sotto con la caparbietà di un muflone e recita al meglio delle sue possibilità, ogni film spostando l’asticella del rendimento un po’ più in là.

E sì, nel cast c’è anche Jonathan Groff (il reduce da Manhunter, la serie Netflix meravigliosa stroncata da David Fincher che non c’ha ca**i di proseguire), ma la vera star è Kristen Cui (Wen), la microscopica attrice che si mangia il film insieme a Bautista. Tanto brava che non mi dispiacerebbe rivederli insieme in qualche altra avventura (NON di supereroi, please, abbiate pietà).
E la sequenza finale, dove Wen è in auto alle prese con l’autoradio con Ben Aldridge basta, da sola, a farne un meme e quindi a proiettare il film nell’empireo.

Guardatelo, ché male non fa.

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Germano Hell Greco
M E L A N G E

Kick-Ass Writer. Short Tempered Blogger. Editor in chief.