Cosa ci insegna George Romero sulla fine del mondo
“Niente è reale finché non lo diventa.” (George A. Romero)
In questi giorni di pandemia ci sono un sacco di buontemponi che citano i film di apocalisse zombie di George A. Romero.
Tra quei buontemponi ci sono anch’io.
Sono un fan del vecchio George e sono a mia volta un autore di storie di zombie, o di presunti tali.
Mai in vita mia mi sarei immaginato di trovarmi in uno scenario che in qualche modo ricorda i suoi film — soprattutto il secondo, Dawn of the dead (Zombi, in italiano).
Ok, non abbiamo orde di cadaveri rianimati antropofagi che ci danno la caccia. Lasciamo da parte per un momento tutto questo. Però le atmosfere di un contagio “sconosciuto”, che si diffonde a macchia d’olio, con la popolazione che reagisce con isterica emotività o con folle menefreghismo, ricorda davvero Zombi.
I portoricani che si rifiutano di cedere i loro morti alle squadre SWAT, perché non riescono ad accettare che questa è l’unica strategia utile a mitigare il contagio.
Gli idioti (scusate il termine ) che escono allegramente a giocare al parco, ad affollare piazzette o altri luoghi di ritrovo, mentre le norme d’emergenza sanitaria ci ricordano ossessivamente che per mitigare l’epidemia occorre restare tappati in casa.
Vedete delle similitudini tra le due situazioni?
E ancora: le autorità che cercano di prendere contromisure sensate, in una situazione unica, inedita, imprevista. Salvo poi qualcuno che mette loro il bastone tra le ruote.
Quel qualcuno spesso siamo noi.
Noi, quelli che siamo pronti a scagliarci contro i politici inefficienti, contro i professoroni, che invochiamo l’uomo forte, ma che poi non siamo in grado di rispettare poche, sensate direttive che potrebbero fare la differenza.
Per fortuna non per tutti è così.
Per fortuna molti capiscono.
Non a caso i film di Romero sono specchi distorti di come le cose potrebbero finire molto male. Lui è stato l’alfiere, poi sono venuti altri registi e autori a ricordarci che la nostra stupidità è quasi sempre il fattore che ci porta oltre la sottile linea tra sopravvivenza ed estinzione.
Max Brooks, autore di World War Z, plurimamente citato su tutti i miei spazi (blog, canale YouTube, Instagram), è l’erede naturale di Romero, quando si parla di pandemie e di zombie. Tuttavia Brooks ha scritto un’apocalisse utopista, in cui l’umanità, sull’orlo del baratro, riesce a compattarsi, a capire cosa fare e come farlo, per poi salvarsi. E da questa salvezza (sul filo di lana) nasce anche una nuova civiltà — la nostra — un po’ meno egoista, un po’ meno dispersa tra miriadi di inutilità con cui oggigiorno riempiamo le nostre giornate.
Inutilità che in questi giorni di pandemia (reale) ci appaiono sempre più come dei meri passatempi per dimenticare la fragilità della società che abbiamo costruito.
Passatempi sacrosanti, per carità, parte di una rete di “intrattenitori” di cui faccio parte al 100%. Ma che ogni tanto ci fanno dimenticare che non siamo nati solo per le maratone su Netflix, tanto per dirne una.
Ma torniamo di nuovo a Romero.
Nel terzo film della prima, insuperabile trilogia, il regista sembra giocare in due squadre contemporaneamente.
La protagonista di Day of the Dead (Il Giorno degli Zombi), Sarah, è una scienziata. In un bunker abitato da una manciata di militari e da ancor meno civili, Sarah e i suoi due colleghi sono gli ultimi baluardi del sapere umano, coloro che si ostinano a capire perché è avvenuta la pandemia zombie che ha distrutto la nostra civiltà. Se i suoi colleghi cercano un’utopistica cura a una situazione oramai irrimediabile, Sarah è la più determinata a capire ciò che è successo e perché è successo.
Allo stesso tempo — e qui Romero si smarca e indossa un’altra casacca — John il pilota d’elicottero che fa da coprotagonista del film, rifiuta tanto il regime militare a cui è sottoposto il bunker quanto l’ossessione della ricerca di Sara.
(Sarah): Se tu hai un’idea migliore, che aspetti a tirarla fuori?
(John): Sì che ce l’ho, ce l’ho un’idea migliore, certo che c’è un’alternativa: salire subito su quell’elicottero, andarcene e sbarcare su un’isola deserta, goderci una vita tranquilla tutto il giorno sdraiati al sole! Che ne dici? (Il giorno degli zombi)
La cosa singolare è che spesso Romero ha rimandato al mittente le interpretazioni più filosofiche date ai suoi film. Tuttavia essi sono diventati metaforici loro malgrado, non a caso citati da centinaia di persone, da quando la pandemia di Covid-19 ha fatto un improvviso balzo a piedi uniti nella nostra realtà.
Senza volerlo Romero ci ha anticipato come avremmo reagito in una situazione simile (ricordiamo però che stiamo sempre parlando di uno specchio distorcente della realtà!), e di quali errori ci avrebbero fatto capitolare.
Non contro di loro, bensì contro noi stessi.
Però siamo ancora in tempo per sistemare le cose al meglio.
Non solo in questa occasione, in cui ce la caveremo (quasi) sicuramente, bensì anche nelle altre sfide che ci aspettano da qui al futuro, partendo dall’apocalisse climatica.
Siamo ancora in tempo ad avere uno scenario alla Max Brooks, e non uno alla Romero.
Però ora tocca a noi scegliere a quale opera di fantasia vogliamo ispirarci…