Ed ora, qualcosa di completamente diverso: Space Island One

Davide Mana
M E L A N G E
Published in
7 min readNov 15, 2019

L’hanno definita la miglior serie di fantascienza che non avete mai visto, e probabilmente hanno ragione.

Space Island One è il frutto della collaborazione di una compagnia di produzione inglese, la British Sky Broadcasting (BSkyB) con la Isle of Man Film Commission e con la tedesca VOX Film-und Fernseh. La serie venne girata interamente sull’isola di Man, ma praticamente non ci sono esterni, perché tutti e venticinque gli episodi si svolgono all’interno di una stazione spaziale in orbita attorno alla Terra.
L’idea di partenza è quella di creare una serie che, pur con un budget modesto, possa portare sullo schermo una rappresentazione realistica della vita di tutti i giorni su una stazione spaziale. Siamo nel 1998, lo stesso anno della messa in orbita dei primi elementi della Stazione Spaziale Internazionale, e le stazioni spaziali sono molto popolari: mentre i fan si accapigliano, Babylon 5 si avvia a chiudere il proprio ciclo proprio mentre Space Island One entra in produzione, e Deep Space Nine spegnerà le luci l’anno successivo.
C’è spazio per una nuova stazione — ed una che è completamente differente.

Un lavoro come un altro

Space Island One si svolge in un futuro molto prossimo, forse solo un paio d’anni.
La stazione orbitale Unity, sulla quale si svolge l’azione, assomiglia molto ai modelli della Stazione Spaziale Internazionale pubblicati sui giornali all’epoca, con l’aggiunta di un anello modulare che con la sua rotazione permette alla produzione di non spendere denaro nel simulare costose scene a gravità zero. Il servizio di navetta da e per la terra è gestito con degli Shuttle, e si fa spesso riferimento alla NASA ed all’ESA; il tempo di bordo è sincronizzato sull’ora dell’Europa centrale, perché è lì che si trova il centro di controllo.

La Unity è una stazione commerciale — è stata messa in orbita da un consorzio di multinazionali, con lo scopo di condurre degli esperimenti dai quali ricavare dei brevetti e sviluppare dei profitti. C’è ben poco di idealistico o poetico nelle motivazioni di coloro che hanno creato la stazione — Unity è un investimento molto oneroso, che deve generare degli introiti.

È in questo aspetto “commerciale” che la serie trova il primo motore dell’azione. I sette membri dell’equipaggio della Unity non si troveranno ad affrontare il mostro della settimana, ma invece revisioni del budget e esami di idoneità, tagli al bilancio e rinegoziazioni dei contratti, e la crescente impressione che la loro attività e la loro vita stessa siano in mano a individui che privilegiano i dividendi rispetto all’etica. E se c’è un tema che emergerà nel corso della serie è certamente una forte critica ad una certa forma di capitalismo aggressivo e senza volto, che tende a considerare le persone come uno strumento o come un intralcio. In questo senso la voce del Controllo, che arriva gelida e impersonale attraverso il sistema di comunicazione e che non offre mai soluzioni, ma si limita a presentare decisioni prese da altri o a richiedere spiegazioni delle decisioni dei protagonisti, è una perfetta rappresentazione di un potere senza volto.

Il resto della serie, al di là della sua base “ideologica”, è affidato a uno staff di scrittori che dovranno sviluppare le trame — uno staff che comprende autori di fantascienza come Stephen Baxter, Diane Duane e John Brosnan, ma anche Peter Hammond (famoso per Zaffiro & Acciaio, ma anche per alcuni episodi di Torchwood). L’idea è quella di avere delle trame plausibili, con un forte elemento umano, e una solida base scientifica.

Gente qualunque

Il cast include una serie di volti poco noti al pubblico italiano, per lo più veterani della TV britannica. Il generale anonimato dei protagonisti favorisce una certa incertezza — non sappiamo cosa aspettarci, perché non sappiamo quanto peso abbia quel membro del cast sullo sviluppo della serie. Ci sono dei buoni o dei cattivi? Di chi ci possiamo fidare?

Sulla Unity esiste una generica divisione fra lo staff scientifico e l’equipaggio tecnico. Da una parte, il planetologo Lyle Campbell, con le due biologhe Henrietta “Harry” Esherbach e Paula Hernandez, dall’altra la comandante e amministratrice McTiernan, il secondo ufficiale Walter Shannon, il tecnico e pilota Dusan Kashkavian ed il medico Kaveh Homayuni. Tuttavia, come nella realtà, ciascun membro dell’equipaggio svolge più ruoli, per cui lo staff scientifico è anche responsabile dei supporti vitali, ad esempio. Agli umani si affiancano il computer centrale Julius, due droni dotati di una SI (intelligenza soddisfacente) sviluppata illegalmente dal dottor Campbell, ed il gatto Matisse, formalmente di proprietà di Harry Escherbach.

Le trame di Space Island One traggono giovamento dall’essere state scritte da persone che sanno cosa significhi lavorare in un laboratorio, e che conoscono bene le dinamiche di una comunità chiusa, dove le partite a carte e gli amorazzi fra colleghi possono essere fonti di crisi più traumatiche dell’occasionale microorganismo marziano portato a bordo da una sonda, o di qualche malfunzionamento dell’attrezzatura.
E quella dei malfunzionamenti progressivi diventerà una sotto-trama alla quale gli episodi torneranno con crescente frequenza — attingendo alla lunga e pittoresca esperienza delle missioni MIR.

I sette uomini e donne della Unity si trovano quindi a confrontarsi con problemi quasi banali: Shannon, veterano della NASA, ha superato la cinquantina ed è considerato dall’azienda estremamente sacrificabile; la Escherbach beve e fuma (il che è male, in un habitat pressurizzato) e si scopre incinta dopo essere stata ammessa alla missione; Kashkavian è tanto brillante quanto indolente, e svilupperà una relazione sentimentale con la Hernandez, della quale è anche infatuato il nerd Campbell…
Potrebbe essere la base di una soap opera, un susseguirsi di situazioni già viste.
Invece l’elemento umano viene utilizzato da una parte per connettersi con il pubblico, e dall’altra per alzare la posta quando la crisi si scatena. Space Island One è una serie che copre coi suoi venticinque episodi circa due anni di vita della stazione, e si prende il tempo che le serve, mostrandoci un episodio dopo l’altro solo i rari momenti di caos che punteggiano una routine noiosissima.
Ed oltre al già citato caso del microorganismo marziano, gli uomini e le donne della Unity dovranno vedersela con incidenti e sabotaggi, con il taglio degli approvvigionamenti e con la reazione non proprio entusiasta dell’azienda all’idea di dover finanziare il primo parto in orbita. Ci saranno verifiche attitudinali, tagli agli stipendi, attività extraveicolari impreviste, guasti e accuse di plagio in ambito accademico. Ad un certo punto nessuno saprà che fine abbia fatto il gatto. Verrà valutata l’opzione di fornire un servizio di sepoltura in orbita per ricchi clienti. E ci sarà anche un UFO.

Riuscire a costruire una serie di episodi sulla semplice base di una realistica rappresentazione della vita di tutti i giorni nello spazio, in un prossimo futuro, senza scadere nella farsa o nella sciocchezza, e senza mai avere un cedimento della tensione non è un’impresa da poco.
Space Island One dimostra — ammesso che ci sia bisogno di dimostrarlo — che investendo sulla scrittura e sul cast, è possibile creare qualcosa di originale, intelligente e significativo.

Ma noi stavamo guardando altrove

Eppure nessuno lo ha mai visto.
Beh, non proprio.
Se lo ricordano bene gli inglesi e i tedeschi — perché in queste due nazioni la serie venne trasmessa con regolarità. In Germania si intitola Raumstation Unity.
Negli Stati Uniti venne distribuita su PBS, la TV ad accesso pubblico destinata ai programmi “intellettuali” — lo passavano prima degli episodi di Dr Who.
Nel resto del mondo non se ne fece granché, ed apparentemente in Italia nessuno la volle toccare neanche con un bastone. Chissà, forse perché non c’erano le pistole laser e le esplosioni, ed il personale della base indossava uniformi abbastanza noiose.
In totale vennero prodotte due stagioni, per venticinque episodi da quarantacinque minuti ciascuno.
Chi ha avuto modo di vederla, a trent’anni di distanza ancora ricorda la conclusione — ma non faremo spoiler.

Space Station One è stata una breve luce brillante nel panorama della fantascienza televisiva, e se è difficile reperire persino delle immagini online (quelle che illustrano questo post sono state catturate direttamente da schermo, e la qualità è quella che è) è ancora possibile reperirla, in DVD. Molti episodi sono disponibili su YouTube, per chi volesse proivare prima di acquistare.
È vero, sono passati trent’anni — non si parla di social media ma di riviste, i modem fanno quel suono orribile che facevano quando li attaccavamo al telefono, e ci sono ancora in servizio i vecchi Shuttle.
Gli effetti speciali sono poveri.
Ma è difficile, molto difficile, trovare qualcosa di meglio.

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Davide Mana
M E L A N G E

Paleontologist, writer, translator, blogger, game designer. Reader of books. Stranded in the wine hills of Piedmont, writing fantasy and SF to pay the bills.