Hagazussa — La Strega
XV secolo. La piccola Albrun vive con un’anziana donna, che scopriamo in seguito essere sua madre, in un casolare isolato sulle Alpi Austriache. Le due sono sole, emarginate dai pochi abitanti del villaggio, additate come streghe e minacciate di morte.
Quando la madre di Albrun si ammala e muore di un male misterioso, la bambina rimane sola.
La ritroviamo molti anni più tardi, madre a sua volta e a sua volta senza un marito.
Ma la solitudine non sembra pesarle più di tanto: ha la sua piccolina, un tetto sopra la testa, di che nutrirsi e una Natura potente e rigogliosa da cui trarre non solo sostentamento ma anche conforto e appagamento dell’anima.
Gli unici a turbare il delicato equilibrio della vita di Albrun sono, ancora una volta, gli abitanti del villaggio. Un giorno, proprio mentre sta cercando di sfuggire alle angherie di un gruppo di ragazzini, qualcuno finalmente prende le sue difese: è una donna di nome Swinda, che le si dimostra subito amica e cerca di convincerla ad entrare a fare parte della comunità, invitandola a incontrare il parroco.
È a questo punto che gli eventi cominciano a prendere una piega inaspettata, oscura e sovrannaturale, destinata a scatenare conseguenze tragiche.
Hagazussa è uno splendido esempio di “folk horror”, dove il vero orrore ha radici profonde nelle paure ancestrali dell’uomo, nel rapporto conflittuale con la Natura, nella superstizione, nel persistere di riti e credenze propri dei luoghi isolati dove la mancanza di riferimenti con il mondo esterno può essere causa di piscosi e comportamenti aberranti.
Non mi addentro in un’analisi strettamente cinematografica perché non è mio settore, ma alcune scelte come la fotografia maestosa, i lunghi silenzi interrotti solo da qualche dialogo, le sonorità cupe e primordiali, i tempi rallentati, ipnotici, sono state fondamentali nel creare questo senso di isolamento e di “vuoto cosmico” dove le paure dell’uomo vengono facilmente alimentate da qualsiasi elemento che entri in collisione con una visione del mondo chiusa e condizionata dalla religione.
In questo caso, l’elemento sovversivo è proprio Albrun, nome che richiama la parola alptraum (incubo), un demone del sonno che, appoggiandosi sul petto, induce gli incubi.
Sembra dunque un destino già segnato quello di Albrun; è il perfetto capro espiatorio su cui accanirsi, portandola verso un’alienazione che la spingerà a diventare ciò che già è agli occhi degli altri: la strega, l’Hagazussa, l’arcaica divinità germanica della Morte che, sotto forma di essere femminile, abitava il confine fra Vita e Morte ma anche fra mondo umano e mondo naturale.
Quello che accade da questo momento in poi è un susseguirsi di avvenimenti di cui è impossibile stabilire la vera natura: incubi, deliri, paranoia o veri e propri atti magici? Albrun è davvero una strega?
I confini fra reale e immaginario sono troppo sfumati, spesso sovrapposti, e il regista non regala alcuna semplice spiegazione, preferendo fornirci gli elementi per una lettura più ampia.
Infatti il film è così carico di quel simbolismo tanto caro ai demonologi del XV e XVI secolo che si finisce per credere che ciò che accade sia davvero frutto della stregoneria, di un potere superiore e malvagio evocato tramite una serie di rituali pagani messi in atto con l’intento di vendicarsi. Ma, allo stesso tempo, ci fornisce tutti gli elementi per comprendere il contesto storico in cui si colloca la vicenda e guardare agli eventi con occhio più critico: siamo nel XV secolo, in piena Caccia alle Streghe, in un villaggio sperduto sulle Alpi Austriache dove una donna che vive da sola, e per di più madre, è vista con sospetto, la peste reclama le sue prime vittime, la violenza sulle donne è un fatto comune, la superstizione e l’ignoranza permettono alla Chiesa di esercitare il proprio potere prevaricatore, la Natura è una forza misteriosa dove ciò che non è spiegabile è considerato opera del demonio, e la suggestione può giocare scherzi terribili a una mente già sconvolta.
Sta noi, alla nostra sensibilità e percezione, stabilire da che parte sta la verità ma, qualunque sia la risposta che decidiamo di scegliere, una cosa è certa: Albrun, strega vera o presunta, è una vittima per la quale è impossibile non provare compassione e sperare che trovi finalmente pace.
In molti hanno paragonato Hagazussa a The Witch ma, se posso essere d’accordo per quanto riguarda l’aspetto estetico e la tematica trattata, questa somiglianza si perde completamente nel destino delle sue protagoniste: se da un lato Thomasin “accoglie” il Male, anche solo come unica via di fuga e di riscatto dalla realtà e dal mondo che l’ha già condannata, e così facendo in qualche modo trova la sua dimensione, il male per Albrun è di tutt’altro tipo: un male subìto, un dolore costante e crescente che la spinge alla follia senza portarle alcuna consolazione. Il demonio, nel suo caso, è molto più terreno di quanto si possa immaginare.
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Il film è stato scritto e diretto da Lukas Feigelfeld ed è il suo terzo lungometraggio.
Albrun bambina è interpretata da Celina Peter mentre Albrun adulta ha il volto di Aleksandra Cwen, bravissima a comunicare con gli occhi e con i gesti le mille sfumature dei suoi sentimenti.
La colonna sonora “Hagazussa- a heathen’s curse” è opera del gruppo greco MMMD.
Il film completo è disponibile, in italiano, su youtube: