La Santa e la Strega
Tempo fa, mentre cercavo materiale sui processi per stregoneria avvenuti in Italia nei secoli XVI e XVII, mi sono imbattuta in film poco o nulla conosciuto dal titolo Gostanza da Libbiano. Realizzato nel 2000 dal regista Paolo Benvenuti, si incentra sul processo di una popolana realmente vissuta in quegli anni nella provincia di Lucca, Monna Gostanza, accusata di stregonerie.
Girato in un affilato bianco e nero, con l’effetto sgranato delle vecchie pellicole, il film ci porta dentro la sala degli interrogatori del Castello di Lari e ci fa diventare testimoni di un processo dove domande incalzanti e risposte, dapprima lucide e sicure, diventano man mano sempre più deliranti e disperate. Le sequenze della tortura non vengono mai inquadrate direttamente, ma basta l’ombra che si staglia sul pavimento per farne capire tutto l’orrore vissuto da Gostanza. Impossibile non pensare alla Giovanna d’Arco di Dreyer.
Pochissimi attori, su tutti, magnifica, Lucia Poli nella parte di Gostanza; una donna cui la vecchiaia e la vita non sono riuscite a cancellare l’antica bellezza; occhi profondi e diretti non privi di guizzi di orgoglio, pelle ancora liscia e capelli che sembrano più biondo cenere che grigi.
Sempre in quel periodo, avevo terminato la lettura della biografia di un personaggio femminile altrettanto interessante e “alternativo” per l’epoca in cui viveva: Ildegarda Von Binden, monaca benedettina vissuta in Germania nel XII secolo. Il confronto fra le due è venuto da sé.
Ma cosa potevano avere in comune due figure così distanti nel tempo e nello spazio, e pure per estrazione sociale e vocazione? Poco o nulla, infatti, tranne che un particolare: Ildegarda di Bingen (Germania, 1098–1179) e Gostanza da Libbiano (Italia, 1535–1595 circa) esercitavano entrambe la professione di erbarie e curatrici — diciamo pure di medichesse, tali erano le loro competenze.
Se una persona dagli occhi azzurri vede male o ha dolori agli occhi, deve subito mangiare dei finocchi o semi di finocchio, li deve tritare ed impastarne il succo e la rugiada dell’erba (che si trova su queste erbe) con un po’ di farina fina di frumento, e ne faccia una piccola focaccia. [Manuale della medicina di Santa Ildegarda]
Vado cogliendo della brettonica, la lavo, la pesto, nel mortaio, come l’insalata e ne cavo un succo. Lo do da bere tre, quattro, cinque mattine dicendo loro quanto più ne bevono quanto meglio è. [Gostanza da Libbiano, guarigione degli infermi]
Verrebbe da pensare che due donne dotate della capacità di riconoscere e curare le malattie grazie all’uso delle erbe fossero entrambe rispettate e tenute in grande considerazione. Ma non è così: delle due, una divenne santa e dottore della Chiesa, l’altra fu processata per stregoneria.
Chi non conosce almeno una delle due figure, penserà che, con ogni buona probabilità, la sorte peggiore sia toccata a Ildegarda, vissuta negli anni bui del Medioevo, in una terra, quella tedesca, a cui va l’orribile primato della persecuzione alle streghe e dei roghi.
Nulla di più sbagliato. Ildegarda di Bingen, decima figlia di un nobile, ebbe una carriera di tutto rispetto sia in campo materiale che spirituale: fu infatti, appunto, erborista, medico, scienziata, scrittrice, compositrice di melodie, teologa, trattatista , naturalista e poi ancora monaca, visionaria, profeta e voce in terra in diretta dall’Altissimo. Nel 2012 è stata proclamata addirittura Dottore della Chiesa, titolo di prerogativa quasi esclusivamente maschile.
Gostanza da Libbiano era invece una popolana toscana, vissuta dalle parti di Bagni, dove praticava con successo e competenza il lavoro di levatrice e curatrice, spostandosi di paese in paese per esercitare la sua arte ma anche per sfuggire alle dicerie. É già molto anziana quando è accusata di aver provocato la morte di alcuni bambini, e, nonostante l’età, viene portata al castello di Lari, davanti all’inquisitore Mario Porcacchi, francescano pervaso (e invasato) dal sacro fuoco della fede.
Di fronte ad un estenuante interrogatorio, che vede sul banco dei testimoni anche la nipotina, Gostanza dapprima nega tutto, spiegando l’utilizzo benefico di alcuni unguenti sulle partorienti, descrivendo minuziosamente le pratiche di guarigione e le informazioni sulle piante medicinali, tramandate da generazione in generazione, poi, sottoposta alla tremenda tortura della corda, ammette tutto, anche di più. Ammette di aver fatto uso di erbe a scopo malefico, di aver fritto ostie per offrire al diavolo, di trasformarsi in gatto nero e, perfino di, intrattenere rapporti carnali con il diavolo stesso. Insomma, la vecchia Gostanza è così stremata dalla paura e dal dolore che quasi vede come un sollievo il rogo a cui la sta per condannare il zelante francescano.
Inquisitore: chi li insegnò andare in su asino, chi la consigliò andare dove andavano l’altre donne et chi li condusse tal asino? Gostanza: quelle donne,et quel che la mi dixano non lo feci, perchè mi dixano che non ricordassi mai Jesù, et io lo ricordai et così rimasi quivi.
Inquisitore: che donne erano queste che la menorno o volevano menarla in quel luogho? Gostanza: io non le cognosco perchè era fra dì et nocte et non erano delle nostre, et ero in un campo sotto un noce.
Inquisitore: quante volte è ita in detto luogho? Gostanza: io non vi sono stata sei volte quando io ero giovane.
Inquisitore: in che modo faceva andarvi? Gostanza: io chiamavo ” Polletto” et veniva subito in forma di un animale, cioè di un capretto, et vi montavo sù et mi portava in un luogho dova si ballava e cantava et mille feste.
Quando la sorte della donna sembra segnata, ecco l’intervento di un altro personaggio, Dionigi Costacciaro, anche lui inquisitore, ma più anziano, più colto e, soprattutto, illuminato. Capisce subito che l’accusa è figlia della delazione, che la confessione, estorta con la tortura, non ha alcun valore e che Gostanza non è affatto una strega ma una abile curatrice, una domina herbarum. Dopo un intenso dialogo con la donna, in cui le mostra le contraddizioni della sua stessa storia di rapporti con il diavolo, annulla la sentenza di morte e la trasforma in qualche anno di esilio fuori dalle mura della città. Gostanza si trasferisce a Rivalto, un paese a poca distanza da Bagni, dove continuerà la sua attività di levatrice e curatrice fino alla fine dei suoi giorni. E, almeno per una volta possiamo dire che giustizia, anche se parziale, è fatta.
I diavoli — dice padre Costacciaro — sono deputati al fuoco eterno in continuo tormento. Non, come l’imputata ha dichiarato, in tanti tripudi, feste e baccanali… Nell’Inferno, non vi è altro che croci,tormento e fuoco eterno. Dove sono continue ed eterne pene. Dove non si gode, non si sollazza, non si lussuria, non si fanno baccanali d’allegrezza… Il Demonio altri non è se non un angelo caduto. E tutti gli angeli Dio benedetto li ha creati incorporei, senza membro atto alla generazione come gli uomini. Se ne consegue quindi definitivamente che ella ha deposto il falso.
Dunque, perché una tale disparità di trattamento verso due donne che condividevano la stessa visione naturalista, prammatica ed empirica della medicina primaria? Anzi, a ben guardare, delle due quella più sovversiva sembrerebbe proprio Ildegarda: colta, intelligente, visionaria, ribelle… Una donna con un QI da far paura e che anche ai giorni nostri sarebbe guardata con sospetto per le sue dichiarazioni e per la sua avanguardistica genialità.
Sono l’energia suprema e fiammeggiante che trasmette fuoco a ogni vivente scintilla…sono la lucente vita dell’essenza divina; scorro splendente sui campi, brillo sulle acque, brucio nel sole, nella luna e nelle stelle…Insieme al vento ravvivo tutte le cose con energia invisibile e onnipresente…Forza che penetra fino alle più alte altezze e in tutte le profondità, che lega insieme e fa maturare tutte le cose…da lei le nubi ricevono il loro movimento, l’aria il suo volo, le pietre la loro consistenza, per lei l’acqua zampilla in ruscelli e per causa sua la terra fa nascere le piante…
Eppure, a lei, vissuta in pieno Medioevo tedesco sono toccati onori e glorie mentre la povera Gostanza, che stava nella Toscana a cavallo fra Rinascimento e Umanesimo, ha visto il rogo molto da vicino. Perché?
La risposta è molto più semplice di quanto si pensi e sta in uno dei maggiori luoghi comuni storici che riguardano la caccia alle streghe, e cioè che essa sia prerogativa del Medioevo. Il che non è vero.
Se da un lato il Medioevo è effettivamente un periodo oscuro, fatto di guerre e violenze, su altri versanti c’è molta più tolleranza sia morale che religiosa. E la grande fortuna di Ildegarda è proprio quella di essere vissuta in un’epoca in cui sacro e profano ancora convivevano, in cui la ragione non aveva la pretesa di spiegare ogni cosa e l’ignoto e l’inspiegabile venivano accettati come emanazione del divino (di qualsiasi provenienza fosse), così come la sapienza popolare godeva ancora di grande rispetto e il panteismo magico era relegato dalla chiesa a poco più che chiacchiere passeggere e innocue, o farneticazioni di donne esaltate. Le streghe e i loro presunti sabba e voli a cavallo di animali notturni erano dicerie a cui non dare seguito per non alimentarne la superstizione, e perfino Carlo Magno aveva decretato la pena di morte a chi mandasse al rogo presunte streghe.
Il Canon Episcopi, primo documento ufficiale che regolamenta il comportamento della Chiesa verso presunte streghe, dice:
…certe donne depravate, le quali si sono volte a Satana e si sono lasciate sviare da illusioni e seduzioni diaboliche, che credono e affermano di cavalcare la notte certune bestie al seguito di Diana, dea dei pagani, e di una innumerevole moltitudine di donne; di attraversare larghi spazi di terre grazie al silenzio della notte profonda e di obbedire ai suoi ordini.
Insomma, la delegittimazione diventa l’arma migliore per combattere le credenze magiche e superstiziose legate al mondo delle streghe.
Tutt’altra storia per la povera Gostanza, che si trova ad esercitare la sua umile professione di erborista e levatrice a cavallo fra Rinascimento e Umanesimo. Cioè, quando ragione e rinascita culturale dovrebbero portare stabilità e conoscenza, e il laicismo dovrebbe ancora di più relegare le streghe e il loro mondo alle credenze del popolino. Però così non è e i secoli subito dopo il Medioevo sono più che mai oscuri: la dissoluzione del legame fra potere spirituale e temporale, le guerre, pesti e carestie, la minaccia dei Turchi, il grande scisma… tutti questi fenomeni tolgono sicurezza e trovano terreno fertile per un seme molto poderoso, quello della paura: paura delle guerre, della fame, delle malattie, dell’ignoto, della fine del mondo. Del diavolo, che è la causa di tutto e si nasconde dappertutto. E chi se non la donna, debole e licenziosa per natura, può essere veicolo migliore per le malefatte demoniache? Beh, la strega, no? Così, a partire dal 1400 e fino a metà del 1700 le streghe non sono più una diceria ma diventato un vero e proprio nemico, IL nemico, da combattere a suon di Bolle Papali (Ad Extirpanda, pormulgata nel 1252 da Innocenzo IV, che sancisce la prima approvazione pontificia della tortura come strumento di ottenimento della confessione, e nel 1326 la Super Illius Specula autorizza anche per le streghe la procedura prevista per gli eretici dando il via ufficalmente ufficialmente alla caccia alle streghe da parte della Chiesa, tramite l’Inquisizione) e trattati, dei quali, il più tristemente noto è opera di due domenicani tanto zelanti quanto fanatici, Jacob Sprenger e Heinrich Institor Kramer: il Malleus Maleficarum, ovvero, il manuale del perfetto Inquisitore.
Preferirei avere un leone o un drago in casa mia piuttosto che una donna … Non sorprende che le donne, deboli di mente e di corpo come sono, si facciano tanto spesso streghe … La donna è la lussuria carnale personificata … Se una donna non riesce ad avere un uomo, si unisce al diavolo in persona.
Di Sprenger e del suo fanatismo parla a lungo Jules Michelet nel suo trattato “La Strega”, ma basta una frase per capire che personaggio era:
Ci voleva un degno figlio delle scuole, buon scolastico, uomo ferrato nella “Summa”, saldo su San Tommaso, sempre pronto alla citazione. Sprenger era tutto. Anche scemo.
Nel pieno di questa frenesia antistregonesca ha la sfortuna di nascere e vivere Gostanza da Libbiano, che per giunta è anche povera, vedova con una nipote a carico, si spossa spesso per evitare sospetti e dicerie e si trova a condividere abitazioni con altre donne povere ed emarginate.
Come se non bastasse, ha conoscenze e capacità di un cerusico, se non addirittura superiori, che intreccia abilmente con espedienti della tradizione (come il misurare i panni delle persone per capirne i malanni): alle sue mani e alle sue cure la gente si affida nella speranza di alleviare le sofferenze e, come lei stessa dice con orgoglio all’Inquisitore, nessuno dei bambini da lei fatti venire al mondo è mai morto durante il parto. E questo è inconcepibile in un periodo dove la professione medica è viene sempre più istituzionalizzata (anche con una serie di sinodi volti a regolamentare le pratiche mediche) e ascritta la campo della scienza, di sola prerogativa maschile.
Sola, saggia, capace come e più di un medico “vero”, probabilmente anche bella (almeno in gioventù), stimata ma anche temuta: è il capro espiatorio ideale per invidie e sospetti, maldicenze e paure. Forse il fallimento di una cura o un parto andato male (è periodo di grandi epidemie e la mortalità infantile è alle stelle), ecco che la curatrice diventa la prima, e unica, sospettata.
La storia di Gostanza, singolare in molti aspetti, in particolare nel finale che la vede assolta nonostante le sue stesse dichiarazioni di connivenza col demonio, è rimasta pressoché sconosciuta per secoli. Almeno fino al 2000, quando Paolo Benvenuti decide di farne un film.
Film da vedere (si trova per intero su youtube), sia per chi volesse approfondire la storia di questa donna incredibile, sia per chi ama il buon cinema ma, soprattutto, per il messaggio molto forte che manda. Un messaggio più che mai attuale.
Un giorno — racconta Gostanza — quand’ero una fanciulletta di otto anni, trovandomi alla Fratta, la villa di mio padre, mentre che stavo da sola davanti alla casa, passarono di lì tre pastori che tornavano di Maremma. Mi presero in collo e mi menarono via. Mi portarono a Vernio, in casa di Francesco di Lorenzo, perché Lenzo, il suo figliolo, quello che mi aveva preso, mi sposò e mi prese per moglie.Pensate che strazio fu dormire con questo Lenzo essendo io di poca età! E avete a sapere, padre, poiché io vi ho a dire le mie vergogne, che i lupi non mangiarono tanta carne quanta ne fu strappata a me. Che essendo bambina di quell’età, mi rovinarono e mi rivoltarono nelle lenzuola tutta la notte.
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Fonti
- “Streghe. L’ossessione del diavolo. Il repertorio dei malefizi. La Repressione” di Pinuccia Di Gesaro (ed. Praxis 3)
- “Guida alle Streghe in Italia” di Andrea Romanazzi (ed. Venexia)
- “Sterghe. Storie e segreti” di Tersilla Gatto Chano (ed. Newton Compton)
- “Incanti e sortilegi. Streghe nella storia e nel cinema. Atti del Convegno “La strega, la santa e il processo” a cura di Dinora Corsi e Laura Caretti (San Miniato, 12–13 novembre 1999), ETS, 2002
- “Storia di un processo inquisitorio. Gostanza da Libbiano” di G. Ugo Berti; Susanna Berti Franceschi
- “Storia della stregoneria. Origini, credenze, persecuzioni e rinascita nel mondo contemporaneo” di Giordano Berti (ed. Mondadori) (ed. Elmi’s World)
- “La Strega” di Jules Michelet (ed. Bur)
- “Potenza della stregoneria/impotenza della donna” di Rossana Barcellona (Arabeschi — Rivista internazionale di studi su letteratura e visualità”)
- “Manuale della medicina di Santa Ildegarda” di Gottfried Hertzka / Wighard Strehlow (ed. Athesia- Bolzano)