L’anno dei dodici inverni
Gennaio 1982, un vecchio bussa alla porta di casa della famiglia Grandi incantandola con una storia che lo legherà indissolubilmente a loro: sta facendo uno studio sui bambini nati il giorno di Natale nella regione e vuole incontrarli una volta l’anno per seguirne la crescita. Chi è quell’uomo? E, soprattutto, come fa a sapere tante cose sul futuro? In quello stesso 1982 un ragazzo brillante e confuso intraprende la sua strada nel mondo, una strada che presto diverrà un vicolo cieco. Riuscirà a sottrarsi al suo destino? Nel 1997, due donne — la vedova Grandi e sua figlia Chiara, ormai adolescente sono in vacanza in Versilia, ma un incontro imprevisto cambierà per sempre le loro vite. In un prossimo futuro, in una Londra resa irriconoscibile da una guerra, un anziano poeta chiede udienza alla Chiesa della Divina Bomba. Dice di avere una proposta e una richiesta: vuole stringere un patto che può far rivivere, anche se in modo diverso, l’antico mito di Orfeo ed Euridice. Comincia cosi un viaggio incredibile che chiarirà ogni cosa, e dopo il quale niente sarà più lo stesso…
Seguo Tullio Avoledo fin dal suo eccezionale esordio con L’elenco telefonico di Atlantide e credo di essere uno dei suoi lettori più attenti e puntuali. Sì, oggi ho deciso che posso fare a meno della falsa modesta.
Ora alcuni recensori dall’ego lungo da qui a Melbourne ne parlano come di un autore destinato a entrare nei classici ed evocano un suo maggiore impegno nella letteratura “alta”.
A me invece piace partire da un presupposto ben diverso.
Tullio Avoledo è l’uomo (l’unico, credo), che ha riportato la fantascienza sugli scaffali più importanti delle librerie italiane. Lo ha fatto negli anni in cui gli editori nostrani pubblicavano pochissima fantascienza, classificandola come “thriller”, per la paura di disorientare il lettore, trattato come una specie di deficiente a cui rifilare qualcosa di facilmente classificabile.
Sì, okay, esistono tante realtà underground italiane che si occupano di fantascienza. C’è anche Urania, coi suoi alti e bassi, che non sempre riesce a proporre romanzi decenti, ma che comunque resta un’istituzione. Però Urania viene vista a sua volta come una cosa differente. Come una realtà da edicola, e quindi in un certo senso minore.
Ma Avoledo è diverso. Lui riesce a rifilare la fantascienza sotto il naso di chi mai la leggerebbe volontariamente. Partendo da certi editori. Lo fa mascherandola da racconto esistenziale, da classico moderno, da mainstream, perfino da romanzo d’amore.
E, intendiamoci, L’anno dei dodici inverni è tutto questo e anche qualcosina di più.
I temi centrali del libro sono due: la storia d’amore di Chiara Grandi ed Emanuele Libonati, e il concetto di viaggio del tempo. Mai obsoleto, sempre affascinante. Chi cerca una bella storia, anche toccante, sarà soddisfatto dalla prima interpretazione del romanzo. Chi invece ama la fantascienza intelligente e pensata, andrà in solluchero gustandosi le perle centellinate (è la parola giusta) da Avoledo.
L’amore per Philip K. Dick è talmente evidente che lo scrittore friulano s’inventa un futuro prossimo in cui esiste una religione dedicata Dick stesso, ma che mischia anche elementi e suggestioni tratte da un “videogioco del passato”, Fallout 3.
Ma i capitoli riservati al futuro compariranno solo alla fine del libro. Il principio invece è ambientato in un arco di tempo che parte dal 1982 e copre diversi anni, seguendo la nascita, la vita e la morte di Chiara Grandi. Questo, almeno, è ciò che è avvenuto nel passato dell’Universo A. Quel che invece si accinge a fare il protagonista, Emanuele Libonati, è tornare indietro nel tempo e raddrizzare quella singola vita, affinché essa non si autodistrugga. Anche se questo vorrà dire non poterla più conoscere come amante e compagna nel futuro.
Orfeo e Euridice, per l’appunto.
Lo stile di Avoledo è il solito, a cavallo tra il poetico e il concreto. Non c’è nulla, nella sua scrittura, che sia messo lì per caso. Anche quando così sembra, non illudetevi: tutto, anche i piccoli dettagli, arrivano prima o poi a confluire nella solida struttura programmata con certosina abilità. Ne L’anno dei dodici inverni quest’abilità di strutturare un romanzo in modo straordinario raggiunge il suo apice.
Una lievissima caduta di ritmo la si coglie semmai a metà romanzo, quando (ma lo scopriremo poi), assistiamo a come sarà la vita di Chiara Grandi dopo l’intervento retroattivo di Emanuele. Ecco, in quei pochi capitoli si perde un po’ di mordente, anche se la qualità rimane molto alta.
Inside joke, citazioni colte e profane (si va dalle poesie ai videogiochi), poesia pura e rare ma azzeccate spruzzate d’ironia completano quello che è romanzo eccellente.
Forse non per tutti, ma eccellente.