L’Oriente di Sean Russell

Bruno Bacelli
M E L A N G E
Published in
6 min readMar 17, 2022

Se parliamo di fantastico e di estremo oriente, il nome di Sean Russell emerge facilmente. Orientale non è, ovviamente (è canadese), ma ha saputo creare con la saga dell’Impero di Wa una storia che unisce l’estetica dell’estremo oriente, sostanzialmente Cina e Giappone, a una prosa di stile occidentale che ci permette di collegarci a quella cultura e mentalità.

La saga ci porta a un mondo immaginario ma non propriamente fantasy, sebbene qualche accenno a poteri straordinari esista. In italiano è stata tradotta dall’Editrice Nord, trasformando i due libri originari in una trilogia.

La serie inizia nel 1991 con The Initiate Brother (che la Nord ha pubblicato in italiano con il titolo Il Grande Iniziato) e nel 1992 si conclude con il seguito, Gatherer of Clouds (in italiano: Il Signore delle Nuvole). Il libro “mediano” che completa la trilogia italiana, uscita nel 1998, si intitola Il Figlio del Cielo, ed è stato ricavato prendendo una parte dal primo e un’altra dal secondo libro in inglese.

L’atmosfera orientale Russell la crea con molti dettagli di contorno alle scene, dettagli a cui viene data una grande importanza. E quindi abbiamo i vari personaggi che si scambiano i convenevoli, profondi inchini dei subordinati ai nobili e ai capi, immancabili bevute di tazze di cha (tè), i servitori fedelissimi (o qualche volta traditori infami) e quasi invisibili, l’ammirazione per il canto degli uccelli, i fiori di ciliegio, i giardini curati alla perfezione, la musica e i poemi.

In un certo senso il succo della storia è anche (anzi, in buona parte) nelle pieghe di una diplomazia sottile e un po’ stucchevole tra i vari potenti, e in tanti dialoghi in cui il vero significato va intuito dietro le parole. Eppure la storia è avvincente: crea grande tensione con due filoni. Il primo è quello di Shuyun, ovvero il “grande iniziato,” un giovane monaco dell’ordine botahista, forse destinato a realizzare una profezia. Il secondo è quello di un nobile di una prestigiosa casata, condotta da Lord Shonto, abile generale. Shonto è odiato dall’imperatore, che cospira per sbarazzarsi di lui. Peggio ancora, mentre l’ordine Botahista è caduto in disgrazia presso l’imperatore, Shonto mantiene con i monaci un abituale accordo, per cui si serve di loro come consiglieri: e guarda caso è proprio Shuyun che verrà al suo servizio. I due filoni non si amalgamano benissimo, come vedremo.

Nel primo libro Russell semina alcuni indizi sulla crisi interna dei Botahisti: essi sono divisi in un ordine maschile e uno femminile, non senza contrasti e rivalità; inoltre ci sono problemi sulle linee di condotta da seguire e sulle sacre scritture. Ma proseguendo la narrazione l’autore congela questi fermenti e si focalizza sulla missione militare che l’imperatore Akantsu affida a Lord Shonto, che vede come un potenziale rivale. Anche perché Shonto ha adottato come propria figlia l’ultima rappresentante della casata imperiale sconfitta dai nuovi potenti: ha quindi in mano una pedina politica di grande importanza in vista del futuro matrimonio di lei. L’imperatore vuole rovinare Shonto, e lo incarica di fronteggiare i barbari in una provincia del nord, sperando che questo pericoloso rivale perisca o venga comunque indebolito nel conflitto.

Con questa mossa, un po’ stile Dune, Shonto ottiene un incarico apparentemente importante ma che lo mette in difficoltà… deve affrontare una missione che si rivela pericolosa perfino nel viaggio di avvicinamento alla provincia minacciata dai barbari.

Da qui in poi diventa inevitabile anticipare elementi sostanziali della trama, pertanto se volete leggere la serie è meglio se ci lasciamo.

Il monaco Shuyun e Lord Komawara, un nobile la cui casata è caduta in disgrazia, formano a questo punto una coppia di eroi per tutte le occasioni, risolvendo seri problemi e procurando informazioni per Lord Shonto. Fondamentale la ricognizione che effettuano nel deserto del nord per raccogliere informazioni sull’invasione che si sta preparando, in modo da mettere a tacere gli scettici. Shonto viene a sapere che la minaccia è reale, e secondo alcuni chiari indizi è finanziata dall’interno dell’Impero di Wa. Infatti è lo stesso imperatore che mette a disposizione l’oro, affinché il Khan dei barbari raduni forze sufficienti a schiacciare Shonto e le forze della provincia minacciata di Seh.

La mossa di Shonto, che non ha forze sufficienti, sarà di ritirarsi verso sud, ponendo in atto le distruzioni e i sabotaggi necessari per rallentare la calata del Khan. In questo modo metterà l’imperatore di fronte al disastro che ha causato, poiché la minaccia è tale che l’impero stesso può esserne travolto. Akantsu sarà quindi costretto a mobilitare un esercito e ad aiutare Shonto, o a subire le conseguenze dell’invasione. Un generale della guardia imperiale verrà mandato a nord, in effetti, ma solo perché è caduto in disgrazia. Nemico di Shonto, questo ufficiale si renderà conto del pericolo e diventerà suo alleato, ma non riuscirà a far rinsavire Akantsu. Nel frattempo la bellissima figlia adottiva di Shonto si dedica all’educazione sentimentale del giovane monaco Shuyun.

Lord Shonto si ritira verso la capitale, e viene inseguito da centomila barbari inferociti. Quindi il problema arriva “a casa” dell’imperatore, in modo che non potrà essere ignorato, Così si arriva alla battaglia finale in cui le truppe dell’imperatore, schierate malissimo (così ci dice l’autore, ma non spiega veramente perché), vedono la consistenza del nemico solo quando al mattino si alza la nebbia. Presi dallo sgomento sono attaccati con ferocia e si sbandano, e la battaglia è persa prima di essere combattuta (l’esercito di Shonto, affiancato a quello imperiale, se la cava un po’ meglio). Sarà una pestilenza a fermare l’invasione barbarica, poi il libro si chiude annodando i vari fili della vicenda. Chi vive, chi muore, chi verrà ricompensato, chi avrà il potere dopo che Akantsu sarà travolto dalla propria idiozia. E ovviamente le diatribe religiose dei Botahisti. Che riemergono verso la conclusione della faccenda militare, per assumere di nuovo importanza nel finale: ma la questione di Shuyun e della sua missione religiosa è a questo punto una specie di postilla non molto interessante, a mio parere.

Provo delusione per questa serie, per quanto la tensione della vicenda mi abbia spinto a divorarla velocemente. Forse la storia di quello che succede ai monaci era importante, più di quanto io percepisca, e ha imposto all’autore una conclusione affrettata delle altre questioni aperte. Tuttavia viene “anche” descritta una grande guerra, la cui narrazione deve poter reggere lo scrutinio, che sia l’argomento principale o no.

Quindi: primo problema, l’imperatore è raffigurato quanto meno come un crudele idiota, e ad ogni modo non è credibile che proprio lui sia così disinformato. Sono abbondanti le occasioni (non le ho descritte tutte) in cui dovrebbe rendersi conto di aver creato una minaccia troppo grande, nella sua foga di mettere Shonto in una situazione senza uscita. Akantsu ha al proprio servizio un nobile della provincia settentrionale minacciata, uno che collabora con il Khan e rivela a un certo punto il proprio tradimento. Pertanto fin dall’inizio dovrebbe essere ben informato su cosa si sta preparando; invece non lo è. Nonostante la lunga avanzata e le schermaglie tra i barbari e Shonto, tutto l’esercito imperiale è inconsapevole di quanto possente sia la minaccia nemica, nessuno ha esplorato, nessuno ha guardato al di là del proprio naso… per settimane o mesi. E inoltre la narrazione è carente: della caduta della provincia del nord vediamo pochissimo. E quando finalmente potremmo avere una grande battaglia campale ci vengono offerte solo alcune scene confuse, poi tutto termina con una grande sconfitta, la faccenda è quasi finita prima di iniziare. La morte di un personaggio di estrema importanza avviene “fuori scena” e viene soltanto riferita. La mia sensazione è che Russell se la sia cavata così in quanto mancante della capacità di scrivere di cose militari. Magari in altri libri lo ha fatto con competenza, se è così sono disposto a ritirare quello che ho scritto. O forse Russell ha dovuto affrettare il finale perché, dopo aver descritto cento cerimonie del tè e infiniti tramonti, non c’era più spazio per chiudere la storia in due soli libri. Ad ogni modo Akantsu, la nemesi di Shonto, è descritto come malvagio a livelli paradossali, ma mancante di alcuna competenza, diciamo che è un “cattivo” molto deludente.

Quanto al Khan, si viene a sapere che è barbaro solo per metà, non manca di una certa sofisticazione. Un antagonista interessante, un grande conquistatore… che si rivela in realtà una maschera di cartapesta. Ci viene mostrato solo in una scena e poi muore come un imbecille, tradito dai suoi, senza che nessuno lo protegga.

Cosa dire di questa serie di Sean Russell? Parte bene: l’autore crea una grande aspettativa, ma poi non mi pare capace di tirarne le fila alla conclusione.

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