[Quinto elemento]: Devs

Germano Hell Greco
M E L A N G E
Published in
6 min readApr 22, 2020

Lavoro come editor.
Nel mio lavoro bado a cose come l’intreccio, i personaggi, la coerenza della storia. E i refusi.
Ecco perché, quando Katie - interpretata da Alison Pill (che avete visto anche in Picard)-, nella sesta puntata di Devs, la spara grandissima, anzi ENORME, ho iniziato a tremare.

[scusate, ma da qui in poi c’è uno spoiler quantistico]

Perché io ho visto Lost.
E so che succede quando uno la spara così grande.
Scrivere è bello, perché da scrittore puoi scrivere — quasi — tutto. È il potere della creazione.
Ma quel potere da solo non basta. Occorre supportare la potenza creatrice infinita con la coerenza. Bisogna moderarsi.
Oppure si finisce col fare quello che fa Katie in Devs, annunciare, seduta a un tavolo in una cucina qualunque una sera qualunque, l’orizzonte degli eventi.
E — dopo l’annuncio — pregare gli dei e sperare di riuscire a sbrogliare il nodo gordiano della trama in soli due episodi rimasti. Sprovvisti di spada.

Si può anche annunciare, badate bene, l’orizzonte degli eventi.
Abbiamo appena detto che il potere dello scrittore è infinito.
Solo che, poi, quando è ora di chiudere i conti, non te la puoi cavare con una confezione di tarallucci e una bottiglia di vino rosso e sperare di essere preso sul serio. Dopo.
Questa la premessa.

Passiamo a Alex Garland.
Che, scrittore e regista, da parte sua ha firmato, oltre a Devs, due cose: Ex-Machina (trascurabile, in quanto non si discosta di un millimetro uno dagli stereotipi narrativi sull’intelligenza artificiale), e Annihilation (che invece consiglio). So che là fuori la pensate esattamente all’opposto, ma che volete, qui le cose stanno così.
Ecco, Alex Garland, con Devs mette in piedi una miniserie di otto episodi bellissima. C’è quel tocco di scienza (perché c’è) e fantascienza spinta (ma plausibile, probabilmente raggiungibile) e un cast intrigante, ben amalgamato.

La scienza in Devs non è così irrealistica come si possa pensare.
Alla base dell’intreccio c’è il supercomputer, un computer quantistico, il cui codice ambisce a decodificare il linguaggio di Dio.
Scienza e fede si intersecano, attraverso il dominio del tempo.
Il tempo, per Dio, non è una linea retta, perché ogni istante è presente a se stesso. Dio non fa distinzione fra passato, presente e futuro, perché ogni evento esiste nello stesso momento.
Il supercomputer di Devs, tramite un sofisticato codice, è in grado di ricostruire e prevedere gli eventi, OGNI evento possibile mai accaduto e che deve ancora accadere.

Volete vedere la crocifissione sul Golgota? Potete farlo.
Volete vedere i dinosauri aggirarsi su Pangea? Potete farlo.
Volete vedere il futuro? Potet- Be’, ne parliamo tra poco.

L’idea è affascinante. Di più: fantastica.
Quindi è bene stabilire subito un fatto: i computer quantistici esistono, sono una realtà, e impiegano la teoria dei quanti per incrementare esponenzialmente la loro capacità di calcolo.
E sì, assomigliano a quella specie di struttura steampunk che si intravede all’ingresso del Devs.
È quello il supercomputer, quello che sembra un dispensatore di birre particolarmente complesso. I computer quantistici hanno proprio quell’aspetto lì.
Per citare l’evento per ora più eclatante nella storia di questo tipo di computer: Google, lo scorso ottobre, ha dichiarato che il suo supercomputer quantistico è stato in grado di completare in soli 200 secondi un calcolo che un computer normodotato avrebbe risolto in oltre diecimila anni.

Per ciò che concerne la capacità di questi computer di guardare avanti e indietro nel tempo a piacimento, ecco… lì siamo ancora nel campo della speculative fiction.
Finora, i fisici sono stati in grado, sempre grazie ai computer quantistici, di invertire il corso del tempo relativamente a particelle subatomiche.
Quindi diciamo che ciò che più si avvicina alla realtà, riguardo questo aspetto in Devs, è ciò che si vede all’inizio del primo episodio, la proiezione del comportamento di un singolo neurone. E quest’ultima cosa è già impossibile.

Nient’altro.
E per quanto riguarda il laboratorio sottovuoto fluttuante grazie ai campi elettromagnetici…
No. Nulla di così folle è a tutt’oggi fattibile.
A tutt’oggi.
Perché comunque esistono treni superveloci che si muovono proprio sfruttando l’elettromagnetismo, che li priva di attrito e li rende, per l’appunto, veloci.
Quindi, anche qui, in teoria è solo questione di “tempo”.

Però, come anticipato, arriva l’episodio 6.
E quella che finora è stata la narrazione avvincente dell’ossessione di un uomo, Forest (Nick Offerman), che per superare la prematura morte della figlia, ha inventato un computer per “riportarla in vita”, e che difende la supremazia tecnologica della sua azienda con le maniere forti, si tramuta in una gara a chi ce l’ha più lungo tra Garland e il resto degli sceneggiatori e scrittori di tutto il mondo.
Garland la vuole lui la supremazia quantistica della sceneggiatura.
E così, fa parlare Katie. Nel sesto episodio.

Far annunciare a un personaggio che il supercomputer del Devs (che finora ci ha mostrato l’inconcepibile) non è in grado di vedere oltre una certa data, equivale a annunciare, come detto, l’orizzonte degli eventi.

E badate bene, non la fine del mondo, della specie umana, e neppure la fine del sistema solare. Perché il computer è in grado di vedere in qualunque punto, nello spazio e nel tempo, quindi, che ne so, se volete dare un’occhiata ai Pilastri della Creazione da vicino, non dovete fare altro che impostare le coordinate e il supercomputer ve li mostrerà.

Dire che il computer non guarda oltre una certa data vuol dire che finisce tutto. TUTTO.
Anzi, di più, visto che il supercomputer è legato a filo doppio alla teoria del multiverso, vuol dire che TUTTO finisce allo stesso tempo, in TUTTI gli universi possibili.
Mica pizza e fichi.

Capite perché chi come me ha già visto Lost, non poteva non tremare di fronte a tale MONUMENTALE dichiarazione (fatta da un personaggio in una cucina una sera qualunque)?
Che cosa ti devi inventare, tu Alex Garland, per far finire il telefilm in maniera appropriata?
Una mission impossible annunciata. Una catastrofe ben prevista dal supercomputer. E da chiunque altro ne capisca un minimo di narrativa. Non di fisica quantistica. Di semplice narrativa.

Infatti Devs finisce.
E, in mancanza di sparate epiche, sarebbe pure finita nient’affatto malaccio. Ma capite che, dopo la frase di Katie, niente, nessuna trovata narrativa può sembrare poco più che una pezza messa lì per tappare una falla gargantuesca.
Qualunque finale possibile è niente in confronto all’annunciato orizzonte degli eventi.
Che — com’era ovvio — non avviene.
Il mondo va avanti.

Però, dicevo… Devs è molto, molto bella, a parte quel difettuccio, e qualche altro… tipo, un personaggio minore che agisce e poi viene dimenticato dagli sceneggiatori. Tipo quell’altra faccenda dei cessi con l’asse da due soldi… cioè, state nel Devs, la quintessenza della tecnica e della scienza… state in un cazzo di laboratorio fluttuante che nemmeno la fortezza delle scienze del dottor Kabuto e che fate? Montate i cessi con la tavoletta che sbatte, se non l’accompagnate? Ma che, davero? Manco i soldi per la tavoletta a frizione vi erano rimasti? Questo è indice di gravi tagli al budget…

Scherzi a parte, i momenti spettacolari ci sono eccome.
Tipo, l’immagine sgranata di Gesù crocifisso.
Tipo l’immagine dei nostri antenati che tracciano i graffiti sulle pareti delle grotte, in Francia.
Tipo il discorso su cosa sia da considerare vero, vivo e reale, a parità di dati interpretativi.
Tipo se le nostre scelte siano davvero coscienti o solo frutto di calcoli matematici predeterminati (che poi è su questo che si basa il lavoro del supercomputer al Devs, il determinismo).

E tante altre cosette davvero belline. La teoria del Multiverso sopra tutte le altre.
Adesso sta a voi, Devs è lì che attende. Non si muove. E non ci sarà nessun orizzonte degli eventi.

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