[Quinto elemento]: Junji Ito Maniac

Germano Hell Greco
M E L A N G E
Published in
3 min readFeb 21, 2023

Doverosa premessa: ho letto — e continuo a leggere — i fumetti di Junji Ito. E ho guardato Maniac, su Netflix.
La gente ha i suoi gusti. E sui gusti non si discute, per carità.
Eppure, Maniac è composto di racconti di Junji Ito. forse non i preferiti della maggioranza, ma sempre racconti di Junji Ito.

Ragion per cui anche le storie che non incontrano il gusto della maggioranza hanno il diritto non solo di esistere, ma di venire diffuse, magari anche per il piacere di chi quelle storie le ha scritte. E di qualcun altro — tipo me — che riesce persino a trovarle spettacolari.

Vengo dai fumetti, dicevo, per cui non sono rimasto troppo scandalizzato dalla qualità della versione animata di Netflix. Credo, alla fine, volutamente “retrograda”.
È lo stesso fenomeno che accade coi videogame pixellati (sì, lo so come si chiamano, ma non lo voglio scrivere, ndr). Danno l’impressione di essere anni Ottanta, ma sono migliori. I videogiochi degli anni Ottanta non sono mai stati così belli.

Stessa cosa accade con Maniac, dà un’impressione retro, come fossero cartoni degli anni ’70, ma in verità rispecchiano molto non solo lo stile di Ito, ma soprattutto — ed è un fatto — lo scarso dinamismo del tratto del maestro.

Oddio, l’ha criticatoh!
No, non l’ho fatto, torniamo al punto.

Da Ito non ci aspettiamo combattimenti e inseguimenti, ma l’orrore, quell’orrore che s’annida proprio al di là del velo del quotidiano, e che fa capolino di continuo nel mondo reale.
Spesso è un orrore senza logica, senza scopo: esiste.
E con la sua esistenza rovina la vita dei miseri esseri umani.

Alcune volte loro, gli umani, ne sono parte integrante, pienamente partecipi, altre volte i mostri sono alieni, posseggono logiche astruse, che non gli interessa per niente comunicare con noi.
E noi? Per la maggior parte delle volte subiamo, non possiamo fare altro.

Molte delle storie di Maniac non hanno un finale, ed è giusto così. Non ha senso spiegare tutto. Non è una lezione di astrofisica, questa, e voi non siete studiosi della teoria dei quanti (e anche se lo foste, il discorso non cambierebbe), questa non è fisica dell’orrore.
È orrore. L’orrore ha il potere di alterare la chimica del nostro organismo e la nostra percezione. In una parola: confonde.
E essendo confusi non badereste mica alla logica.

Maniac inizia in sordina, con racconti più grotteschi che spaventosi, ma cresce, fotogramma dopo fotogramma, fino alla sventagliata finale, che a mio parere chiude più che degnamente la serie.

Si tratta di venti storie — o spunti — distribuiti in dodici episodi da circa ventiquattro minuti.
E se è vero che — come nel caso di The hanging Ballons — incomprensibili deviazioni dalla fonte ne diminuiscono, di poco, la coerenza, il corrispettivo animato di altre storie, quali Tomb Town, The Thing that drifted ashore, Tomie, è più che efficace, collocando queste ultime tra le mie preferite.

Se proprio devo fare una scelta, però, sul podio piazzo The long hair in the attic, Headless Statue e, soprattutto, The Bully. Non tanto per l’abilità narrativa di Ito, che è fuori questione, quanto per la progressione che deturpa la grigia realtà attraverso i corpi degli sfortunati protagonisti.
E quindi la guardate.

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Germano Hell Greco
M E L A N G E

Kick-Ass Writer. Short Tempered Blogger. Editor in chief.