[Quinto elemento]: Pretty Little Liars

Kara Lafayette
M E L A N G E
Published in
6 min readApr 15, 2020

“Per favore, Jenna non può sentirci, è cieca!” (una delle tante perle di Hanna)

Le mie amikette

Non ci girerò molto intorno. Pretty Little Liars è, dal mio modesto punto di vista, la serie TV divertissement per antonomasia. Serie da femmine, direte voi. Serie sciocca e oblunga, il più delle volte insensata e patinatissima, che mescola più generi creando un pastrocchio dall’identità pittoresca. I più autorevoli diranno semplicemente che fa cagarissimo.

Vabbeh, ma pure tu, Aria!

Forse avete ragione voi. Eppure, le ragazze che vivono nella fittizia cittadina di Rosewood in Pennsylvania, sono state le mie amiche per sette anni. L’ultima stagione, uscita ormai più di due anni fa (sembra un’altra vita, letteralmente), ricordo che mi divertì da morire. Tutte le stagioni sono presenti su Netflix e quindi ho pensato di convincervi a guardarla. Specialmente voi che, in questo periodo di preoccupazione, stress, angosce varie, necessitate di intrattenervi e magari, allo stesso tempo, appassionarvi a una storia. Seguitemi e poi fatemi sapere se vi sono stata utile.

Sette stagioni. Sette anni di bugie, tra tagli di capelli, vestiti perfettamente alla moda (tutte quante, nell’ultima stagione, indossano pantaloni a vita altissima, è a causa loro che mi sono convinta a rivalutarli), cadaveri, manicomi, genitori biologici improbabili, bambole, modellini e cellulari che suonano. La serie, che parte come teen drama al liceo di Rosewood e finisce sempre lì, con le ragazze adulte (perché se qualcuno — o più stalker — ti deve perseguitare, lo deve fare per bene e durare sulla lunga distanza), ha dei picchi di genialità da scompisciarsi. Trovate assurde per poter dare un senso a tutto, un senso che nell’ultimo episodio mi ha fatto addirittura rabbrividire. E l’astuta idea, che funziona sempre, di chiudere il cerchio esattamente come è nato. Un moto perpetuo, un rimando all’eterno ritorno di Nietzsche.

SPENCER?! Maccosa…

“Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione — e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere.” (da: La gaia scienza — 1882)

Sì ma stai calma, Alison

Ma in questo caso a rivivere l’eterno ritorno è la città, Rosewood. Vera protagonista, come lo era Stars Hollow (il caso vuole che il set sia lo stesso) di Una mamma per amica. Rosewood, dicevo. Luogo da dove è impossibile fuggire, e le ragazze ci provano in continuazione. La prima è, naturalmente, Alison, colei che nella sigla delle prime stagioni non si vede, poiché dovrebbe giacere nella bara (in realtà nella bara c’è un manichino, oggetto che riporta alle bambole/modellini simboli della serie). Una sorta di Laura Palmer, carogna come poche, che durante il week end del Labor Day sparisce, dopo aver passato la nottata con le sue amiche. Ovvero Hanna, Spencer, Aria e Emily. Da qui inizia il loro incubo che durerà svariati anni, con cambi continui di prospettiva e stile narrativo. Un po’ horror (castrato per il pubblico di riferimento, ma nelle ultime stagioni si lasciano andare a qualche truculenza simpatica), un po’ fantascienza (giuro, certi non luoghi dove finiscono le ragazze sono una cosa impossibile — bellissima tutta la parte ambientata nella cupa città di Ravenswood della quarta stagione), un po’ dramma, un po’ soap opera. Un pastrocchio che, non so davvero spiegarvi, alla fine funziona. Sono innegabili le lungaggini e l’abbondanza di cliché, ma la verità è che Pretty Little Liars non ha nessuna pretesa autoriale e la sua esistenza è atta a intrattenere, portando gli adolescenti (perché è a loro che si rivolge) in un mondo bislacco e improbabile. In pratica, un fantasy.

Hanna, cosa ti perplime?

Io non appartengo più al regno adolescenziale da un pezzo, ma mi sono comunque affezionata alle ragazze, alle loro diversissime personalità, agli infiniti guai in cui si cacciano e me la sono spassata alla grande cercando di scoprire l’identità (o più) di chi le perseguitava. Il personaggio migliore, però, è Mona (Janel Parrish). Piccola sfigata dal QI altissimo, amica di Hanna, ma non tanto delle altre. O meglio, Mona fa parte del gruppo bullizzato da Alison, fino a quando non emerge nel suo naturale splendore, una volta sparita Alison. Mona cerca in tutti i modo di essere amica non solo di Hanna, ma anche di Spencer, di Aria e di Emily. Ma non è facile guadagnarsi la fiducia del prossimo quando sei leggermente psicopatica. E la mia adorazione per Mona è ben riposta, visto come si concludono i giochi.

Mona ha sempre ragione

Ecco, Pretty Little Liars è un gioco. Io vi ho partecipato per sette stagioni, tra alti e bassi, e debbo dirvi che continua a mancarmi. Un po’ come mi manca Gossip Girl (XOXO 😘), altro grande teen drama lunghissimo e adorabile.

Mi mancano le mie amikette. Nel tempo mi sono abituata a non vedere più Spencer (la Tori Spelling della serie, cioè Troian Bellisario, figlia del celebre produttore Donald P. Bellisario, responsabile di molte serie TV di successo, quali Magnum, P.I. e dell’originale Battlestar Galactica), quella forse meno bella e appariscente, ma dalla mente brillante e acuta; una di quelle tizie che si esprime utilizzando parole come “di grazia”, facendo perplimere l’apparentemente sciocchina Hanna. La più bella del mondo (come si fa a non rimanere estasiati davanti a Ashley Benson?), appassionata di moda e di schifezze da mangiare; quella che tra tutte ha il carattere più spontaneo e genuino.

Sensazione condivisibile, Emily

Una bomba sexy e sensibile che se la gioca con Emily (Shay Mitchell, vista nella prima stagione della serie TV You), ragazza buona e dolce come un muffin alle gocce di cioccolato, gay e innamorata di Alison da sempre, nonostante ci provi ad avere delle relazioni soddisfacenti. Aria, nanerottola dagli occhi enormi (Lucy Hale, che è anche cantante e protagonista di alcuni horror targati Blumhouse — a proposito, attendo speranzosa di poter vedere Fantasy Island, voi?), amante della lettura con conseguente aspirazioni letterarie, è quella che, zitta zitta, quatta quatta, ne combina una più di Bertoldo. Infine Alison (Sasha Pieterse, che all’inizio delle riprese aveva appena tredici anni), ragazza gradevole come un riccio di mare sulla chiappa, ma che a poco a poco, svela molte più sfaccettature del previsto. Il fatto è che certi legami sono indistruttibili, come le extension di Hanna. Grazie per il divertimento. E una cosa certamente me l’avete insegnata:

“Due persone possono tenere un segreto solo se una di loro è morta.”

Le ragazze si sono tatuate le iniziali dei loro personaggi sul dito, una volta conclusa la serie

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