Residenza Arcadia

Alessandro Girola
M E L A N G E
Published in
3 min readJul 8, 2019

Un condominio, nella periferia di una grande città. Liti e battibecchi tra condomini, in un’escalation di lentezza geologica tra incomprensioni ataviche e antipatie immotivate. Sullo sfondo, una dittatura militare. Daniel Cuello costruisce il libro perfetto, dosando con sapienza da consumato narratore i divertenti siparietti tra i suoi leggendari vecchietti e una macro trama intrisa di amori taciuti, profonde lealtà, dolori indicibili e grida strozzate in gola. Un libro allo stesso tempo leggero e pesante come un macigno, con un baricentro emotivo spostato tutto in avanti che verso il finale vi farà sentire un tonfo nel torace: il vostro cuore, pesantissimo, romperà gli ormeggi e diventerà il nodo alla bocca dello stomaco.

Pare che il fumetto, inteso come media, sia in crisi. Le vendite sono in ribasso, i lettori stanno diminuendo, molte collane chiudono o cambiano totalmente volto, nel tentativo di restare a galla.
Eppure il fumetto — la graphic novel — è uno strumento potentissimo per veicolare messaggi che risultano più ostici da digerire in altri media.
Un esempio perfetto è quello di Residenza Arcadia, del talentuoso Daniel Cuello, uscito in Italia per BAO Publishing.

Residenza Arcadia è una graphic novel distopica, ma di taglio molto diverso rispetto ai romanzi e ai film che ultimamente vanno per la maggiore, soprattutto tra i giovanissimi.
Non ci sono eroi e antieroi ragazzini, belli e tenebrosi. Non c’è un dittatore affascinante e spietato che governa il mondo tramite una milizia di elegantissimi squadristi vestiti di nero (o di rosso).
No, in Residenza Arcadia l’idea che i protagonisti vivano in uno stato antidemocratico ci viene suggerita dalla quotidianità degli inquilini di un condominio abitato prevalentemente da anziani. Nelle loro dinamiche, nei loro dialoghi, si intuisce, pagina dopo pagina, che qualcosa là fuori va dannatamente male, ma che l’uomo comune preferisce guardare altrove e fingere che tutto sia a posto, in ordine.
Il ritmo è volutamente lento, depistante, ma il finale ha un crescendo spaventoso che lascia a bocca aperta.

Residenza Arcadia è dunque un fumetto attualissimo e inquietante, perché ci racconta il tramonto della libertà individuale attraverso cose piccolissime, apparentemente insignificanti, come per esempio la presenza di un commissario politico durante le riunioni di condominio, o il panico causato dalle voci di corridoio riguardanti i nuovi inquilini. Panico perché pare che questi siano dei diversi.
Sì, ma diversi come? Gay? Lesbiche? Neri? Asiatici? Rom?
Non è dato saperlo, ma appartengono a quei gruppi di indesiderabili che minano la reputazione della gente per bene. O meglio, reputano quell’onore patrio su cui qualcuno ha fatto molta retorica, attribuendo proprio al rifiuto del diverso la tenuta della nazione.

E il rifiuto, come illustra egregiamente questa graphic novel, parte dal quotidiano, dai vicini di casa, da famiglie che abitano nel medesimo condominio, e che sviluppano un feroce senso di territorialità, contrario a tutto ciò che dice invece il buon senso, e il cervello.

Residenza Arcadia è dunque una distopia fin troppo vicina a noi. Potremmo quasi dire che abita sul nostro stesso pianerottolo.
Forse proprio nell’appartamento di fianco al nostro…

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