Retrospettiva Sopranos — 1x05: “College”
“I have forsaken what is right for what is easy, allowing what I know is evil in my house, Allowing my children — Oh my God, my sweet children! — to be a part of it, because I wanted things for them. I wanted a better life, good schools. I wanted this house. I wanted money in my hands, money to buy everything I ever wanted. I’m so ashamed! My husband, I think he has committed horrible acts… I’ve said nothing, I’ve done nothing about it. I got a bad feeling it’s just a matter of time before God compensates me with outrage for my sins.”
Una delle frasi ricorrenti quando si parla dei Sopranos insiste su quanto la serie abbia cambiato per sempre la storia della televisione. Frase ad effetto e quasi scontata, per quanto vera, ma l’altra domanda che nessuno fa è: quando questo cambiamento ha iniziato a farsi notare in maniera effettiva?
Dopo un pilota e tre episodi che hanno mostrato quanto la serie avesse dalla sua un mix clamoroso di umorismo nero e tematiche profondamente provocatorie, è proprio con “College” che i Sopranos diventano per la prima volta volta quella cosa nuova che in tv non si era mai vista prima — non con questa personalità, non con questo nuovo linguaggio a supportare la rivoluzione totale della scrittura televisiva.
Oggi è praticamente irricevibile il motivo principale per cui questo episodio cambia le carte in tavola, specie dopo serie come Breaking Bad, Game of Thrones e affini: e il motivo è che in “College” per la prima volta Tony Soprano, il protagonista della serie, commette un omicidio. Sembra poca cosa ma è già un piccolo atto rivoluzionario per la tv dell’epoca, anno 1999.
Come spiegano molto bene Matt Zoller Seitz e Alan Sepinwall nel saggio “The Sopranos Sessions” fino a questa puntata Tony Soprano si è dimostrato un criminale che, seppur violento e profondamente contraddittorio, sembra avere avuto una sorta di codice d’onore; una simbolica linea morale (anche lui!) da non oltrepassare, almeno agli occhi degli spettatori, e che fino a questo momento non aveva superato. Bruciando il ristorante di Artie Bucco sembrava agire per non mettere ulteriormente nei guai un amico. Dare a zio Junior le redini della famiglia pur di accontentarlo gli ha fatto evitare una sanguinosa guerra intestina, una guerra che pure tutti gli altri sembravano pronti a sostenere. Insomma: Tony è un uomo scaltro, cinico, ma che sembra voler evitare gli spargimenti di sangue, e soprattutto non prendervi parte — se non per una bella ripassata a chi ha sgarrato. Ebbene, in “College” Tony uccide a sangue freddo un tizio che non vede da una decina d’anni e, cosa ancora più sconvolgente (sempre contestualizzato all’epoca, data della messa in onda 7 febbraio 1999) lo fa provando piacere, senza nessun pentimento e con enorme soddisfazione. Questo il protagonista di una serie tv all’epoca semplicemente non poteva farlo, perché “era impensabile”: c’erano guest star o scagnozzi che avrebbero dovuto agire al posto suo. Diamine, servivano proprio a quello narrativamente. Ma da questo momento in poi non sarà più così. E la serialità televisiva cambia bruscamente direzione inoltrandosi in territori oscuri mai esplorati prima.
La situazione è resa ancora più interessante dal fatto che, dopo i primi 4 episodi di matrice corale, “College” è quello che lascia da parte quasi del tutto la Famiglia criminale concentrandosi su Tony/Meadow da una parte e Carmela dall’altra, separati stavolta geograficamente. Tony è infatti nel Maine, sta accompagnando la figlia Meadow a visitare dei college, mentre Carmela è rimasta a casa perché influenzata. Riceverà una visita inaspettata da padre Phil Intintola, un parroco con cui Carmela instaura la prima di una serie di relazioni extraconiugali platoniche. È importante che a questo punto ci sia un approfondimento del genere su Carmela, anche perché banalmente era il momento giusto per farlo. Permette inoltre a Edie Falco di dimostrare tutta la propria bravura nell’approfondire un personaggio che fino ad allora non aveva ancora avuto ancora occasione di essere in primo piano come meritava. Memorabile è il modo in cui, durante la confessione con padre Phil, Carmela vomiterà fuori tutta l’ipocrisia e repressione che vive nel suo matrimonio: lei lo sa bene che il marito è un criminale, un mostro, e che ha voluto lei questa vita per il benessere materiale che ne sarebbe venuto a lei e ai suoi figli; sa che ha accettato un ruolo ben definito: quello della moglie del gangster che deve sopportare i tradimenti del marito (magari con delle scenate) ma non osare commetterne a sua volta. È una questione di codici di comportamento, ancora una volta, e del modo in cui questi rischiano di essere infranti in momenti di estrema debolezza. Un’altra persona che segue dei codici senza trasgredirli è proprio padre Phil, cinefilo che coi suoi film sui grandi amori platonici irrisoluti (“Casablanca”, “Quel che resta del giorno”) gioca col fuoco su più di un versante, rischiando che la nottata a casa di Carmela possa diventare un rapporto ben più che platonico e spirituale. Non accade, e naturalmente Tony quando saprà della cosa sarà scettico facendo battute sulla presunta omosessualità del prete: l’arma di Carmela, che gioca in quello stesso terreno di pregiudizi, sarà di rinfacciare al marito di non avergli detto che il suo psicoanalista in realtà è una donna — ergo di sicuro la tradisce con lei. Nella lunga serie di codici da dover rispettare, per un uomo l’uomo deve fare l’uomo — dunque, anche se prete, andare a letto con una donna se il marito è lontano e l’occasione ghiotta — mentre la donna non può che sospettare un tradimento verso un’altra donna. Il grande paradosso è che, per una volta, entrambi sono nel torto ed entrambi hanno colto qualcosa di vero: padre Phil è qualcosa di più che una scappatella ma un rifugio spirituale in cui Carmela può dire e dirsi cose altrimenti inaccettabili, dando un respiro momentaneo alla propria coscienza sporca; Jennifer Melfi è un rifugio terapeutico che per Tony sta iniziando a diventare qualcosa di più di una psicanalista ma un simbolo femminile finalmente positivo e non distruttivo, disposto all’ascolto e alla comprensione.
Ma naturalmente il più importante dei codici in una serie sulla criminalità organizzata è quello sugli uomini d’onore: e Tony lo segue senza tentennamenti, ovunque vada.
Mentre è in viaggio con Meadow si innesca tra padre e figlia una dinamica simile ai sottotesti tra Carmela e padre Phil: sincerità, bugie, rivelazioni, fiducia sono i legami che all’inizio Meadow mette alla prova, chiedendo al padre senza troppi preamboli “Are you in the Mafia?”, domanda a cui Tony reagisce quasi indignato dapprima negando, per poi iniziare quelle terribili strategie di manipolazione che attua anche con la moglie e che si rivelano vincenti grazie anche alla complicità dell’altro: no, non è un mafioso ma si, alcuni dei suoi guadagni arrivano da scommesse e gioco d’azzardo illegale. Una minima porzione della verità che copre tutto il resto, e che sembra convincere Meadow, personaggio che mai come in questo caso rappresenta un riflesso dello spettatore. Ci abbiamo creduto o abbiamo voluto crederci, ma è in questo stesso episodio che Tony mostra la sua vera natura. E lo fa quando incontra per puro caso a una pompa di benzina Febby Petrulio, ex membro della famiglia DiMeo entrato dodici anni prima in un programma di protezione testimoni dopo aver tradito i suoi compagni dell’epoca, causando svariati arresti con condanne e aggravando la salute già precaria del padre di Tony.
All’inizio dell’episodio ancora una volta The Sopranos sembra dividersi divertita tra il lato famigliare di Tony e quello criminale (lui che insegue in auto “un vecchio amico” mentre una Meadow terrorizzata lo implora di andare piano) ma a un certo punto semplicemente non è più così. Le risate finiscono. Non stiamo guardando (più) una commedia. Stiamo guardando due persone (Tony e Petrulio, il cacciatore e la preda) regredire lentamente allo stato brado, mentre si danno la caccia pronti ad uccidersi, l’uno per difesa e l’altro per vendetta.
L’impatto violento che viene a crearsi in questa dinamica è amplificato dal fatto che, pur essendo un “rat”, una spia, uno che ha vuotato il sacco e ha contribuito a danneggiare il sistema diventando il paria per eccellenza, Petrulio (che ora ha cambiato nome in Fred Peters: per un gangster ulteriore oltraggio alle sacre origini italiane) è molto più simile a Tony di quel che ci si potrebbe aspettare: in una scena significativa Tony osserva di nascosto Petrulio mentre è in una piscina con la moglie e parla con la figlia (Tony in questo episodio avrà dialoghi significativi solo con moglie e figlia, a parte un paio con Christopher). E anche nelle modalità di caccia i due usano mezzi simili; cercano di anticipare le mosse dell’avversario e capire i suoi prossimi movimenti. Nel caso di Petrulio questi arriva dapprima quasi a sparare Tony davanti alla figlia mentre rientrano in motel, poi proverà ad assoldare (dietro minaccia) due tossicodipendenti per l’omicidio: dimostrazione ulteriore che in fondo la sua vecchia natura di gangster è sempre lì, dormiente ma intatta.
La caccia si conclude con il trionfo di Tony, che in questo ritorno al primordiale garrota da dietro la spia: un gesto quasi “classicamente” mafioso, che appartiene più all’800 che alla contemporaneità. È una sequenza brutale: Petrulio è strangolato in maniera così forte che lo stesso Tony inizia a sanguinare, come sottolineano le inquadrature del regista Allen Coulter.
Il castello di bugie che Tony dirà alla figlia per nascondere ciò che ha appena fatto sarà una costante della serie. Meadow pensa di aver finalmente instaurato un legame di minima fiducia col padre — ma è solo lo spettatore che ha visto cadere l’ultimo velo, non lei. Da questo momento in poi The Sopranos sarà sempre di più la serie che ha ridefinito per sempre i parametri con cui creare una nuova serialità televisiva, infrangendo tabù e indagando sempre più nella natura (e nella proliferazione) della violenza. E Tony continuerà ad essere quello che era anche prima e avevamo fatto finta di non vedere.
Nicola Laurenza