Retrospettiva Sopranos — 1x08: “The Legend of Tennessee Moltisanti”

Nicola Laurenza
M E L A N G E
Published in
6 min readMay 5, 2023

“Call him a patient. The man’s a criminal, Jennifer. And after a while, you’re gonna get beyond psychoteraphy with its cheesy moral relativism. Finally you’re gonna get to good and evil. And he’s evil.”

Di tutti gli episodi della prima stagione, “The legend of Tennessee Moltisanti” pur essendo il primo concentrato già dal titolo sul personaggio di Christopher, è anche quello che cerca per la prima volta di approfondire la tematica più scottante alla base della serie: il ritratto che dà degli italoamericani, le reazioni che avrebbe provocato nell’ambiente e lo stigma su un’intera comunità ormai associata per sempre a determinati stereotipi.
David Chase e Frank Renzulli, sceneggiatori dell’episodio, certo non avevano ancora avuto occasione di vedere le proteste che la serie avrebbe sollevato: mentre scrivevano questo ottavo episodio i Sopranos non era nemmeno andato ancora in onda sulla HBO, né potevano aspettarsi che sarebbe diventato da subito il fiore all’occhiello dell’emittente via cavo. Ma da italoamericani da anni nello showbiz potevano già intuire le proteste di una comunità che si era vista rappresentata troppe volte in opere pop celeberrime come criminale, mangiona, invischiata con comportamenti autodistruttivi e violenti, con la parola mamma a fior di labbra ogni secondo.

“The legend of Tennesseee Moltisanti” non si sottrae alla sfida e va subito al cuore della provocazione, anticipando critiche — e rispondendovi già in parte — che alla serie non saranno risparmiate né in America né in Italia (nel 2004 Gianfranco Fini, prima di sparire per sempre dai radar, strillava contro l’indelebile macchia che i Sopranos stava gettando sugli italoamericani; ma anche un attore di lungo corso come Paul Sorvino, che ebbe un ruolo memorabile in Goodfellas, dichiarò nel 2000 che non sarebbe mai apparso in uno show che riteneva infamante per la comunità).
In effetti, grazie ai parallelismi che tanto abbondano nella serie, si passa dalla famiglia mafiosa del passato e del presente in “Down Neck” a quella dei tempi recenti ma diametralmente opposta (seppur simile nell’italian pride identitario) dei criminali e ipocriti Soprano con gli istruiti e colti ex coniugi Melfi/LaPenna. Jennifer Melfi tende a proteggere il suo paziente criminale dagli attacchi dell’ex marito Richard LaPenna, che vede in lui e nella cultura mafiosa la peggiore macchia verso la comunità italoamericana.

“People like him are the reason Italian-Americans have a bad image. Ask any American to descrive an Italian-American in this country invariably he’s gonna reference The Godfather, Goodfellas, and the rest will mention pizza. […] News items and the portrayal of Italian-Americans are gangsters! […] Italians Against Discrimination did a study. In its height, the Mafia in the U.S. had less than 5000 members. And yet, that tiny, insignificant fraction casts such a dark shadow over 20 million hard-working Americans.”

Le argomentazioni sono scontate e suonano valide. Ma in un certo senso lo saranno anche quelle di Tony e Carmela ad AJ e Meadow, quando i genitori difenderanno il buon nome degli italoamericani che hanno contribuito a plasmare l’anima dell’America citando l’eredità dei vari Meucci (il vero inventore del telefono, defraudato da Bell: ironico che dei criminali parlino di giustizia), l’esploratore canadese Cabot, Amadeo Giannini (che in quanto fondatore della Bank of America è l’esempio principe del capitalismo che affascina questa iperbole statunitense che è la famiglia Soprano), Sacco e Vanzetti (due anarchici — quanto di più odioso possa esserci per una famiglia con idee quantomeno conservatrici, figurarsi mafiosa — ma uccisi in quanto italiani e dunque martiri, come martire è la comunità tutta), e infine Frank Sinatra (che morì proprio l’anno in cui i Sopranos debuttò in tv: e forse dei suoi contatti con la cultura gangster sarebbe appropriato parlare ancora).
Le provocazioni di Meadow su Lucky Luciano non vengono colte, così come quella sugli spaghetti inventati in Cina sono liquidate con argomentazioni culturali assurde (“Now think about it, why would people who eat with sticks invent something you need a fork to eat with?”)

L’ipocrisia strombazzata da parte dei coniugi Soprano è ancora più evidente quando solo pochi giorni prima, assieme, hanno ripulito casa da cima a fondo facendo sparire (in parte nella camera di Livia all’ospizio*, sempre di comune accordo) tutti i soldi, i gioielli e le armi nelle pulizie di primavera — prima che i federali arrivino a perquisire casa. E questo dice molto dell’ambivalenza di Carmela, che fa finta di non vedere cosa è il marito per gran parte della giornata ma contemporaneamente non batte ciglio quando questi gli passa un mucchio di pistole da una grata sul soffitto.

Per delle comunità che rivendicano un’identità di cui essere orgogliosi e altre che vorrebbero avere meno attenzione addosso, Christopher Moltisanti è invece in piena crisi perché un’identità non riesce a trovarla e nessuno gli presta la dovuta attenzione. Sceneggiatore in erba senza alcun talento (anche la grammatica è arrugginita), per lui i mandati di perquisizione dei federali che iniziano ad irrompere nelle case della Famiglia potrebbero essere quantomeno un attestato di riconoscimento — un motivo per sentirsi importante. Ma nessuno entra in casa sua a perquisire l’appartamento che divide con Adriana, e nessuno lo nomina nei tg che parlano della retata in arrivo verso i mob del New Jersey. La sua crisi è descritta in maniera tragicomica, perché pur essendo sempre più vicino a quelli che sono i sintomi di una depressione bella e buona (ne è consapevole anche lui, per quanto si attribuisca anche altre malattie come il cancro) non può trovare aiuto all’interno della famiglia criminale. E neanche Tony, che in una scena dai risvolti comici prova a indagare la sua psiche maneggiando termini che di solito usa nello studio con la dottoressa Melfi, può fare granché, perché esporsi troppo in tal senso significherebbe essere scoperto.

La crisi di un giovane mafioso cresciuto a pane e Goodfellas si riallaccia in fondo a quella stessa domanda che riecheggia in continuazione durante tutta la puntata: cosa vuol dire essere italoamericano alle soglie del 2000? Questa domanda tocca vette metanarrative quando Chris (che ricordiamolo, è interpretato da Michael Imperioli: lo Spider di Goodfellas che viene sparato al piede dallo psicopatico Joe Pesci) va in una pasticceria, e per il fastidio di essere servito con troppo ritardo minaccia il commesso, pretende rispetto e infine gli spara a un piede senza alcun motivo. Probabilmente Chris lo avrà visto fare in Goodfellas e sta imitando quello che ha imparato dai film sulla mafia — e poco conta che così possa accendere ancora più i riflettori sui suoi compagni, in piena crisi a causa di un FBI pronta ad intervenire da un momento all’altro secondo delle soffiate attendibili. Tutto quello che un pesce piccolo come Chris desidera è vedere il suo nome citato su un quotidiano locale ed essere riconosciuto da qualcuno come uomo d’onore quando tutti, anche i suoi parenti criminali, sembrano svalutarlo. Chris Moltisanti non chiede altro che essere un italoamericano come tutti gli altri, di avere un arco narrativo anche lui…

*Che Tony — aiutato da una Carmela in questo episodio perfettamente in sinergia con il suo lato criminale — “usi” sua madre (ignara di tutto) nascondendo armi e rotoli di banconote nel ripostiglio alla casa di riposo non sorprende. Ci si riallaccia così al flashback della puntata precedente: anche Johnny Soprano usava i figli come copertura al luna park. In “Boca” vedremo altri membri della Famiglia trasferire le madri in ospizio per sfruttare l’idea di Tony, definita “geniale”.

Nicola Laurenza

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