Retrospettiva Sopranos — 1x10: “A Hit is a Hit”

Nicola Laurenza
M E L A N G E
Published in
8 min readJun 1, 2023

“You people are alright. Godfather, I seen that movie 200 times. Godfather II was definitely the shit. The third one… A lot of people didn’t like it. But I think it was just misunderstood.”

Altra pausa dalla trama orizzontale che riguarda gli attriti tra uncle Jun e Tony, “A hit is a hit” è uno degli episodi più Hersh-centrici dell’intera serie, e anche l’ennesimo che prova a esplorare tematiche culturali che non solo i Sopranos, ma in generale nessun’altra serie televisiva statunitense aveva mai affrontato prima (e a dire il vero anche dopo non saranno molte a farlo). Se non fosse per il brutale omicidio commesso da Paulie a inizio episodio potrebbe quasi essere l’ora televisiva in cui, per la prima e unica volta, esce fuori dallo schermo un ritratto positivo della famiglia Soprano: al punto che quasi viene da parteggiare completamente per loro. Ma procediamo con calma.

La trama si divide in tre parti ben distinte, due (che chiameremo A e B) intrecciate tra loro in maniera più evidente, mentre la C solo su quello tematico.
Paradossalmente la parte più interessante della puntata non riguarda sempre le porzioni di storia a cui è dedicato il minutaggio maggiore, ovvero la pretesa del rapper gangsta Massive G di avere quattrocentomila dollari come risarcimento culturale per quello che l’etichetta discografica di Hersh*, la F-Note Records, ha fatto a un suo lontano parente: morto anni prima di tossicodipendenza il cantante non aveva visto un soldo dalle incisioni dei suoi successi, perché la F-Note records si era appropriata delle royalties traendone tutto il profitto. Adesso Massive G vuole quei soldi per darli alla madre del cantante e restituirli così alla comunità nera, facendo finalmente giustizia.

Hersh ha legami molto stretti con la famiglia Soprano (era amico e socio d’affari di Johnny nel business musicale**) ma ancora una volta, esattamente come nell’episodio in cui cerca di trovare un accordo con Junior sul pizzo, le armi che vengono usate quando c’è di mezzo lui riguardano più la dialettica: lo scontro tra Massive G e la banda di Tony è basato su accuse, razzismo neanche tanto celato, minacce di denuncia e controdenuncia, ma pur essendo entrambi due mondi criminali che amano la violenza come filosofia ed estetica di vita (Massive G ha una vetrina piena di armi nel suo studio, conosce a memoria la trilogia del Padrino che ha visto più di duecento volte a suo dire) non si arriverà durante l’episodio a ritorsioni fisiche o sparatorie. Naturalmente la ragione “legale” sarebbe di Massive G: in un dialogo tra Tony e Hersh in “Pax Soprana” già non venivano lasciati molti dubbi in proposito.

“- I wrote six gold records.
- No, a couple of black kids wrote six gold records. You owned the company. You gave yourself a cowriting credit.”

L’altro ramo narrativo che si innesta nella vicenda discografica offre un ritratto approfondito della coppia Christopher/Adriana, dando l’opportunità soprattutto alla ragazza di mostrare come il suo personaggio sia pieno di potenzialità: non vuole essere solo la moglie del boss, non vuole fare la fine di Carmela Soprano e sfornare figli per poi farsi un abbonamento annuale in palestra. La sua intenzione, dopo essere entrati in contatto con Massive Genius, è sfruttare il talento che sente di avere in ambito discografico cercando nuove band da portare al successo. La coppia Chris/Adriana è assortita in modo perfetto: entrambi sentono di valere più di quello che hanno al momento, sono giovani, affamati di vita e successo, cercano strade alternative a quelle criminali (Chris con la sceneggiatura, Adriana come talent scout musicale). Ed entrambi falliscono miseramente, perché privi di quel naso musicale che invece altri hanno. In un racconto corale pieno di figure tragiche, loro due spiccano come quelle più terribili. E qui ne abbiamo solo un assaggio.

Il filone C di “A hit is a hit” riguarda ancora il pregiudizio e il razzismo, ma stavolta interno agli stessi gruppi in genere discriminati — un tema che è il focus dell’intero episodio.
La fascinazione che il vicino di Tony, il dottor Bruce Cusamano, inizia ad avere verso di lui è la stessa che un uomo può avere per un animale dietro le sbarre. Tony deve a Cusamano la conoscenza della dottoressa Melfi, ma si capisce sin da subito nelle loro interazioni come entrambi, pur essendo italoamericani, siano diversi come il giorno e la notte, né possono davvero sperare di aprire un canale di comunicazione condiviso o in alcun modo fruttuoso: e non per una questione di antipodi tra criminalità/legalità (come suggerito in “The legend of Tennessee Moltisanti”) ma per la differenza di classe — con tutti i pregiudizi che ne seguono.

I Cusamano sono dei perfetti rappresentanti dell’alta borghesia statunitense, amici dei “merrigani” o “merrigan” che dir si voglia (americani non discendenti dagli italiani) che Tony non ama e su cui ha pregiudizi che si rivelano fondati. Perché in un certo senso i Soprano sono ancora quei cafoni arricchiti privi di gusto e dalle maniere rozze che Cusumano e amici sfottono nelle loro cene, e la stessa Carmela in fondo aspira allo status di Jeannie Cusamano pur sapendo che non potrà mai raggiungerlo (è il motivo per cui questa vita, pur coi suoi momenti di crisi, le piace); ma i riferimenti crudeli verso lo stile di vita dei vicini Soprano da parte dei Cusamano non ha nulla a che fare con il disprezzo per la loro vita criminale. Anzi, quando Cusamano e i suoi amici colletti bianchi invitano Tony al club per una partita a golf, o a un barbecue per una grigliata di carne, l’unico interesse sincero, quasi voyeristico, che hanno per questa sorta di orso ammaestrato che vorrebbe parlare di tutt’altro riguarda solo la sua vita come mafioso. Al punto da chiedergli in continuazione di sbottonarsi un po’ (ma non troppo: giusto per quel brivido da poter riferire in cene eleganti) su quanto ci sia di vero nel Padrino, o se Tony ha mai conosciuto John Gotti. Questo tipo di atteggiamento non fa arrabbiare Tony alla solita maniera (Cusumano non è un tizio che può picchiare o accoppare per offese del genere: semplicemente è una persona con cui non deve invischiarsi perché sono troppo diversi), ma lo mette in un imbarazzo che fino a questo momento non avevamo avuto modo di vedere all’interno della serie.

Tony assapora quello stesso gusto di sopruso e umiliazione che — non si rende conto — per anni hanno dovuto subire gli stessi afroamericani che nell’altra parte dell’episodio lui o i suoi compagni trattano con disprezzo. Il punto è che c’è sempre chi sarà più bianco di te perché si considera tale, e ogni gruppo sociale discriminato o con una storia di soprusi potrà usare questo argomento come giustificazione per le sue azioni, o per difendersi. La questione è ribadita da due discorsi abbastanza espliciti in tal senso. Il primo è di un Hersh che si difende, con una bella punta di razzismo, dalle accuse di Massive G tirando in mezzo il suo essere ebreo (You’re talking to the wrong white man, my friend. My people were the white man’s nigger when yours were still painting their faces and chasing zebras.”), il secondo è un dialogo di Tony con la Melfi su Cusumano.

Tony: — C’mon, you’re Italian, you understand. Guys like me we’re brought up to think that Merigan are fuckin’ bores. The truth is the average white man is no more boring than the millionth conversation over who should have won, Marciano or Ali.
Melfi: — So am I to understand that you don’t consider yourself white?
Tony: — I don’t mean white like Caucasian. I mean a white man like our friend Cusamano. Now he’s Italian, but he’s Merigan. It’s what my old man would have called a Wonder Bread wop. He eats his Sunday gravy out of a jar.

Il finale dell’episodio è tipico di cosa questa serie rappresenta nella prima stagione — una prima stagione che in retrospettiva è diversa dalle altre, che ha già tutti gli ingredienti di un capolavoro assoluto ma non si discosta dal proporsi come una sorta di test preparatorio: certo, si è spinta a superare dei limiti mai superati prima per la tv dell’epoca, ma non ha ancora ingranato la marcia per rompere ogni convenzione, come accadrà dalla stagione 2 in poi, di oscurità in oscurità.
È un finale ironico in cui Tony decide di prendersi una rivincita contro i Cusamano con uno scherzo in effetti divertente e crudele al punto giusto: riempie una scatola di sabbia e chiede al vicino di tenergliela per un po’ di tempo. Cosa ci sarà dentro? Eroina? Armi? Soldi sporchi?
Cusamano e moglie sono spaventati ma anche eccitati da quello che è solo un cofanetto vuoto — un involucro di cui non sanno davvero nulla. E che per loro fortuna stavolta è davvero pieno solo di sabbia.

*Il personaggio di Hersh Rabkin è ispirato neanche tanto velatamente a Morris Levy, il cosiddetto “padrino dell’industria musicale”, che fu il principale artefice dell’infiltrazione mafiosa all’interno del mondo della musica americana nella seconda metà del ‘900, soprattutto per i suoi legami con la famiglia Genovese. Come riportato dalla ottima miscellanea di saggi “Off the back of a truck” di Nick Braccia, il caso più clamoroso di appropriazione di diritti da parte di Levy fu nei confronti della band afroamericana-portoricana “Frankye Limon & The Teenagers”: Levy si accreditò come scrittore della hit del 1955 “Why Do Fools Fall in Love” pagando i veri autori del pezzo solo 1000 dollari a dispetto dei milioni di dischi venduti, minacciandoli anche di morte (tramite i suoi sodali mafiosi) qualora si fossero permessi ulteriori rivendicazioni.
**Per David Chase la musica è una delle fonti di ispirazione principali del suo lavoro. Una delle idee che aveva prima di creare i Sopranos riguardava proprio una serie tv ambientata nel mondo discografico degli anni ‘60-’70. Ma di fatto il titolo “Sopranos” rimanda alla lirica: all’inizio molti attori (entrati poi nel cast principale) pensavano che The Sopranos fosse un progetto televisivo ambientato nel mondo della musica.
Inoltre il primo film di Chase girato nel 2012 (“Not fade away”) ha come protagonista un adolescente musicista nel New Jersey degli anni ’60. Si può ben dire che è un tema che gli sta a cuore.

Nicola Laurenza

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