Retrospettiva Sopranos - 1x13:“I dream of Jeannie Cusamano”

Nicola Laurenza
M E L A N G E
Published in
7 min readJun 22, 2023

“She’s smiling! Look at her face! She’s got a fucking smile on her face!”

L’episodio finale della prima stagione dei Sopranos potrebbe essere un finale di serie tout court — e in effetti era stato in parte concepito come tale: scritto e girato prima di avere anche solo la minima idea di avere il via libera per altre stagioni, questi tredici episodi potrebbero essere visti come una sola, lunga storia che qui si conclude. Avrebbe potuto non esserci una stagione 2 e ugualmente l’idea di aver assistito a un evento compiuto sarebbe rimasta intatta.
Vero è che sul finale rimangono aperte tantissime trame. In primis, prima ancora di sapere che fine ha fatto Tonino Pettola in Young Pope, avremmo dovuto chiederci che fine ha fatto Pussy Bompensiero*. E forse saremmo rimasti sempre col dubbio. Ma è proprio lo stile di scrittura dei Sopranos che resterà tale anche nel finale dell’ultima stagione. Pussy o non Pussy, abbiamo visto abbastanza della vita di questa gente per capire che una risposta a moltissime delle domande che ci siamo fatti finora non c’è.

Si potrebbe azzardare a dire ad esempio che “I dream of Jeannie Cusamano” è molto più risolutivo dell’ultima puntata della stagione finale, “Made in America”. Il conflitto principale che ha innervato tutta l’architettura narrativa dalla primissima scena del pilota raggiunge qui la conclusione momentanea del suo arco narrativo: Livia, la terribile Madre che pianifica di uccidere il proprio figlio, si rivela a Tony in tutto il trauma di una rivelazione tragica. Dapprima eruttando letteralmente dal subconscio: quando Tony capisce che Melfi sta suggerendo che sua madre Livia, personalità borderline distruttiva, possa essere implicata in qualcosa di più che voler “simbolicamente” uccidere suo figlio, assistiamo alla prima aggressione fisica di Tony nei confronti della sua analista. Perché Tony ha realizzato ma ancora non è pronto ad accettare: il meccanismo di difesa principale del boss è sempre quello della violenza di fronte a una situazione in cui le solite bugie (agli altri e a sé stesso) non basteranno. Dovrà però accettare definitivamente la cosa quando l’FBI, in un ennesimo tentativo di coinvolgerlo in un programma protezione testimoni, gli farà ascoltare dei nastri inequivocabili, ricavati da cimici nascoste nell’ospizio.

L’abilità di David Chase nel costruire personaggi che riescono ad agire concretamente come simboli e come psicologie ambigue è qui al suo massimo. Livia, sin dall’episodio precedente, ha iniziato a dare segni di quella che sembra una fortissima demenza senile, probabilmente alzheimer: non riconosce più la nipote, vaga smarrita di notte per il quartiere, dice cose apparentemente senza senso — ossessionata da storie di infanticidio e da giaculatorie verso il proprio abbandono. Ma è la stessa Carmela che reagisce pensando siano tutte idiozie, un trucco insomma. Livia potrebbe aver agito per l’ennesima volta in un contrattacco strategico, fingendo la demenza così da non dover rispondere a nessuna domanda né testimoniare.

L’abilità di Nancy Marchand nell’interpretazione di questo personaggio straordinario non sarà mai lodata abbastanza. Che stia recitando la parte della vecchia rimbambita, o stia simulando per continuare indisturbata la sua lotta contro Tony, Livia continua a sferrare attacchi alle spalle del figlio, come quando ritrova la lucidità giusta per dire ad Artie Bucco che il suo ristorante era stato bruciato dall’amico d’infanzia (la rivelazione getta Artie nello sconforto, al punto che minaccerà Tony di morte: ma la natura debole del personaggio lo porterà a giustificarlo, manipolato per l’ennesima volta da un Tony che ha imparato tutto dalla madre).

Tutte le sequenze con Livia sono momenti pazzeschi (di scrittura e recitazione), di ambiguità luciferina, da parte di una donna che come un’ombra sovrasta tutta questa tragica storia di affetti non avuti, di dannazione, famiglie disfunzionali, malattia e morte. E Livia in un certo senso ha sempre giocato d’anticipo, dimostrandosi molto più abile del figlio nella conoscenza della psicologia umana e dei suoi meccanismi più profondi: dal momento in cui Tony è andato in analisi dalla dottoressa Melfi, infatti, Livia aveva capito (lucidamente? Inconsciamente?) che l’unica risposta possibile che il figlio avrebbe ricevuto dalla terapia sarebbe stata la scoperta che sua madre, in fondo, ha sempre voluto vederlo morto, perché non ha mai provato niente per lui. E che Tony avrebbe cercato vendetta per questo. Livia muove le sue pedine prima dell’avversario, voleva far accoppare il figlio prima che lui facesse lo stesso a lei. Si staglia così come il personaggio più diabolico di tutte e sei le stagioni.

A parte Tony, andrebbe aggiunto e anticipato.

E in un episodio di rivelazioni (compresa quella di Carmela che dice ciò che pensa a padre Intintola, troncando la relazione platonica e lasciandolo scombussolato) non mancano quelle che hanno un impatto meno traumatico del previsto: quando Tony dice a Paulie, Silvio e Chris di andare in analisi la reazione è sì perplessa, un po’ scioccata, ma fa riemergere la solita ipocrisia dei mobster. Paulie è andato in terapia per un po’. Chris pensa sia una cosa tipo consulenza matrimoniale. Silvio si tiene i suoi pensieri per sé, sempre fedele a Tony. Poi come sempre la rivelazione verrà assorbita, valutata, analizzata nei suoi lati più problematici — per una logica contorta gangster, ovvio (il problema per Paulie è che l’analista è una donna: fosse stato un uomo non sarebbe perplesso verso Tony).

Ma “I dream of Jeannie Cusamano” (titolo che si riferisce a una celebre serie tv anni ’60, ma anche al sogno sessuale di Tony verso la vicina di casa) è uno di quegli anticlimax dei Sopranos cui Chase, come scritto, abituerà spesso i fan. Se nell’episodio assistiamo a una serie di omicidi che fanno piazza pulita di molti scagnozzi e membri implicati nell’attentato a Tony — ennesima reminiscenza del primo Godfather e del suo finale — i due antagonisti principali in qualche modo sopravvivono.

Livia ha un ictus provvidenziale che la salva da un Tony pronto a soffocarla con un cuscino, in una scena tra le più belle e inquietanti di tutta la serie: quel ghigno imperscrutabile dietro la mascherina per l’ossigeno che Livia lancia al figlio sembra davvero una smorfia sadica, oppure è solo una di dolore? Il personaggio ha raggiunto vette così insondabili ed abnormi che ormai sarebbe capace di tutto — sia per Tony che per lo spettatore: persino simulare il proprio ictus, persino scatenare i sintomi per un attacco e averlo davvero pur di avere salva la vita. In ogni caso, Livia è la vincitrice di questa lotta, per ora, con la sua strategia d’anticipo infallibile.

Junior Soprano evita l’accoppamento grazie all’intervento provvidenziale dell’FBI, che lo arresta per delle attività criminali finanziarie in cui Tony non è implicato. Anche se si difende dalle persuasioni dei federali con i suoi soliti commenti da vecchia guardia (“ — We want Johnny Sack. But more than him, we want Mangano and Teresi. — I want to fuck Angie Dickinson, let’s see who get lucky first.”) la rivelazione traumatica scatta anche per lui, quando capisce ciò che in fondo aveva sempre saputo: il vero boss della famiglia era Tony, lui serviva solo come copertura.

L’ambiguità esplosa in questi ultimi episodi raggiunge il climax nel finale al nuovo Vesuvio di Artie Bucco, con la cena a lume di candela di tutte e due le famiglie di Tony: quella criminale — che si ritrova nei suoi elementi più importanti lì, Pussy escluso — e quella domestica, con un brindisi a quei bei momenti, per quanto rari. Da tenere a mente per l’ultima scena dell’ultima stagione.

*Secondo Michael Imperioli il cantante degli Aerosmith, Steven Tyler, girava in quel periodo con una T-shirt con su scritto “Pussy is not dead”.
Infatti dopo la messa in onda della prima stagione, quando lo show diventerà un successo pop, la domanda ricorrente delle persone in attesa della seconda serie sarà “Che fine ha fatto Big Pussy”? È morto? Si è nascosto? È una spia?
David Chase, in vacanza in Francia all’epoca, non aveva la minima idea che un personaggio minore dal fato incerto avrebbe attirato così tanto l’attenzione.
Quando accadono cose come questa si può esserne certi: un prodotto televisivo è diventato qualcosa di più che un programma qualsiasi. Quando, dopo averlo visto in tv, le persone in attesa dal farmacista o sui banchi di scuola o a lavoro oppure a casa si fanno quella domanda che ronzerà per mesi (“Cosa accadrà a Picard ora che si è trasformato in un Borg?” — “Chi ha ucciso Laura Palmer?”) una semplice serie tv è diventata un fenomeno culturale.

Nicola Laurenza

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