SAW — la saga

Kara Lafayette
M E L A N G E
Published in
10 min readOct 12, 2023

Il punto è questo: ho visto un film bruttissimo che utilizza l’idea di Saw, ma non succede niente se non un sacco di chiacchiere e relativa narcolessia. Mi ha fatto così innervosire che ho deciso di guardare tutta la saga di Saw. In parte è stato un rewatch, fino al quarto film, gli altri non li avevo mai visti. E questo perché a me Saw non è mai piaciuto. Calma, lo so che queste sono affermazioni forti, che provocano sconcerto e disappunto a livello globale. Ma tanto chi mi legge, tre gatti, perciò lo confesso. Il motivo principale è che non ho mai sopportato Jigsaw come villain. Il suo scopo così elevato di far apprezzare la vita a gente che, a parer suo, non lo stava facendo, mettendo insieme disperati e sordidi criminali senza un minimo di criterio, mi ha sempre irritata. Però delle reminiscenze mi dicevano che c’era del buono in questa saga ed ero curiosa di valutarla oggi. Ricordo che è solo un’opinione personale, in fondo è un gioco, no? Bene, incominciamo. Do per scontato che chiunque continui a leggere abbia visto la saga, perché seguiranno spoiler. Leggere o non leggere: fate la vostra scelta!

  1. Il primo film, che porta sul groppone la bellezza di quasi 20 anni, è buono, grazie al suo giochino narrativo che non mi vergogno a definire geniale. Jigsaw se ne sta per tutta la durata del film sdraiato in mezzo a quella putrida stanza a fingersi morto e naturalmente tutti noi, vittime comprese, lo crediamo per l’appunto morto stecchito (grazie anche al finto cervello spappolato fuori dal cranio per una presunta pallottola). Nonostante ricordassi il film quasi perfettamente, e di conseguenza il suo famosissimo trucchetto, debbo dire che funziona lo stesso. La claustrofobia che si prova a guardare quei due poveracci tentare di trovare una soluzione per sopravvivere è sorretta dal ritmo ben orchestrato dal signor James Wan, che spezza la situazione portandoci all’esterno a conoscere altri poveracci che proprio non ce la possono fare a combinarne una non dico giusta, ma almeno sensata. Capiamo, quindi, che Jigsaw ha gioco facile con le cavie che si sceglie (o che gli capitano lungo il tragitto — vedi il poliziotto nero). Ha un grande pregio, questo primo capitolo: funziona così com’è egregiamente anche senza tutti i suoi seguiti. Ma, come ben sappiamo, i seguiti ci sono stati, senza James Wan, purtroppo. E infatti dal prossimo ci fionderemo dentro la proverbiale palette primi anni 2000 del torture porn: il verdone e l’arancione.

2) Il secondo capitolo è diretto da Darren Lynn Bousman (non ci libereremo di lui molto presto) il quale, come dicevo poc’anzi, oltre a rendere il film marcio come una mela andata a male e a dare l’idea di essere in un videoclip di Marilyn Manson (ma anche in un episodio qualsiasi di CSI), ci rende lieti della conoscenza di Jigsaw, cioè John Kramer, protagonista assoluto e non più solo spauracchio. Qui si mostra nella sua magnificenza da moralizzatore pazzo e quindi si rivela per il rompicoglioni qual è. Però, questo glielo concedo, resta piacevole il fatto che prenda per il culo le guardie, che infatti sono una mandria di rimbambiti (c’è forse un messaggio velatissimo sulle forze dell’ordine americane?). La regia è di livello bassino, se mi permettete, tutta quella musica cacofonica perenne, il montaggio schizzato, la palette di colori (ribadisco), mi fanno ancora abbastanza ribrezzo. Però: “È il prezzo da pagare, barbaro!”, il torture porn americano era in auge ed era grossomodo sempre così, stilisticamente, inutile ricamarci sopra. Anche questo capitolo lo ricordavo piuttosto bene e la storia funziona nel suo ingranaggio di fregatura. Ora la questione villain si fa prepotente, perché Jigsaw intende lasciare un erede (o più) per la sua missione e magari sul senso della missione — e quindi sul fatto che la saga sia ascrivibile solo al torture porn — ne riparleremo.

3) Il terzo capitolo inizia a portare il peso della missione del nostro Jigsaw e dell’ingarbugliamento di trama, che si fa farraginosa. Oltre a essere molto più verde del predecessore. Emerge la verbosità di Jigsaw, il quale, nonostante sia in fase terminale per il cancro al cervello e, soprattutto, abbia appena subito un intervento nella solita location putrida con tanto di trapano, parla parla e parla. Mentre spiega alla poveraccia di turno e alla sua prediletta Amanda il senso della vita, quello che capisco è che proprio non gli vada giù chi ha problemi di mancanza di serotonina. Il film, sempre diretto da Bousman, è eccessivamente lungo, perché si perde in spiegoni degli eventi passati non necessari. Tuttavia, non è così ammorbante come mi aspettavo. Me lo ricordavo meno degli altri capitoli, ma il tizio nella vasca piena di liquami e carcasse di maiali me lo ricordavo molto bene. Qui Jigsaw in teoria dovrebbe morire nel finale, visto che l’altro tizio invischiato nel gioco del moralizzatore, giustamente, non ne può più di lui e lo perdona concedendogli la grazia di crepare con una bella sega circolare in gola, ma sappiamo che le cose devono andare avanti. Con o senza Jigsaw. Vediamo se nel quarto ce lo ritroviamo ancora o se ha passato la staffetta.

4) Ce lo ritroviamo eccome, sottoforma di flashback, perché è effettivamente morto e non ha i superpoteri. Qui ci viene narrata la missione di Jigsaw e per farlo vediamo il suo passato con la ex moglie Jill. Capiamo perché lui sia tanto incarognito verso chi spreca, a suo dire, la vita e in particolare verso i tossicodipendenti. È una storia triste, anche perché, dopo l’incidente che causa alla moglie un aborto, scopre di avere il cancro al cervello e quindi possiamo immaginare l’umore. Non che prima di questi eventi fosse una macchina spargi coriandoli. Quella riluttanza verso i disgraziati ce l’aveva già, a lui la clinica per curare i tossicodipendenti, voluta dalla moglie, si vede proprio che non gli va a genio. Comunque, ammetto che questo viaggio nelle motivazioni di Jigsaw è per me fonte di sbadiglio, non amo molto la romanticizzazione degli assassini (per quanto insista a negarlo, lo è, dai), ma capisco la necessita di dargli una storia. Non mi ricordavo niente di questo capitolo, tranne l’identità del nuovo Jigsaw (non so perché), ovvero il detective Mark Hoffman, al quale manca totalmente il carisma del maestro. Questo passaggio di testimone sarà soddisfacente? Tocca vedere il quinto capitolo. Nota di merito: ho riso tantissimo nel vedere il fidanzato di Lorelai Gilmore brandire una pistola invece di uno strofinaccio. Alla regia c’è sempre Bousman e stavolta è meno verdone e arancione, con una punta di blu. Per una volta la locandina è pertinente.

5) “Per ogni enigmista che se ne va ce n’è uno pronto a prendere il suo posto”

Per forza? Parrebbe. David Hackl è alla regia di questo capitolo e, sebbene abbiamo perso per strada un po’ di colori marci, non è che brilli di chiarezza. Amanda, come abbiamo capito dalla sua morte nel terzo capitolo, era troppo emotiva per farcela. Infatti, non ce la fa. Chi regge tutta la baracca è, appunto, Hoffman, fin dal principio (più o meno). Questo lo capiamo sempre dai flashback tra lui e Jigsaw. L’agente speciale Peter Strahm (cioè il fidanzato di Lorelai Gilmore) scopre tutto perché, come da copione, solo una persona all’interno della police capisce qualcosa e di solito viene ritenuta un po’ esaurita e, successivamente, responsabile degli omicidi. In pratica lo scopo di Hoffman non è affatto quello di Jigsaw, lui è più terra terra. L’intenzione è quella di fare fuori tutti i colleghi e interpretare la parte dell’eroe, salvando una bambina (c’è sempre una bambina o un bambino da salvare). Quindi la missione viene meno. Oppure, come dice a un certo punto Jigsaw a Hoffman, il piano è molto più grande di quel che, al momento, può capire. È piuttosto inverosimile che Hoffman architetti tutte le trappole come se improvvisamente fosse diventato un genio dell’ingegneria. Non si capisce nemmeno perché lo faccia, uno spreco di energie inconcepibile, ma ora è chiara una cosa: non è importante. L’unica cosa da fare è infischiarsene di quanto possa essere seria la questione e farsi due risate. Ah, nel frattempo c’è un gruppo di persone che deve tentare di superare le prove delle varie trappole, ma di ciò che rappresenta per questo mega disegno architettato da Jigsaw non sappiamo niente. Come non sappiamo cosa ci sia nella scatola ereditata da Jill e ancora non sappiamo cosa ci fosse scritto nella lettera ricevuta da Amanda (davvero l’unico personaggio meritevole di rispetto). Cosa tocca fare secondo voi? Vedere il capitolo 6.

6) Nella scatola gentilmente donata a Jill c’è un nuovo giochino da condividere con Hoffman, ma naturalmente lo scopo ultimo è Hoffman stesso. La lettera ad Amanda l’aveva scritta Hoffman, per farle sapere che sapeva. Cosa? Che quella famigerata notte in cui Jill è stata aggredita c’era anche Amanda, in crisi d’astinenza. Hoffman continua, quindi, la sua personale missione di fare un po’ il cazzo che vuole. Debbo ammettere che inizio a non avere più molte parole, siamo ormai al puro nonsense. Il che va anche bene se la si prende a ridere. La cosa positiva è che a Jigsaw continua a piacere un sacco prendere per i fondelli le guardie, perfino dall’aldilà e, in aggiunta, gli assicuratori sanitari. Alla fine forse mi sta un po’ simpatico. Kevin Greutert è alla regia di questo capitolo, lo ritroveremo anche nel prossimo.

7) Ed eccoci alla fiera della misoginia. La regola di questo capitolo è: prendi una donna e trattala male. La scena d’apertura coi due bro che sacrificano l’amante in comune, rea di essere stata con entrambi (giuro, la sua colpa è proprio questa) è l’apoteosi del cringe. Nel frattempo, Hoffman diventa praticamente Spiderman, tanto da appendere gente in stanze senza pavimenti. Come? Non si sa. Lui sa fare tutto. Infatti fa ottomila cose complicatissime per portare avanti la missione di Jigsaw, ma soprattutto per vendetta. Poi arriva il plot twist più buffo della storia, perché il vero servo di Jigsaw è nientemeno che il dottor Gordon, il protagonista del primo film che s’è segato il piede per salvarsi la pelle, ma di lui non abbiamo saputo più nulla. WTF. Sì, senza dubbio è il personaggio che, come concreta spalla del maestro avrebbe avuto più senso di quel tronco di Hoffman, ma non c’è stato mezzo indizio nei suoi riguardi. È chiaramente una scelta per dare ossigeno a una saga che sta agonizzando. Jigsaw, a suo tempo, aveva chiesto a Gordon di tenere d’occhio Jill, solo che lui lascia campo libero a Hoffman che infatti la fa crepare malissimo. Solo dopo la dipartita della povera Jill, Gordon fa la sua entrata in scena per fare gne gne gne a Hoffman e rinchiuderlo nella famigerata stanza del primo Saw. Grazie eh, ti sta dicendo il maestro. Comunque almeno ci siamo tolti di mezzo Hoffman. Spero.

8) Michael e Peter Spierig dirigono l’ottavo capitolo estromettendo totalmente Gordon dalla storia, perché tanto chi se ne frega. Era stato messo lì alla fine del settimo per ringalluzzire i fan e poi manco viene citato in questo film? Che affronto. Sono passati un po’ di anni, ma insomma, mi pare un po’ maleducato ignorarlo così platealmente. A ogni modo, qui i panni di Jigsaw li veste qualcun altro (intuibile non dico subito, ma quasi), che naturalmente è sempre stato accanto al maestro, tanto il giochino è sempre lo stesso. Noia a caratteri cubitali, ma almeno non è sgraziato come il precedente.

9) Per completezza andava visto anche Spiral, il reboot più inutile della storia dei reboot. Il protagonista è Chris Rock, un poliziotto talmente antipatico e irritante da far rimpiangere tantissimo quella faccia da sberloni di Hoffman. Ma del resto è Chris Rock che sostanzialmente fa Chris Rock, quindi non si può pretendere molto. Ci piazzano un Samuel L. Jackson svogliatissimo, ma come criticarlo. La trama è di una banalità miserrima, è tutto un cliché e non fa nemmeno lo sforzo minimo per dare un senso all’eredità della missione di Jigsaw. Speriamo non proseguano oltre in questo universo alternativo. A dirigere questo obbrobrio torna Darren Lynn Bousman.

Il mio viaggio nei sentimenti dell’Enigmista finisce qui. Rivalutato? Non proprio. Dopo aver visto tutti i sequel di seguito e il reboot, posso dire che la saga avrebbe avuto più dignità terminando col terzo capitolo, quindi con la morte di Jigsaw. Tutto quello che è avvenuto dopo è forzato, spesso demenziale, a volte divertente, perlopiù noioso. Ma che dire di Jigsaw in quanto villain? Continuo a non apprezzare il suo metodo rieducativo, anche perché non sempre è coerente con la gravità dei fatti commessi dalle cavie che sceglie. Nemmeno le trappole sono eque. Amanda per liberarsi ha dovuto aprire la pancia a un tizio. Cosa non piacevole, certo, per chi non è un assassino abituale. Ma vogliamo mettere con chi si è dovuto amputare parti del corpo? Concettualmente mi sembra che Saw sia un torture porn che si vuole dare un tono. Detto questo, non posso negare che Jigsaw abbia il suo fascino, merito anche di Tobin Bell, capace di essere inquietante e, quando serve, di suscitare pietà.

Attendo, con una certa curiosità, l’uscita del prequel il 26 ottobre, che si colloca tra il primo e il secondo Saw. Jigsaw è disperato per via del cancro e si reca in Messico da dei medici alternativi per tentare una cura sperimentale. Non la prenderà bene, immagino. E ciò mi fa ben sperare.

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