The Glory. Storia di una vendetta.
C’è stato un tempo in cui pensavo: come sarebbero andate le cose se qualcuno o qualcosa avesse provato ad aiutarmi? Magari un amico, o un dio. O magari il tempo. Oppure, un’arma affilata. — Moon Dong Eun
Moon Dong-Eun è una ragazzina coreana di diciassette anni, vittima di bullismo da parte di un gruppetto di compagni di scuola capeggiati dalla ricca e spietata Park Yeon-Jin. Le violenze che subisce sono vere e proprie torture, fisiche e morali, e vengono inflitte senza un minimo di pietà o rimorso. Ancora più grave, tutto accade nell’indifferenza generale e con la connivenza da parte delle istituzioni, degli insegnanti e della famiglia stessa di Dong-Eun. Nessuno interviene, chi dovrebbe aiutarla la maltratta con la stessa ferocia dei suoi compagni e chi cerca di darle una mano ne subisce le conseguenze. Le ferite fisiche e mentali subite dalla ragazza, talmente profonde da non poter guarire, alimentano un odio viscerale che l’accompagna per i diciotto anni successivi, durante i quali pianifica e mette a punto una vendetta tanto machiavellica quanto diabolica. Addirittura peggiore della morte.
Occhio per occhio, dente per dente, frattura per frattura. Colui che ha inflitto ferite deve soffrire allo stesso modo… Non so, mi sembra troppo facile. — Moon Dong Eun
Questa è, a grandissime linee, la trama di una serie che per me è stata come un tir nello stomaco. Raccontata così, sembra uno dei molti revenge drama che da tempo arricchiscono i cataloghi di film e serie TV. Ma mentre in questi ultimi il focus è sull’esecuzione della vendetta, possibilmente condita con un buon bagno di sangue, con The Glory il discorso è capovolto. Quasi tutta la prima stagione infatti ha una funzione preparatoria, che non solo accresce la suspense (sappiamo che Dong-Eun si vendicherà, partecipiamo alla costruzione del suo piano, ma non sappiamo né come né quando ci sarà la deflagrazione finale) ma serve anche a introdurre il contesto in cui si svolge la storia. Operazione questa in apparenza ridondante, in realtà necessaria per comprendere come, in una società così efficiente e apparentemente evoluta come quella coreana, possa essere non solo ammessa ma anche giustificata una tale violenza.
Nessuno ti proteggerà, Dong-eun. Né la polizia, né la scuola e nemmeno i tuoi genitori. Come si chiama una persona così? Una perdente. — Moon Dong Eun
Siamo infatti a Seul, città che offre di sé un’immagine scintillante di modernità ed elevato benessere socioeconomico, sotto la quale si nascondono contraddizioni gravissime, a partire dalla competizione feroce a cui i bambini vengono educati fin dalle scuole primarie fino a un classismo ben oltre quello a cui siamo abituati noi occidentali. Scopriamo che la disuguaglianza economica e sociale in Corea del Sud, con punte estreme nelle grandi città, è un fatto endemico di cui solo di recente si è cominciato a parlare pubblicamente(1). Ben protetta da un formalismo asfissiante, dall’ostentazione del lusso e da un sistema scolastico e sanitario giudicati eccellenti, la violazione dei diritti civili è all’ordine del giorno. I marcatori di status sono, nell’ordine, il denaro, la posizione sociale (spesso conseguenza diretta della quantità di denaro posseduto) e l’aspetto fisico. In questo terreno germoglia la sfida fra Park Yeon-Jin, nata ricca e privilegiata, e Moon Dong Eun, povera e reietta ma dotata di intelligenza e volontà di ferro. Alla fine, sono proprio l’odio per la sua nemesi e la necessità di vendicarsi ad alimentare la sua scalata al riscatto sociale: perché solo raggiungendo una posizione di grande rispetto Dong Eun potrà entrare in contatto con il mondo di Yeon-Jin.
Da questo momento, ogni singolo giorno sarà per te un incubo. Saranno incubi provocatori e terrificanti. Non potrai fermarmi o annullarmi. Mi sto preparando a diventare un antico e costante rumore di fondo per te. — Moon Dong Eun
Kim Eun-sook, autrice e sceneggiatrice della serie, dopo una carriera costruita su drammi a sfondo sentimentale in stile soap, cambia registro e mette in scena una storia di denuncia sociale e di lotta fra classi. Lo fa non solo attraverso una narrazione che esplicita le intenzioni senza girarci intorno, ma anche con scelte estetiche che sfruttano proprio quelle ossessioni su cui è costruita la vita di molti coreani. Una cura quasi maniacale è stata dedicata infatti alla scelta degli ambienti, dei costumi e degli oggetti che definiscono lo status delle persone. Lo scontro fra Dong-Eun e Yeon-Jin è perfettamente rappresentato anche dallo stile differente che le contraddistingue: tanto minimalista, glaciale e sofisticata la prima, quanto superficiale impulsiva e appariscente la seconda. Il tutto è costruito con un’eleganza formale che sembra stridere con il tema trattato ma che, in realtà, è una cornice perfetta per rendere ancora più evidenti le contraddizioni di questa cultura.
Se è vero che la vendetta è un piatto che va servito freddo, qui arriverà su un vassoio di ghiaccio e basterà aspettare il 10 di marzo, quando uscirà la seconda e ultima stagione, per gustarla in tutta la sua raffinata crudeltà
Non voglio un principe ma un carnefice che balli con me, tenendo una spada nella mano. — Moon Dong Eun
The Glory è su Netflix
Kim Eun-sook: autrice e sceneggiatrice
Gil Ho Ahn: regista
Aria Song: giovane Moon Dong Eun
Ji-Yeon Lim: giovane Park Yeon-Jin
Song Hye-Kyo: Moon Dong Eun adulta
Jona Xiao: Park Yeon-Jin adulta
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Note
(1) Cani, porci e diritti umani, la protesta della Corea del Sud