The last of Us, la serie che se ne frega di menare
Appena terminato l’episodio nove. Dicono ce ne sia un altro extra, chissà, ma già così l’ho adorato.
E l’ho adorato proprio per i motivi per i quali mezza internet l’ha criticato: The Last of Us privilegia i rapporti umani.
In un mondo di funghi, ciò che conta è l’essere umano.
Che poi, grazie memoria storica, era ciò che ha provato a fare The Walking Dead, la serie, con risultati che definire risibili è fare un complimento agli autori.
Di più, in un’apocalisse stile zombie, dove un’infezione ha sterminato l’umanità e dove — com’è ovvio — basta un morso per andare al Creatore, l’unica possibilità realistica di sopravvivenza è: evitare lo scontro.
Come tanti vigliacchi. Sì. O come tante persone dotate di buon senso.
Ricordate che l’uomo saggio ama usare l’ombrello quando piove. E non, aggiungo io, essere usato come un ombrello.
Il menare al rallentatore stile Zack Snyder, affidato a personaggi profondi come pozzanghere quando c’è siccità, in punta di armi da fuoco testosteroniche c’è. Esiste. Io da buon intenditore vorrei il contrario, ma c’è, perché il mondo è vario.
Per fortuna non tutte le apocalissi sono da intendere, per essere godute, in maniera cazzeggiona.
Alcuni, tra cui gli autori di questa splendida serie, Craig Mazin e Neil Druckmann, privilegiano ancora il raccontare storie.
E siccome alla base della narrativa ci siamo noi, gli esseri umani, e senza di noi non ci potrebbero essere storie, allora certe volte è più che giusto riportare il focus sull’homo sapiens. Anche quando se la passa male, soprattutto quando se la passa male, ed è finito in minoranza.
È inutile rievocare le polemiche creepy da parte dei fan sul casting “errato”, riguardo la scelta di Bella Ramsey, che da sola tiene in piedi l’intera stagione e che, udite udite, sarà riconfermata nella stagione due (e vorrei vedere) nonostante il salto temporale che ci attende. Un personaggio femminile da ricordare.
Accanto a lei c’è pure Pedro Pascal. Su di lui posso dire solo che erano più di vent’anni che non mi affezionavo a un attore, vent’anni di volti più che banali e battutine demenziali stile film di supereroi hanno distrutto l’immaginario collettivo relativamente all’eroe maschile, in favore di una pletora di personaggi che sono stati tutti, irrimediabilmente, dei ridicoli cog*ioni.
Tutti sagome di cartone intrappolati in un’industria che attraverso di essi vuole mandare messaggi moralizzatori e contraddittori. Ecco la vera apocalisse contemporanea: il ritratto dell’uomo.
Meno male che Pedro è sopravvissuto al frullato di cranio della Montagna ed è tornato in versione cinquantenne e padre putativo.
Ne ho parlato anche nell’ultima puntata del mio podcast (lo trovate nel linktree qui in basso, se vi punge vaghezza): quello che mancava di più era la rappresentazione di un sentimento puro, quale può essere quello padre-figlia. Senza storture, senza perversioni. L’amore puro.
Grazie a The Last of Us per avercelo regalato.
The Last of Us, la serie che sarà ricordata per un solo crimine: aver raccontato senza stupidaggini ipertrofiche e fondando la sua narrazione sugli esseri umani. Fragili, contraddittori, profondi. Vulnerabili.
Ve le ricordate, le belle storie? Ne avete mai ascoltata una per davvero?
Ecco la vostra occasione.
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Il mio Linktree