The Stand — Ep 5
OCCHIO AGLI SPOILER
Prima o poi, il passo falso, l’episodio un po’ debole arriva sempre, in ogni serie. Dispiace solo che sia stato anche il primo episodio in cui finalmente incontriamo l’altra parte, Las Vegas, o meglio, New Vegas, i cattivi, Flagg e i suoi accoliti, perché le aspettative erano abbastanza alte, e tradirle tutte nello stesso momento richiede un certo talento per l’autolesionismo, soprattutto considerando che, fin qui, era andato tutto molto bene.
Ma procediamo con ordine.
La scorsa puntata era finita con l’invio delle tre spie da Boulder a Las Vegas, con la morte del povero Terry, vittima predestinata, per mano di Nadine, e con la paternale di Mother Abigail a Nick sul non fare niente e non intervenire in alcun modo, che ci avrebbe pensato Dio a dire loro che fare.
Cominciamo proprio con Abigail: l’impressione è che questa serie non sappia cosa fare del suo personaggio e abbia inventato un’ulteriore linea di conflitto per darle un ruolo che altrimenti non avrebbe. Necessario o no, lo vedremo in seguito, spero, a meno che non cada semplicemente nel vuoto e sia servito soltanto a dare un po’ di minutaggio a Whoopi Goldberg che si è vista pochino. Resta il fatto che tutte le contraddizioni tra regime democratico e misticismo autoritario sono state lasciate da parte, ed è un peccato.
Ma il grosso dell’episodio si svolge a New Vegas, vista attraverso gli occhi di Dayna, e qui arrivano davvero le note dolenti; prima di tutto, c’è un problema relativo all’identità di Dayna, unico personaggio queer (o presunto tale) del romanzo, che nella serie perde del tutto questa connotazione, rendendo Boulder un monumeto all’eteronormatività e alla famiglia tradizionale. Ma non temete per la rappresentazione della comunità LGBTQ, perché a Las Vegas è pieno di donne che fanno le cosacce sullo sfondo, stabilendo un’equivalenza piuttosto facile tra l’avere una sessualità attiva e non per forza etero, e la malvagità intrinseca del luogo. Non solo, ma lo stesso Flagg, in una scena significativa, afferma di aver avuto tra i suoi numerosi amanti il buon Stanislavskij, quindi va a finire che l’antagonista per eccellenza della serie è l’unico personaggio con una forte connotazione bisessuale. Avanti così a farci del male.
Perdonate il sarcasmo, ma credevo che l’equazione tra sesso e Male con la emme maiuscola fosse una faccenda tramontata qualche decennio orsono, tanto più che, nonostante non si tratti di un romanzo progressista (anzi), la suddetta equazione è del tutto assente nella controparte letteraria: lì, Las Vegas è il luogo dove i tossicodipendenti e gli alcolizzati vengono crocifissi in nome di una morale ferrea e dal sapore puritano; qui a Las Vegas sono cattivi perché si pratica il libero amore.
Certo, non è soltanto quello: si beve, ci sono le spogliarelliste, ci si cala un po’ di tutto e c’è una specie di arena dove la gente si ammazza di botte per il sollazzo degli astanti, che potrebbe rappresentare l’unico vero campanello di allarme in un luogo che non è tanto diverso da una normale discoteca in un qualunque fine settimana.
Ora, a parte la banalità del tutto, credo che qui si sia persa un’ottima occasione per centrare l’obiettivo principale di una serie del 2021, tratta da un romanzo la cui prima edizione risale al 1978: portare The Stand nel XXI secolo.
Hai l’opportunità di mettere due forme di governo a confronto, due modi opposti di ricostruire la civiltà spazzata via dal virus: cosa in Randall Flagg e nel suo metodo attrae le persone che si recano a Las Vegas? Soprattutto, che tipi umani scelgono di fare di Las Vegas la propria dimora?
In altre parole, potevi usare il clima politico vigente negli Stati Uniti, e nel resto del mondo, come modello per mettere due idee di società in netta contrapposizione, e invece siamo ancora fermi al vecchio adagio: “i buoni nelle villette a schiera e i cattivi al casinò con le spogliarelliste”. Bravi tutti.
Non che a Boulder le cose vadano meglio: Owen Teague, con il supporto di Odessa Young, tiene in piedi la baracca da solo, e ci offre dei momenti di altissima recitazione. Oramai è chiaro che il protagonista assoluto di The Stand è Harold, non so se per volere diretto degli showrunner o perché l’attore è talmente superiore ai suoi colleghi da divorarsi ogni altro elemento in scena.
Ma se Harold è il vero protagonista, allora Nadine è la vera villain: è lui a essere combattuto, lui ad avere scrupoli morali, mentre lei prosegue nella sua totale passività e aderenza alla sua missione di sposa del diavolo, salvo pentirsi per tre secondi dopo una breve conversazione con Abigail, offrirsi a Larry senza motivo (nella serie il rapporto tra i due è inesistente) e, dopo il rifiuto, andarsene solitaria nella notte, sotto la pioggia, determinata a far saltare tutti per aria.
Questo fatto che, se Nadine avesse fatto sesso con Larry, Flagg l’avrebbe lasciata perdere, era uno degli anelli più deboli della struttura narrativa del romanzo. E infatti lo hanno lasciato invariato.
Insomma, tutto quello che si poteva sbagliare, in questo episodio, sono riusciti a sbagliarlo, e adesso la direzione data a tutta la serie comincia a essere traballante. Staremo a vedere.
Note positive?
La cena a casa di Fran e Stu con un Teague incontenibile e Don’t Fear the Reaper sui titoli di coda, in omaggio alla miniserie diretta da Garris.
Per il resto, c’è poco da stare allegri. Ma spero si tratti soltanto di un passo falso e che ci si riesca a riprendere nei 4 episodi ancora mancanti. I presupposti dopotutto ci sono: non mandiamo tutto in vacca a pochi metri dal traguardo. Ce la possiamo ancora fare.