Lean = customer focus + efficienza operativa

Enrico Viceconte
Management Stories
Published in
13 min readMar 6, 2016

Questo articolo, ripubblicato al Blog del Bicocca Training & Development Center, è un invito alla lettura del libro This is Lean. Resolving the efficiency paradox di Niklas Modig e Pär Åhlström, Rheologica Publishing, 2012. Un volumetto scritto in Svezia ci aiuta a comprendere meglio il “pensiero snello” e a capire i motivi per cui le imprese incontrano difficoltà nell’implementazione e nell’esecuzione di una strategia delle operations in grado di rendere compatibile l’efficienza operativa con il customer focus. Una strategia delle operations è “lean” quando il flusso di valore erogato dal produttore e quello ricevuto dal cliente sono entrambi massimizzati. La strategia potrà essere implementata ed eseguita, dopo un lungo viaggio di perfezionamento, quando sarà interiorizzato il valore delcustomer focus. Principi, metodi e strumenti per essere snelli sono la conseguenza logica della chiarezza con cui l’azienda si fonda sul flusso di valore a cui il cliente può attingere.

UN CONCETTO DIFFICILE DA SPIEGARE

In un post precedente, intitolato “Italian Leaders for Manufacturing”, in cui commentavamo il libro di Arnaldo Camuffo, “L’arte di migliorare. Made in Lean italy per tornare a competere, mettemmo in evidenza la progressiva adozione del “pensiero snello” nelle imprese italiane di minore dimensione e l’importanza della leadership in tale trasformazione.

Guidati da Camuffo in un tour attraverso il Nord Est, scoprimmo le diverse ragioni che hanno spinto molte imprese all’adozione di una nuova strategia delleoperations e di un nuovo modo di organizzare la produzione.

Quel libro ha mostrato che sono possibili diversi percorsi di implementazione e diversi modi di roll-out di una strategia “lean”. Alcuni percorsi “template based” (guidati da un modello esterno), altri “principles based” (guidati da fermi principi fondativi ma adattati flessibilmente al proprio contesto organizzativo). Alcuni percorsi, per Camuffo, sono “esogeni”, ad esempio integrarsi e sincronizzarsi a una supply chain snella, sulla scia di un’impresa guida che lo richiede, altri sono “endogeni”, motivati dalla ricerca autonoma di vantaggio competitivo. (Vedi anche, Raffaele Secchi, Arnaldo Camuffo, I sistemi lean, Economia & Management, maggio 2014)

Mi è capitato di raccontare il libro di Camuffo in diverse occasioni formative rivolte a piccole imprese appartenenti alle supply chain del settore aeronautico. Nel breve tempo dedicato a presentare i vantaggi dellean thinking, ho sempre incontrato delle riserve mentali e delle resistenze, come se tra il dire e il fare fosse percepito un baratro incolmabile. Evidentemente quello che era abbastanza evidente a me, dopo aver letto i testi sacri e le informazioni relative ai miglioramenti delle aziende che hanno intrapreso il “lean journey”, non riusciva ad essere presentato alle imprese se non come un atto di fede.

Un giorno ho invitato un ingegnere della Ericsson a tenere una lezione. Nell’occasione mi è stato mostrato un agile volume scritto da due accademici svedesi. Da allora il mio compito di formatore è risultato più facile. Il libro ha il dono della semplicità, della chiarezza cristallina e della capacità di andare direttamente al cuore di una filosofia manageriale solo apparentemente intuitiva.

Il libro si intitola “This is Lean. Resolving the efficiency paradox” e gli autori sono Niklas Modig e Pär Åhlström, della Stockholm School of Economics.

EFFICIENZA DELLE RISORSE ED EFFICIENZA DEL FLUSSO DI VALORE

Cerco di spiegarne i punti salienti, aggiungendo delle mie considerazioni e adattando alcune matrici ed esempi.

Il pensiero industriale tradizionale si sviluppa da un principio di efficienza operativa nel produrre valore aggiunto: la massima utilizzazione delle risorse (persone, macchinari, impianti, canali distributivi eccetera). E’ il punto di vista del processo del produttore, il lato dell’offerta. Massimizzare il flusso di valore prodotto.

Se invece guardiamo dal lato della domanda, scopriamo che per il cliente la massima efficienza del proprio processo consiste nel ricevere quanto desidera, nel momento in cui lo desidera. Massimizzare il flusso di valore ricevuto.

Modig e Åhlström mostrano che questi due punti di vista hanno due differenti focalizzazioni: il primo sull’ “efficienza delle risorse”; il secondo sull’ “efficienza del flusso”. Nel primo caso, in cui il produttore è ossessionato dalla propria saturazione piuttosto che dalla soddisfazione del cliente, ciascuna “risorsa” (ad esempio un medico, un impiegato allo sportello, un operaio, una macchina utensile) dovrebbe massimizzare il numero medio di “unità di flusso” servite (alle quali viene fornito valore aggiunto) nel turno di lavoro (visite mediche ai pazienti, operazioni di sportello, cicli di lavoro per la fabbricazione di un certo componente di un prodotto). Il focus, in questo primo caso, è sul produttore che ha a cuore soprattutto la propria ottimizzazione.

Nel secondo caso, al centro è l’”unità di flusso” (visita al paziente, operazione di sportello, fasi di fabbricazione) che deve massimizzare la quantità di valore ricevuto dalle diverse risorse nell’unità di tempo. Cioè avere subito e continuamente tutto il valore richiesto nel tempo più breve possibile. In questa logica, per un prodotto, il “tempo di attraversamento” e il “work in progress” sono minimi, non importa al cliente se a scapito dell’efficienza delle risorse del produttore. Il focus, nel secondo caso, è sul cliente le cui esigenze sono prioritarie rispetto all’ottimizzazione del fornitore.

RISORSE E UNITÀ DI FLUSSO IN UN OSPEDALE

Facciamo un esempio. In un ospedale, un medico, un analista, uno scanner per la TAC, una sala operatoria sono risorse che si dedicano a diversi pazienti e percorsi di diagnosi e cura.

Invece la diagnosi e la cura di un singolo paziente, effettuata con le diverse risorse produttive che vi si dedicano, è l’unità di flusso.

Se l’ospedale A cerca di saturare le risorse, alla ricerca della massima efficienza, avrà medici e sale operatorie sempre occupati, probabilmente spesso con code e liste d’attesa. Il flusso di valore prodotto da ciascuna risorsa, se A riesce a saturare le risorse, è massimo. Il cliente, invece, riceverà il valore aggiunto di ciascuna fase del processo diagnostico, in modo intermittente, aspettando il proprio turno nel giorno in cui la visita potrà essere programmata. Il cliente impiegherà un lungo tempo per ricevere il valore della diagnosi e della cura. Il flusso di valore ricevuto sarà intermittente e “diluito” nel tempo. In questo caso ciascun cliente è un’unità di prodotto inserita in un processo standardizzato e ripetitivo.

Se invece l’ospedale B, orientato al cliente, cerca di massimizzare il flusso di valore ricevuto per il singolo paziente, questi sarà subito servito con continuità (e in rapida sequenza) da tutte le risorse, e uscirà subito e molto soddisfatto dall’ospedale. Con la probabilità di avere medici, sale operatorie e macchinari diagnostici impegnati “on demand” e quindi non saturati. Il cliente impiegherà un breve tempo per ricevere il valore della diagnosi e della cura. Il flusso di valore ricevuto sarà intenso e di breve durata. In questo caso il cliente è al centro di un “progetto” individualizzato.

Niklas Modig e Pär Åhlström schematizzano nella matrice seguente le due situazioni.

DALLA “STRATEGIA GENERICA” DI PORTER ALLA STRATEGIA DELLE OPERATIONS

In alto a sinistra nella matrice, la scelta di A di perseguire l’efficienza delle risorse corrisponde ad una strategia aziendale orientata al volume e alla standardizzazione. Una strategia di costo.

Nella strategia di B, che si colloca nella casella in basso a destra, la scelta dell’efficienza di flusso corrisponde ad una strategia aziendale orientata alla differenziazione.

Per effetto della imprevedibilità con cui scoppiano gli incendi, una squadra di pompieri, ottimizzata per l’efficienza di flusso, avrà molti tempi di inattività quando, fortunatamente, non ci sono incendi e quindi avrà un’ inefficienza delle risorse. Ogni spegnimento d’incendio è un “progetto ad hoc” in cui i fattori critici di successo sono la tempestività, la rapidità la specificità relativamente allo specifico caso trattato.

Allo stesso modo in una sanità in cui c’è scarsa sensibilità al tempo di attraversamento del paziente (che infatti esercita la virtù della pazienza), esiste un’isola in cui le risorse si dedicano completamente e con un flusso intensissimo di valore al malato: la camera operatoria. Il cambio delle ruote al pit stop della Formula 1 è un altro esempio di flow efficiency. La corsa contro il tempo per tenere in vita il paziente o per non vanificare, in un collo di bottiglia, la velocità della vettura, escludono un’organizzazione saturata e richiedono un team mobilitato intensivamente on demand sulla produzione di un intensissimo e temporaneo flusso di valore.

Viceversa, un impianto petrolchimico, ottimizzato per produrre continuamente grandi volumi di carburante (che è una commodity), sarà ottimizzato per l’efficienza delle risorse e sarà incapace di lavorare on-demand in modo intensivo.

In questo senso la matrice di Modig e Åhlström è pressoché sovrapponibile con la classica matrice “Prodotto-Processo” di Hayes e Wheelwrigh che si insegna in ogni corso di Operations strategy.

Il percorso verso la perfezione “lean” può essere schematizzato, in quella rappresentazione, come l’allontanamento dalla diagonale ideale tracciata negli anni ottanta dagli inventori del World Class Manufacturing. La diagonale tratteggiata allinea le possibili organizzazioni della produzione in funzione del grado di discontinuità (e flessibilità) del processo e del volume. La maggiore possibilità di personalizzazione delle attività discontinue e flessibili (come le attività su commessa o i progetti) rappresentano un massimo di flusso di valore, perché il prodotto è fatto su misura del cliente. La rigidità in alto a sinistra sacrifica la possibilità che fluisca verso il cliente il valore della personalizzazione (se richiesto).

La casella in basso a sinistra è la terra dello spreco. E’ una casella di inefficienza complessiva che corrisponde a una scadente operations strategy e/o a una scadente implementazione ed esecuzione che comporta, tra l’altro, un controllo dei processi molto scarso. Insomma la casella in basso a sinistra corrisponde a uno stato di caos, di mancanza di controllo, di spreco di risorse.

Una start-up ancora immatura, all’inizio del suo processo di apprendimento, potrebbe trovarsi in tale casella, e scegliere di procedere verso l’alto come conseguenza di una strategia di costo, oppure di procedere verso destra, in funzione di una strategia di differenziazione centrata sul cliente.

A cosa corrisponde, invece, la casella in alto a destra? E’ la casella in cui, giorno dopo giorno, impariamo ad essere sempre più efficienti sia nelle risorse sia nel flusso. La casella della filosofia lean che associa un’eccellente operations strategy ad un elevato grado di controllo e miglioramento continuo dei processi. E’ un eden che va conquistato giorno dopo giorno, con pazienza e determinazione. Un viaggio verso la perfezione che non ha fine. Perché la perfezione è un asintoto che si raggiunge dopo un tempo infinito.

Verso la casella della perfezione lean, in alto a destra, possiamo procedere sia partendo dalla casella dell’efficienza delle risorse, ad esempio producendo auto con i principi del World Class Manufacturing, sia partendo dalla casella dell’efficienza di flusso, ad esempio sviluppando un prodotto software con l’applicazione di metodologie “agili” di project management e di “systems engineering”.

LA VARIABILITÀ DEI PROCESSI OSTACOLA IL CONSEGUIMENTO DELLA PERFEZIONE LEAN. DUNQUE RIDUCIAMO LA VARIABILITÀ!

Ad ostacolare la volontà aziendale di perseguire tale posizione di eccellenza in alto a destra è la natura variabile e poco prevedibile dei processi: il caso e l’ignoranza. Possono essere infatti molto (o poco) variabili, discontinui, ignoti e imprevedibili: l’output richiesto dal mercato (in termini di volumi e mix), i processi interni, l’input fornito dai fornitori. Nella matrice seguente l’area grigia, oltre la frontiera tratteggiata, rappresenta il limite al conseguimento di entrambe le efficienze, dovuto a tutte le variabilità e imprevedibilità del sistema. La frontiera della terra dell’Eden è mobile. Può retrocedere grazie ad un’azione paziente di miglioramento.

Quando la domanda è prevedibile e le variabilità sono minime si può raggiungere la perfezione in alto a destra. Ampie deviazioni standard nei parametri di processo sono nemiche della perfezione lean e ci ricacciano verso la terra dello spreco.

LA DIFFERENZA TRA FORD E TOYOTA SPIEGATA ALLA LUCE DELLA VARIABILITÀ

Come scrivemmo in un post precedente (poi pubblicato su Harvard Business Review Italia), Henry Ford, immaginando e progettando un flusso di produzione stabile e sostenuto di vetture, e con la possibilità di congegnare perfettamente i cicli di lavoro sulla catena di montaggio meccanizzata, riuscì a minimizzare i tempi di attraversamento e aumentare la saturazione delle risorse.

Quale fu la differenza tra l’operations strategy di Ford e quella di oltre mezzo secolo dopo, alla Toyota? La differenza fu determinata da una diversa domanda del mercato. Rispondendo ad una domanda più evoluta e variabile del mercato, il Toyota Production System era in grado di migliorare progressivamente sia l’una sia l’altra saturazione, in presenza di una crescente domanda di variabilità dell’output richiesto (volume e mix richiesti). Era la nascita della filosofia lean cioè di una strategia delle operations diversa da quella di Ford. Il senso della rivoluzione lean lo possiamo anche vedere dalla curvatura della diagonale della matrice prodotto-processo di Hayes e Wheelwright.

Cosa ci dicono le matrici di che abbiamo presentato? Ci dicono forse che un’organizzazione che lavora per progetti customized, ad esempio che realizza ponti, non ha la possibilità di essere sempre saturata nell’uso delle risorse? Cosa fanno le risorse quando è finito un ponte e si aspetta una nuova commessa? Non si può escludere che, quando va ad esaurimento il ciclo di vita di un certo progetto, ad esempio un ponte su Tevere, sia subito pronto a subentrare il ciclo di vita del progetto di un ponte sull’Arno, in modo che le risorse siano sempre in attività, sempre sature. Ma è del tutto evidente che sia molto difficile che la domanda di ponti sia così comodamente livellata per chi produce ponti e che il flusso di valore richiesto sia stabile. La soluzione classica è nella pianificazione e gestione dell’interoportfolio di programmi e progetti e nel sub-contracting. Ma questo non basta in un settore dove tutti i concorrenti pianificano e subappaltano con capability equivalenti. Il lean thinking può intervenire su ciascun processo del fascio di processi più o meno ripetitivi, che sono dentro a un progetto singolo, creando gap competitivo tra un costruttore di ponti “lean” o “agile” o dotato di una funzione di “systems engineering” e uno che non lo è.

PERCHÉ LE IMPRESE NON COMPLETANO IL LEAN JOURNEY?

A oltre trent’anni dalla nascita del Toyota Production System, non tutte le azienda hanno deciso di adottare tale strategia. Molte di quelle che hanno deciso in tal senso non sono riuscite ad implementare ed eseguire la strategia. Il rischio che corrono è di uscire dal mercato.

Tendere continuamente verso l’angolo a destra in alto della matrice significa concentrarsi sulle unità di flusso (e quindi sul valore ricevuto dal cliente) anche quando si ha l’impressione che questo ci allontani dalla saturazione delle unità di produzione (e quindi dall’efficienza con cui le risorse sono impiegate).

Un passaggio critico che, in fase di roll-out di un progetto lean, portando l’azienda spesso in basso verso l’inferno del caos, fuori dalla “zona di comfort” (casella in basso a sinistra), rischia di spingere il management ad interrompere il viaggio prima di poter raccogliere i risultati. La variabilità, che nelle produzioni discontinue su commesse multiple sembra ostacolare ogni speranza di livellamento, appare al management come impossibile da contenere e ridurre. Allora si abbandona ogni sforzo sul fronte della riduzione della deviazione standard dei processi, del livellamento dei carichi di lavoro e del cadenzamento (Takt-time). Tutto ciò confidando nell’ipersaturazione delle risorse nei momenti critici, nella buona volontà nel superare le criticità e nella buona sorte.

Niklas Modig e Pär Åhlström sottolineano che il difetto di comprensione da parte delle aziende consiste nel non capire che una lean operations strategy non consiste in un set di strumenti da applicare in azienda ma in una gerarchia logica di che al vertice ha un ethos, dei Valori (come comportarsi e perché). Da tali valori discendono, ad un secondo livello di astrazione, dei Principi (come pensare: ad esempio Just in Time e Jidoka); dai valori discendono dei Metodi(cosa fare). Dai metodi discendono degli Strumenti (cosa avere).

La confusione che si genera nelle aziende che vorrebbero intraprendere il “lean journey” è che spesso credono, partendo dalla fine invece che dal principio, di poter “comprare” direttamente gli strumenti o, tutt’al più, dei metodi standard (o dei “template”). In realtà, nella filosofia lean, questa è l’ultima cosa da fare e metodi e strumenti possono differire molto da azienda ad azienda. Sono invece abbastanza definiti e ferrei i valori e i principi, e questi difficilmente possono essere comprati sul mercato della consulenza.

La gerarchia top-down, dai valori agli strumenti, indica una sequenza logica difficilmente ribaltabile nel roll-out di un progetto lean. Pena l’insuccesso. Allo stesso tempo ciascuna persona nell’organizzazione, domandandosi continuamente il “perché” di certi strumenti, e ripetendo la domanda a ritroso dovrebbe risalire bottom-up dagli strumenti adottati ai metodi, dai metodi ai principi, dai principi ai valori.

Come dicemmo nel post dedicato al libro di Camuffo, il commitment e la leadership del vertice aziendale sono essenziali per chiarire i perché che muovono l’organizzazione fuori dalla zona di comfort e i comportamenti attesi.

CONCLUSIONI

L’orientamento diffuso al cliente non può restare sul piano dell’esortazione e della retorica, come valore astratto. Nella lezione giapponese il customer focus è un valore che deve generare dei principi o regole del gioco, questi devono generare dei metodi che le persone possano apprendere operativamente. Tra l’altro il processo di apprendimento necessario si fonda sul valore del rispetto della persona. Questi metodi saranno supportati da strumenti sviluppati su misura dell’azienda, con il coinvolgimento di molti. Il lean management è una forma molto evoluta di apprendimento organizzativo.

La formazione manageriale, collegando meglio la Business strategyall’Operations strategy e questa all’Operations management, può svolgere una funzione insostituibile nell’enunciazione di valori e principi che, nell’attuale contesto competitivo, non possono essere più ignorati.

A tale scopo, sintesi come quelle di Niklas Modig e Pär Åhlström sono indispensabili per il formatore.Originally published at www.linkedin.com.

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