Ragionare è più che “inferire”

Perché diagrammare i nostri ragionamenti è utile e necessario

Pietro Alotto
Mappe Argomentative
11 min readSep 1, 2017

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https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/0/0a/Holmes_-_Paget_1903_-_The_Empty_House_-_The_Return_of_Sherlock_Holmes.jpg

Il Ragionamento

Non possiamo parlare di ‘ragionamento’ senza tributare il dovuto omaggio al maestro di tutti i “ragionatori” letterari, il Detective per antonomasia: il grande Sherlock Holmes.

Iniziamo con due esempi del tipico modo di ragionare holmesiano, uno serio e l’altro comico: uno tratto da un romanzo di Sir Arthur Conan Doyle, l’altro da una parodia contemporanea del brasiliano Jò Soares.

La scena è il Diogenes Club in Pall Mall a Londra, dove Sherlock Holmes è a colloquio con il fratello nel racconto Il caso dell’interprete greco (nel volume Le memorie di Sherlock Holmes di Sir Arthur Conan Doyle); il narratore è come al solito il dottor Watson.

I due sedevano insieme sulla veranda del club. “Questo è il posto giusto per chi vuole studiare l’umanità”, disse Mycroft. “Che magnifici esemplari! Guarda, per esempio, quei due uomini che si stanno avvicinando.”

“Il giocatore di biliardo e l’altro?”

“Precisamente. Cosa ne pensi dell’altro?”

I due si erano fermati di fronte alla finestra. Alcune tracce di gesso sul taschino del panciotto erano gli unici segni relativi al biliardo che riuscissi a vedere su uno di loro. L’altro era un tipo molto basso, di pelle scura, col cappello tirato indietro e parecchi pacchetti sotto il braccio.

“Un ex-soldato, a quanto pare”, disse Sherlock.

“E congedato recentissimamente”, osservò il fratello.

“Ha prestato servizio in India, vedo.”

“Come sottufficiale.”

“Regia artiglieria, immagino”, disse Sherlock.

“Ed è vedovo.”

“Ma con un bambino.”

“Bambini, ragazzo mio, bambini.”

“Andiamo”, dissi io sorridendo, “questo è un po’ troppo”

“Di certo”, rispose Holmes, “non ci vuol molto per dire che un uomo con quel portamento, quell’espressione d’autorità e quella pelle abbronzata è un soldato, è più di un soldato semplice e non è tornato da molto dall’India”.

“Che non abbia lasciato il servizio da molto si vede dal fatto che porta ancora i suoi stivali d’ordinanza, come vengono detti”, osservò Mycroft. “Non ha la camminata da cavalleria, tuttavia ha portato il cappello sulle ventitré, come si vede dalla pelle più chiara su un lato della fronte. Data la stazza non si direbbe un geniere. Quindi è un artigliere.”

“Poi, ovviamente, il fatto che vesta in lutto stretto mostra che ha perso qualcuno di molto caro. Il fatto che faccia le compere da solo fa supporre che fosse la moglie. Ha comprato, come vede, delle cose per i bambini. C’è un sonaglio, che dimostra che uno di essi è molto piccolo. Probabilmente la moglie è morta durante il parto. Il fatto che abbia un libro illustrato sotto il braccio mostra che c’è da tener conto di un altro bambino.”

E’ evidente che si tratta di un processo di ragionamento: Holmes ed il fratello Mycroft, partono dall’osservazione di alcuni fatti (l’abbronzatura, la posizione del cappello, l’andatura ecc.) per trarre conclusioni intorno alla vita familiare ed al passato dell’uomo.

Una parodia simpatica delle strabilianti capacità logiche di Holmes ci viene da un libro dello scrittore brasiliano Jò Soares, dal titolo Un samba per Sherlock Holmes. Il libro narra di un’indagine del famoso investigatore (di cui prende in giro le famose capacità “deduttive”) ambientata nel 1886 nella città di Rio de Janeiro.

[…] La conversazione fu interrotta da Inojozas che entrò in camera tenendo in mano un biglietto ripiegato:

-Permettete signor Holmes, io…

Il detective lo interruppe:

-Non dovete dirmi niente. Presumo che soffriate di un male noto come ballo di San Vito e che ieri abbiate avuto una discussione con vostra moglie. Mi state portando un biglietto della signorina Anna Candelària e poco fa vi siete azzuffato con uno zingaro i cui orecchini non sono d’oro, affermò Holmes con noncuranza, infilandosi la vestaglia.

Watson, abituato alle elucubrazioni mentali di Sherlock, non fece una piega. Inojozas restò a bocca aperta, frastornato dalla rivelazione:

-Come avete fatto ad arrivare a queste conclusioni, signor Holmes? chiese, meravigliatissimo.

-Elementare, caro Inojozas. Il ballo di San Vito, malattia nota negli ambienti medici come «corea di Sydenham» provoca un tremore incontrollabile, il che spiega le macchie di acqua sui risvolti della vostra giacca, dovute ad un bicchiere che si è rovesciato. La discussione con la moglie si spiega facilmente constatando che avete tolto la fede dal dito, sul quale dito peraltro si rileva il solco lasciato dall’anello; noto inoltre che il biglietto che mi portate è scritto da una grafia femminile, quindi è della signorina Anna Candelária, da cui attendo notizie. La spiegazione della zuffa con lo zingaro è ancora più ovvia. Lottando con un gitano, quale miglior attacco dell’appendersi ai suoi orecchini per renderlo inoffensivo? Quanto alla constatazione che detti orecchini non erano d’oro, lo vedo dalle macchie verdastre che avete sulle mani. Erano di rame, sentenziò Sherlock Holmes. Raccolse i suoi indumenti e il nécessaire, e veleggiò tronfio e trionfante verso il bagno annunciando:

-Torno tra un minuto.

Inojozas sedette stupefatto di fronte a Watson. Il dottore cercò di rincuorarlo:

-Non stupitevi, vecchio mio. Le capacità deduttive di Holmes hanno sorpreso i migliori cervelli di Scotland Yard e hanno portato in galera più di un criminale. Quanto al vostro ballo di San Vito, come medico, vi consiglio le pastiglie d’oppio: danno risultati eccellenti nella cura della malattia.

-Vi ringrazio, dottor Watson, ma vi garantisco che non soffro di nessuna malattia. La mia giacca è bagnata perché sta ancora piovendo. Inoltre sono scapolo e al dito non porto una fede, ma un anello che ho tolto perché mi stava stretto. Il biglietto non è della signorina Anna Candelária, ma è una mia lettera che devo impostare, e da molti anni non vedo uno zingaro. Le macchie sulla mia mano sono d’inchiostro, mi sono sporcato scrivendo, spiegò Inojozas.

-Dettagli, vecchio mio, semplici dettagli. Non permetteremo che il risultato del brillante ragionamento che è stato or ora esposto venga stravolto da volgari dettagli. A che dobbiamo la vostra visita, piuttosto? cambiò argomento Watson. […]

A parte il fatto che il vero Holmes probabilmente non sarebbe caduto in errori così grossolani, (alcuni sono semplicemente errate osservazioni, vedi la calligrafia sulla lettera!) questo è un esempio divertente di come si possano fare errori concludendo da semplici indizi. L’eccezione è sempre in agguato!

Ma ciò che c’è di interessante in questo esempio è la possibilità di anatomizzare il modo in cui “ragioniamo”, e cosa può portarci fuori strada.

Cosa vuol dire ragionare?

Sherlock Holmes ci insegna che noi ragioniamo quando traiamo conclusioni da una serie di fatti o dati. Diversamente da altri processi di pensiero come l’immaginare, seguire il filosode i propri pensieri, il meditare, il “ragionare” è un tipo di pensiero finalizzato e organizzato [Dewey]. Il “ragionare”, diversamente da come generalmente pensiamo, è trarre inferenze, che è solo una parte, importante certo, ma non esaustiva delle nostre riflessioni finalizzate.

Tutti noi continuamente, in ogni momento della nostra giornata, facciamo inferenze, e quindi in un certo senso, ragioniamo. Ragioniamo quando traiamo la conclusione che c’è qualcuno alla porta, perchè hanno bussato. Ragioniamo quando tentiamo di risolvere un indovinello, o un problema di matematica casalinga (come possiamo arrivare alla fine del mese con il nostro magro stipendio?). Ragioniamo, perfino, quando andiamo a fare la spesa e compriamo gli ingredienti necessari per cucinare un certo piatto.

Tutti noi sappiamo identificare fra i tanti processi mentali di pensiero (desiderare, immaginare, fantasticare, inventare, ecc.) quelli che si riferiscono all’atto del ragionare (Dewey lo chiamava “pensiero riflessivo”). Eppure se io vi domandassi così, sui due piedi, “ cosa facciamo quando ragioniamo?”, potreste andare, come spesso avviene con i miei studenti, in crisi.

Ed è strano, perchè se io vi chiedessi di risolvere un problema di ragionamento, voi capireste immediatamente a cosa mi riferisco, e quale genere di attività mentale è necessaria per risolvere questo tipo di problema.

Per rendere consapevoli i miei studenti di cosa facciamo inconsapevolmente quando ragioniamo propongo questo esercizio. Provate a risolvere il seguente problema logico:

Enunciato: In una comunità mitica la popolazione è divisa fra politici e non politici. I politici mentono sempre, i non politici dicono sempre la verità. Uno straniero incontra tre indigeni. Al primo chiede se è un politico e riceve una risposta. Il secondo asserisce che il primo ha negato di essere un politico. Il terzo sostiene che il primo è un politico.

Problema: Quanti politici ha incontrato lo straniero?

Sicuramente ci riuscirete in pochissimo tempo. Fatto? La risposta è, come sicuramente avrete trovato … [la troverete alla fine del post, così non ci sbirciate prima 😉]

Ora, se vi chiedessi di descrivere i processi di ragionamento che vi hanno condotto alla soluzione, sareste capaci di farlo? E, contemporaneamente, sapreste ricostruire passo per passo i singoli passaggi mentali (inferenziali) che vi hanno condotto alla soluzione? Probabilmente no, o con qualche difficoltà.

Niente panico, è del tutto normale. E’ che l’attività mentale, che noi denominiamo “ragionare”, è qualcosa di più che trarre conclusioni da premesse, come spesso ci viene insegnato: leggere le informazioni, comprendere quali sono “informative” (nel senso che permettono di trarre ulteriori dati, da sole o in connessione con altre), quali sono quelle pertinenti e quali no, recuperare dalla memoria a lungo termine quelle conoscenze che sono “implicate” dalla informazioni date, porsi le domande “giuste” per poter guidare l’attenzione e fare le inferenze che ci servono, sono tutte operazioni necessarie a “ragionare” per risolvere un problema.

Il fatto è che che facciamotutto questo naturalmente, senza aver bisogno di pensarci su, anche in modo inconscio (la nostra mente è in grado di svolgere una serie enorme di inferenze senza che noi vi prestiamo necessariamente attenzione). E’ qualcosa che nessuno ci ha insegnato a fare, qualcosa che, come l’apparato sensitivo, abbiamo in dotazione sin dalla nascita.

E’, in parte anche, qualcosa di automatico, come, per esempio quando comprendiamo quello che ci viene detto.

Poniamo che Francesco ci dica:

“Ho dimenticato di spedire la lettera ad Antonio. E pensare che Patrizia é appena partita!”

Molto probabilmente siamo in grado di comprendere il senso del suo enunciato, anche se questo risulta formato da due proposizioni apparentemente scollegate. Possiamo, infatti, sapere che Antonio e Patrizia vivono assieme e, quindi, possiamo fare il seguente ragionamento:

Consegnando la lettera a Patrizia, Francesco sarebbe riuscíto a farla avere ad Antonio.

Tali ragionamenti, che sono guidati dalle nostre conoscenze implicite delle regole della conversazione, non sembrano richiedere uno sforzo consapevole per essere fatti. Anzi, se qualcuno ci chiedesse se abbiamo ragionato per comprendere l’enunciato del nostro amico, molto probabilmente risponderemmo di no.

Il che non vuol dire che ragioniamo sempre bene. Ma questo è un altro discorso.

Perché ragioniamo?

L’uomo, diversamente dagli altri animali, sembra l’unico essere in grado di ragionare, di pensare, cioè, svolgendo un ragionamento. Perché questo ci accada l’ha spiegato, a modo suo, il filosofo greco Aristotele che affermava che “luomo è un animale razionale”, un essere dotato di ragione, cioè della capacità di pensare in maniera organizzata e, in particolare, in modo inferenziale, traendo conclusioni da premesse date. E’ una spiegazione tipicamente aristotelica, che, di fatto, non spiega nulla. Dire che un essere ragiona perché è nella sua natura ragionare è come dire che una macchina si muove perché è nella sua natura muoversi (argomento di analogia).

Se noi avessimo un’intuizione immediata del mondo e di tutto ciò che vi accade, non avremmo bisogno di ragionare. Così, non abbiamo bisogno di ragionare per sapere se è mattina, pomeriggio o sera, ci basta guardare fuori dalla finestra, oppure l’orologio; non abbiamo bisogno di ragionare per sapere che in questo momento stiamo leggendo; non abbiamo bisogno di ragionare per sapere se in questo momento sentiamo caldo o freddo, fame o sazietà.

Purtroppo per noi ciò che possiamo conoscere con immediatezza (ciò che ci appare come evidente), è poco, e anche incerto. I nostri sensi sono limitati e non sempre attendibili. Pensiamo di vedere un bastone spezzato immerso in una bacinella e invece è solo un’illusione ottica.

Anche ciò che possiamo dire di sapere con certezza è limitato (non sappiamo tutto e, se anche lo sapessimo, non sapremmo ciò che ancora non si è realizzato) e anche questo non sempre è attendibile; inoltre non sempre cogliamo subito e consapevolmente tutte le implicazioni possibili delle nostre credenze. Possiamo credere in un Dio onnipotente, onnisciente ecc. e non accorgerci che questa credenza comporta un qualche problema per la nostra credenza nel libero arbitrio.

Per vivere la nostra vita abbiamo, perciò, bisogno di qualcosa che ci permetta di estendere le nostre conoscenze, di esplicarle, di controllarle, di fare previsioni: abbiamo bisogno, cioè, di pensare, e in particolare, di “ragionare”.

In conclusione, noi ragioniamo quando, partendo da ciò che ci è noto, che già sappiamo (o presumiamo di sapere), cerchiamo di pervenire a qualcosa che non ci è ancora noto. Questo qualcosa può essere qualcosa di più generale dei nostri dati, oppure qualcosa di implicito nei nostri dati, oppure la previsione di qualcosa di particolare, ecc.

E’ questo il caso del problema di ragionamento di cui sopra. Abbiamo a disposizione un certo numero di informazioni o dati e, a partire da questi, abbiamo dovuto trovarne altri che ci mancavano.

N.B. : Prima di abbandonare l’argomento, occorre fare una precisazione. Nell’uso comune con “ragionamento” intendiamo sia il ‘processo mentale’ che il ‘prodotto’ di tale processo. Così, ‘facciamo’ dei ragionamenti, ma ‘li’ esaminiamo e ‘li’ valutiamo anche. Diciamo “segui il mio ragionamento”, ma anche “il tuo ragionamento fa acqua da tutte le parti”, oppure “il tuo ragionamento non mi convince”.

Migliorare il controllo sui nostri ragionamenti

Ragionare non è, come ormai si sarà capito, il semplice “trarre inferenze”, ma trarre inferenze in modo consapevole e guidato. Noi traiamo, infatti, continuamente inferenze (siamo “macchine inferenziali”), ma ragioniamo veramente solo quando abbiamo problemi da affrontare e domande a cui rispondere e non possiamo affidarci ai nostri sensi. Ecco perché ragionare non è semplicemente fare inferenze: inferenza + consapevolezza =ragionamento.

Migliorare le nostre capacità di ragionamento è possibile e necessaria ed è un obiettivo raggiungibile in più modi non mutualmente escludentisi, ma di diversa efficacia. Per decenni, nel secolo scorso, si è ritenuto che il modo unico e più efficace fosse lo studio della logica formale o matematica. A partire dalla metà del secolo scorso su questo fronte le opinioni si sono diversificate soprattutto con la nuova teoria dell’argomentazione di Perelmann, gli studi di S. Toulmin sull’argomentazione e l’avvento della cosiddetta logica informale. Naturalmente niente può sostituire lo studio e la conoscenza della logica. Ma esistono metodi, strategie e strumenti per supportarla.

Il mapping argomentativo e deliberativo può fornire un supporto di questo tipo ci aiuta e sostiene nei nostri processi di ragionamento, di giudizio e di deliberazione e può fornire all’insegnante uno strumento utile per formare gli studenti al pensiero logico e rigoroso.

Partiamo dall’assunto che possiamo esercitare un controllo su qualcosa solo se lo conosciamo, se ne conosciamo i meccanismi di funzionamento. Ne segue che, se vogliamo tenere sotto controllo e migliorare i nostri processi di ragionamento, dobbiamo cercare di capire come ragioniamo, cosa facciamo quando ragioniamo, per esempio, per risolvere un problema.

L’uso di tecniche di visualizzazione dei nostri pensieri, può sostenerci (dopo una prima fase di pensiero libero, in cui inseguiamo le idee, seguiamo le associazioni, sforziamo la nostra memoria) nell’organizzare in maniera più produttiva il nostro sforzo, guidando la riflessione con domande, richieste di evidenze, affidamenti …

Alla fine di questo processo, arriva il ‘prodotto’ (il “semilavorato”, il ‘prodotto finito’ sarà il testo arricchito con tutto l’apparato retorico necessario alla comunicazione e alla persuasione): la mappa del nostro ragionamento, che dovrà articolarsi e strutturarsi in modo logicamente coerente, coeso e corretto.

Il modello di “argomento”, in senso lato, (premessa-premessa-conclusione; dato-regola-conclusione) ci permette di controllare i pensieri le inferenze che velocemente facciamo quando pensiamo in modo riflessivo sulla base di regole logiche intuitive o “naturali” o di principi e schemi argomentativi che è meglio conoscere, per tenere sotto controllo vigile e critico i nostri pensieri.

La mappatura di un ragionamento permette di modellizzare, schematizzare il ragionamento, di fissarlo nel suo struttura logica di base, di controllarlo logicamente per valutarne la coerenza, la consistenza, la correttezza; di controllarne la forza e la bontà.

Il diagramma del ragionamento

La diagrammatura di un ragionamento costringe lo studente a fare chiarezza nei propri pensieri; gli permette di comunicare con chiarezza il proprio pensiero /ragionamento ad altri; permette agli altri di poter “controllare” e “giudicare” il risultato e, in mancanza di obiezioni, gli impone di concedere la conclusione.

È per questo che abbiamo bisogno di conoscere, come dicevamo sopra, l’armamentario di base dei nostri ragionamenti. E non si tratta di sapere a memoria cosa è un sillogismo, quanti tipi di sillogismo corretto sono possibili, ecc. ma di cosa sono fatti concretamente i nostri ragionamenti, cosa deve avere un ragionamento per essere valido, ecc. ecc.

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Pietro Alotto
Mappe Argomentative

Scrivo di scuola, di filosofia, argomentazione, critical thinking e argument mapping (su cui ho scritto l'unico libro pubblicato in Italia).