Critica della prova a priori dell’esistenza di Dio di Anselmo d’Aosta

Analisi e critica filosofica con la tecnica della mappatura degli argomenti

Pietro Alotto
Mappe Argomentative
16 min readNov 18, 2023

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https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Anselm_of_Canterbury.jpg

Argument mapping, the graphical representation of reasoning, can have significant value in the field of philosophical analysis and criticism. It allows for a thorough understanding and evaluation of philosophical arguments by immersing the analyst in the logical structure of the original reasoning. By visually diagramming the argument, one can identify and isolate the different premises and assess their validity and foundation. This allows for a critical evaluation, as any unspoken assumptions or conceptual ambiguities can be identified. Additionally, mapping arguments helps reconstruct the logical form of reasoning, aiding in the process of identifying fallacies or weaknesses in the argument. Overall, argument mapping enhances the accuracy and depth of understanding philosophical arguments, providing a valuable tool for analysis and criticism in this field.

La mappatura degli argomenti si potrebbe configurare come un valore aggiunto di rilevanza cruciale nell’ambito dell’analisi e della critica filosofica. Questa pratica, basata sulla rappresentazione grafica dei ragionamenti, può contribuire in diversi modi alla comprensione e alla valutazione accurata delle argomentazioni filosofiche.

Innanzitutto, la diagrammatura costringe chi la utilizza a seguire il ragionamento originale, spingendo l’analista a immergersi nell’articolazione logica dell’argomento, così come è stata proposta dall’autore, senza lasciarsi irretire dalla stratificazione di interpretazioni pregresse e ormai consolidate. Non per mancanza di fiducia, e neanche per supponenza, ma per rispetto delle intenzioni originali di chi ha scritto e pensato quelle argomentazioni, esprimendole in quel modo, dando forma ai propri pensieri. Va da sé, che ciò porta l’analista a una comprensione più profonda delle idee espresse

La mappatura degli argomenti consente di distillare e isolare le diverse premesse presenti nel ragionamento. Cosa che è essenziale per una valutazione puntuale delle premesse, dei dati e dei fondamenti a supporto dell’argomento in esame. La capacità di visualizzare in modo chiaro e organizzato le componenti fondamentali di un ragionamento filosofico facilita la valutazione critica, consentendo di identificare eventuali presupposti non espliciti o ambiguità concettuali.

E ancora, la mappatura degli argomenti, ricostruendo la forma logica del ragionamento. Consente di valutare la tenuta logica complessiva dell’argomento, compresi i collegamenti tra premesse e conclusioni; permette di individuare eventuali fallacie o incongruenze, fornendo così uno strumento efficace per valutare la validità e la forza dell’intero ragionamento.

La Prova a priori di Anselmo d’ Aosta

Per mettere alla prova la tecnica analizzeremo un classico dell’argomentazione filosofica, la prova ontologica di Anselmo d’Aosta.

Seguiremo il testo di Anselmo in modo puntuale, per rimanere fedeli al ragionamento dell’Autore (cosa che si dovrebbe fare sempre, per cercare di non tradire il pensiero che si andrà ad analizzare e valutare):

“Adunque, o Signore, che dài la comprensione alla fede, concedimi di capire, per quanto sai che mi giovi, che tu esisti, come crediamo, e sei quello che crediamo.

1 Ora, crediamo che tu sia qualche cosa di cui nulla può pensarsi più grande. O che forse non esiste una tale natura, poiché “lo stolto disse in cuor suo: Dio non esiste”? (Ps., 13, 1 e 52, 1).”

Commento — La prova di Anselmo può essere letta come una confutazione della posizione di chi non crede e, insieme, come prova indiretta dell’esistenza di Dio. Anselmo pretende di poter provare che non si può negare l’esistenza di Dio (“l’essere di cui nulla può pensarsi di più grande”) senza contraddirsi; Dio, quindi, deve esistere necessariamente.

Possiamo ricostruire la linea del ragionamento in questo modo:

P1. Noi crediamo che tu esista e che tu sia “qualche cosa di cui nulla può pensarsi di più grande”

P2. C’è chi nega una tale natura e afferma: “Dio non esiste”

P3. Chi afferma che non esiste “qualcosa di cui non si può pensare nulla di più grande” si contraddice

C Dunque, tu esisti come noi pensiamo

Diagramma 1

Diagramma 1 — Nel presente diagramma, abbiamo eseguito una dettagliata ricostruzione della linea argomentativa formulata da Anselmo. Si tratta di un tipico argomento di contraddizione.

Nella prima premessa (2.1), Anselmo avanza due affermazioni significative: che “Dio esiste” e che Egli è “qualcosa di cui nulla può essere pensato di più grande”. Queste due assunzioni le ritroviamo separate nelle premesse successive, 2.2 e 2.3.

Nella premessa 2.2 lo Stolto nega che “Dio” esiste, non che non esiste “qualcosa di cui nulla può essere pensato di più grande”.

Successivamente, nella premessa 2.3, assistiamo a una sostituzione di termini, dove il termine “Dio” viene scambiato con la sua definizione “qualcosa di cui non si può pensare nulla di più grande”. Questa mossa concettuale è fondamentale, poiché tutto il ragionamento successivo è finalizzato a stabilire e sostenere questa precisa premessa

Il prosieguo del ragionamento, infatti, come vedremo, è mirato a fornire una giustificazione e un supporto logico alla premessa 2.3.

Tesi 1 — Anche lo stolto deve convincersi che vi è almeno nell’intelletto una cosa della quale nulla può pensarsi più grande

“Ma certo, quel medesimo stolto, quando sente ciò che io dico, e cioè la frase “qualcosa di cui nulla può pensarsi più grande”, capisce quello che ode; e ciò che egli capisce è nel suo intelletto, anche se egli non intende che quella cosa esista. Altro, infatti, è che una cosa sia nell’intelletto, altro intendere che la cosa sia. Infatti, quando il pittore si rappresenta ciò che dovrà dipingere, ha nell’intelletto l’opera sua, ma non intende ancora che esista quell’opera che egli non ha ancor fatto. Quando invece l’ha già dipinta, non solo l’ha nell’intelletto, ma intende che l’opera fatta esiste. Anche lo stolto, dunque, deve convincersi che vi è almeno nell’intelletto una cosa della quale nulla può pensarsi più grande, poiché egli capisce questa frase quando la ode, e tutto ciò che si capisce è nell’intelletto.”

Diagramma 2

Diagramma 2 — Lo stolto che pure nega l’esistenza di Dio, ha nella sua mente l’idea di Dio, visto che nega l’esistenza; dunque, deve ammettere che Dio esiste almeno nel suo intelletto. Naturalmente, questa ammissione non implica che egli debba credere, anche, alla sua esistenza reale: un’opera d’arte esiste prima nella mente dell’artista (come ente intellettuale) e solo dopo che l’ha realizzata, esiste anche nella realtà.

Commento — Quello che potremmo battezzare come “il paradosso del negatore dell’esistenza di Dio” è un argomento intrigante: anche colui che rifiuta categoricamente l’esistenza divina deve, per forza di logica, possedere l’idea di Dio nella propria mente, poiché sta negando la sua esistenza. Tale argomentazione si basa sulla premessa che, per negare qualcosa, occorre avere consapevolezza e comprensione dell’oggetto negato.

In questo contesto, lo “stolto” che nega l’esistenza di Dio si trova in una situazione contraddittoria. La sua stessa negazione implica la presenza dell’idea di Dio nella sua mente. Questa riflessione suggerisce che, anche se egli rifiuta la “esistenza reale” di Dio, non può sfuggire all’accettazione della “esistenza concettuale” di Dio all’interno del suo intelletto.

Il ragionamento proposto da Anselmo sembrerebbe, però, condurre a una strana conclusione: la comprensione di una definizione comporta la presenza dell’ente descritto da quella definizione nell’intelletto del soggetto, indipendentemente dalla natura reale o ideale di tale ente. Questo principio se si applica a al concetto di “Dio” , dovrebbe potersi applicare a qualsiasi ente concettuale di cui si comprenda la definizione, estendendosi, così, anche a concetti di esseri fantastici come “Superman”.

In altre parole, se capisco la descrizione dei superpoteri di Superman, allora ho nel mio intelletto quell’ente, “Superman”. Ergo, Superman esiste come ‘ente mentale’ (?) nel mio intelletto, anche se non come ‘ente reale’ che io, domani, potrei incontrare e salutare per strada, nella realtà.

Proseguiamo.

TESI 2 — Ciò di cui non si può pensare il maggiore non può esistere solo nell’Intelletto

Ma, certamente, ciò di cui non si può pensare il maggiore non può esistere solo nell’intelletto. Infatti, se esistesse solo nell’intelletto, si potrebbe pensare che esistesse anche nella realtà, e questo sarebbe più grande. Se dunque ciò di cui non si può pensare il maggiore esiste solo nell’intelletto, ciò di cui non si può pensare il maggiore è ciò di cui si può pensare il maggiore. Il che è contraddittorio. Esiste dunque senza dubbio qualche cosa di cui non si può pensare il maggiore e nell’intelletto e nella realtà.”

Diagramma 3

Diagramma 3Il ragionamento di Anselmo è questo: un ente che esiste nell’intelletto e nella realtà è ‘maggiore’ di un ente che esiste solo nell’intelletto (in quanto possiede una proprietà in più che è l’esistenza); Dio è l’essere di cui nulla può concepirsi di maggiore; quindi, non si può negarne l’esistenza senza contraddirsi (che è ciò che fa lo ‘Stolto’)

Commento — Una volta ammessa l’esistenza anche solo nell’intelletto di un ente di tal fatta, non si può negarne l’esistenza senza cadere in contraddizione. Ciò che è ‘massimo’ non può mancare di nulla, quindi neanche dell’esistenza.

Insomma, diversamente da Superman, l’ente massimo deve esistere nella realtà, perché se non esistesse non sarebbe ‘massimo’. Perché? Perché per essere ‘massimo’ occorre anche esistere: non potrebbe essere ‘massimo’ se ci fosse un essere più grande di lui che possedesse anche quella proprietà.

TESI 3 — E questo ente esiste in modo così vero che non può neppure essere pensato non esistente

“E questo ente esiste in modo così vero che non può neppure essere pensato non esistente. Infatti, si può pensare che esista qualche cosa che non può essere pensato non esistente, e questo è maggiore di ciò che può essere pensato non esistente. Perciò, se ciò di cui non si può pensare il maggiore può essere pensato non esistente, esso non sarà più ciò di cui non si può pensare il maggiore, il che è contraddittorio. Dunque, ciò di cui non si può pensare il maggiore esiste in modo così vero, che non può neppure essere pensato non esistente.”

Diagramma 4Si tratta di un tipico argomento per assurdo. Lo schema è sempre quello del Modus Tollens.

Commento — L’esistenza è una proprietà che un ente può avere o non avere. Ora, tra gli enti che ce l’hanno, dobbiamo distinguere quelli che esistono, ma che potrebbero non esistere (esseri contingenti) e quelli che esistono necessariamente, cioè che non possono non esistere (esseri necessari). Essendo una qualità maggiore l’esistenza ‘necessaria’, rispetto all’esistenza ‘contingente’, allora l’ente massimo deve possederla, perché altrimenti non lo sarebbe.

4 E questo sei tu, o Signore Dio nostro.

Commento — Questa affermazione/conclusione è un di più che non consegue dalla dimostrazione. È una professione di fede che questo ente massimo sia il Dio dei Cristiani. A meno che non fosse presupposto sin dall’inizio (come è giusto pensare) che il Dio di cui si stava parlando era proprio quello e non una delle tante divinità delle tante religioni esistenti.

Il coniglio nel cilindro

Cosa ci fa vedere l’analisi puntuale del ragionamento di Anselmo?

1.

Anselmo è un prestigiatore, fa vedere e subito nasconde, spostando l’attenzione di chi legge. Leggiamo il primo passaggio:

Adunque, o Signore, che dài la comprensione alla fede, concedimi di capire, per quanto sai che mi giovi, che tu esisti, come crediamo, e sei quello che crediamo.

Anselmo parla di due cose distinte in cui crediamo: l’esistenza di Dio (“che tu esisti, come crediamo”) e la sua natura (“ e sei quello che crediamo”).

Si tratta di ‘due’ credenze non di una. Ma nel seguito del ragionamento le due credenze diventano ‘una’:

Ora crediamo che tu sia qualche cosa di cui nulla può pensarsi più grande

Perché questo passaggio è importante? Perché, mentre, se sappiamo che una cosa esiste, ha senso chiedersi quale sia la sua natura, non vale il contrario: non ha senso chiedersi quale sia la ‘natura’ di una cosa che non sappiamo ancora se esiste.

La definizione di Dio come “l’essere di cui nulla può dirsi di più grande” e la proposizione “Dio esiste” sono due (presunte) ‘verità’ indipendenti: possiamo ammettere la seconda senza, necessariamente, dover ammettere la prima; mentre, ammettere la seconda potrebbe portarci (se diamo per buona la dimostrazione di Anselmo) necessariamente alla prima.

La proposizione “Se Dio è l’essere di cui nulla si può pensare di più grande, allora Dio esiste” non è una proposizione analitica, al pari di “Se X è un triangolo ha tre angoli”. Infatti, questa proposizione equivale logicamente a questa: “Se X ha tre angoli è necessariamente un triangolo”. Ma, nel caso di Dio, se anche un Dio esistesse, non necessariamente dovrebbe esistere come “ciò di cui nulla si può pensare il maggiore”. È possibile, perché non contraddittorio, pensare ad un Dio esistente e manchevole di qualcosa.

Insomma, ciò che lo stolto nega non è la natura di Dio, ma lo stesso Dio (la sua esistenza, quale che sia la sua particolare natura).

Anselmo, in modo surrettizio, sostituisce ‘Dio’ con la sua ‘definizione’ e fa negare allo stolto il Dio della definizione (vedi diagramma 2), e da qui può procedere con la sua confutazione. Senza la ‘sostituzione’ tutta la confutazione viene meno e la prova si ingolfa!

2.

Anselmo gioca con le parole. È un abile prestidigitatore logico e linguistico. Nel diagramma 3 abbiamo ricostruito l’argomento che dovrebbe portare lo stolto ad ammettere che il concetto di Dio deve esistere almeno nell’intelletto, in quanto ne comprende la definizione. Ora, cosa vuol dire che un concetto ‘esiste’ nella mente di chi comprende una sua descrizione?

Anselmo nel passaggio di ragionamento sopra analizzato fa una ‘magia’: nelle due premesse (indicate con 5.2 e 5.3), passa dal “capisce ciò che ode” (dove il ‘ciò’ sta per la frase che viene intesa ) al “ciò che egli capisce è nel suo intelletto”, (dove il ‘ciò’ sta ad indicare l’ente descritto/definito dalla frase), che si traducono, magicamente, nella conclusione in una ‘cosa’: “c’è nel suo intelletto una cosa della quale …”. Anselmo con un colpo da illusionista ha trasformato il ‘significato’ di una frase in un ‘ente”, una ‘cosa’, anche se solo ‘mentale’ È una magia che fa da fondamento a tutto ciò che segue, e senza la quale tutta la mirabile costruzione logica della prova crolla miseramente.

Anselmo riconosce, correttamente in questo caso, che questa ammissione non costringe lo ‘stolto’ a credere all’esistenza ‘reale’ di questa ‘cosa’. L’analogia con un’opera d’arte chiarisce il punto. Un’opera d’arte esiste prima nella mente dell’artista come entità intellettuale, e solo in seguito, una volta realizzata, acquista una forma tangibile nella realtà.

In modo simile, il concetto di Dio potrebbe esistere come un ente intellettuale nella mente di chi lo nega, ma questa ‘presenza concettuale’ non impone automaticamente la credenza nell’esistenza reale di Dio.

Questo esempio offre una chiara distinzione tra ‘esistenza concettuale’ e ‘esistenza reale’, suggerendo che l’idea di Dio potrebbe essere presente nella mente, senza che ciò implichi, necessariamente, la credenza nella sua esistenza effettiva.

L’analogia è calzante? Ni. Quando Michelangelo progettò il suo Mosè aveva già nella sua mente l’idea completa di ciò che avrebbe realizzato? Il ‘Mosè’ michelangiolesco è esistito prima nella sua mente come ‘ente mentale’ e poi è diventato ‘reale’ dopo la sua realizzazione? O non, più realisticamente, Michelangelo aveva nella sua mente un’idea approssimativa di ciò che voleva fare e che ha preso poi forma, a mano a mano, nelle diverse fasi della creazione artistica (ideazione, progettazione, realizzazione)?

3.

Anselmo è un creativo (logico). Tutto il ragionamento si fonda su un’assunzione tacita che Anselmo dà per condivisa (e, probabilmente, lo era per l’uditorio a cui si rivolgeva); questa assunzione riguarda la definizione essenziale (non è una definizione stipulativa, né nominale) di Dio, descritto con quel “qualcosa di cui nulla può pensarsi di più grande”. Anselmo dice che la definizione di questo ente logico è qualcosa che egli condivide con la comunità dei credenti, ma da dove la tira fuori? Di Dio si può dire che è l’ente ‘massimo’, in quanto infinito, sommo bene, somma sapienza ecc. ma la definizione che Anselmo ne dà è tutta sua, si tratta di una sua ‘creazione’ geniale: ‘l’essere di cui nulla si può concepire di più grande’.

Ora, cosa c’è dentro quel “più grande”? Quel più grande viene inteso in senso qualitativo [esistenza necessaria è maggiore dell’esistenza contingente], ma anche in senso quantitativo (nel senso in cui, una qualità in più rende “più grande”, accresce qualcosa rispetto a qualcos’altro che non la possiede — un ente che esiste solo nell’intelletto è meno grande di uno che esiste nell’intelletto e nella realtà). È l’ente logico così definito, che abbiamo sopra chiamato, per comodità, un ‘ente massimo’.

E cosa deve possedere un ‘ente massimo’ perché sia tale? Come emerge chiaramente dal ragionamento successivo, un ente per essere ‘massimo’ deve avere tutte le qualità (positive), nessuna esclusa, tra queste l’“esistenza necessaria”, altrimenti non è ‘massimo’. [Che l’esistere sia una “proprietà” come l’essere buono o di colore viòla) viene assunta da Anselmo, senza alcuna giustificazione, e, come sappiamo, verrà contestata da S. Tommaso e da Kant].

A questo punto, possiamo chiederci: qual è l’unico essere a cui può attagliarsi una definizione di questo tipo? ‘Dio’, ovviamente. Dio è l’unico essere che siamo riusciti a immaginare e che possa essere definito ‘massimo’ in questo senso (almeno per i Cristiani). Ma se è ‘massimo’ (e per essere ‘massimo bisogna possedere tutte le ‘perfezioni’ nessuna esclusa, e l’esistenza necessaria è una perfezione maggiore dell’esistenza contingente), tra le sue qualità vi è anche l’esistenza necessaria (che abbiamo surrettiziamente assunto tra le qualità dell’essere ‘massimo’). Dio, dunque, non si può pensare non esistente e chi lo nega si contraddice. QED

In conclusione, Anselmo pretende di dimostrare che dentro al ‘massimo’ ci sta l’esistenza necessaria, quando in realtà la presuppone. Solo presupponendola può accusare lo stolto di contraddirsi. Il coniglio nel cilindro!

Bellissimo. Geniale, Arguto. Ma funziona? Le opinioni tra i filosofi sono diverse e contrastanti, anche se molti ritengono che ci sia qualcosa di sbagliato.

Gaunilone di Marmoutier, uno dei primi critici della prova di Anselmo, pensava di no [sull’analisi puntuale delle critiche di Gaunilone alla prova ontologica torneremo in un altro post]. È il famoso argomento dell’isola perfetta.

La riprendo perché mi sembra tanto geniale quanto sottovalutata.

L’argomento di Gaunilone è un tipico ‘argomento del ridicolo’. L’argomento più noto e che ha fatto più infuriare Anselmo, come si evince dalla sua piccata risposta. Gaunilone, infatti, ha voluto ridicolizzare la prova, sostenendo che se la prendessimo sul serio ne deriverebbero le conseguenze più assurde. Insomma, Gaunilone ha creato un argomento dalla stessa forma logica, che porta, però, a evidenti assurdità. Un chiaro indizio di argomento bacato.

Leggiamo quanto scrive Gaunilone:

Per esempio: dicono alcuni che vi è in qualche parte dell’oceano un’isola che chiamano isola perduta, per la difficoltà, o piuttosto per l’impossibilità di trovare ciò che non esiste, e raccontano che è piena di una inestimabile abbondanza di ricchezze e di delizie, molto più di quel che si dice delle isole fortunate, e, pur non avendo nessun possessore o abitatore, supera tutte le altre terre abitate per abbondanza di beni. Se uno mi dice questo, io capisco facilmente le sue parole, nelle quali non c’è nessuna difficoltà. Ma se poi come conseguenza aggiunga: non puoi dubitare che quell’isola migliore di tutte le altre terre, che sei sicuro di avere in mente, esista veramente in realtà; e, poiché è meglio esistere nella realtà che esistere solo nell’intelletto, è necessario che quest’isola esista, poiché, se non esistesse, qualsiasi altra terra esistente sarebbe migliore di lei, e quell’isola già pensata da te come migliore non sarebbe più tale. Se, dico, costui con queste parole volesse dimostrarmi che non si può dubitare dell’esistenza di quest’isola, o crederei che colui che mi parla scherzi, o non so se dovrei reputare più sciocco me che gli credo o lui che crede di avermi dimostrato l’esistenza di quell’isola, a meno che egli non mi faccia vedere che l’eccellenza di quell’isola è una cosa reale e non è come le cose false ed incerte che possono essere nel mio intelletto.

L’argomento come potremo notare da questa mappa dell’argomento (diagramma 5) ha la stessa forma logica di quello di Anselmo. Se l’argomento di Anselmo fosse valido, dovrebbe essere valido anche questo:

Diagramma 5

Questa critica di Gaunilone venne respinta dallo stesso Anselmo che considerava l’Isola ‘migliore’ di Gaunilone, indegna della definizione di “qualcosa di cui non si può pensare nulla di maggiore”. Questa definizione secondo Anselmo è appropriata solo per ‘Dio’.

Più in generale, è stata molto spesso considerata inadeguata, perché è difficile immaginare cosa possa essere un’isola ‘perfetta’ (come se, invece, fosse chiaro e distinto cosa dovremmo intendere per ‘Essere perfetto o massimo’!)

Secondo me la critica di Gaunilone è stata sottovalutata. Il punto essenziale è questo. Gaunilone usa ‘l’ente logico” creato da Anselmo in senso relativo e non in senso assoluto. Spieghiamolo. L’ ‘ente logico’ creato da Anselmo, “l’essere di cui nulla può pensarsi di più grande” [l’X di cui nulla può pensarsi di più grande], si può applicare all’insieme di tutti gli enti (reali o possibili), ma anche all’interno di un insieme definito di enti. Pensiamo ad un insieme definito come quello delle Aquile. Io posso pensare a un ente che, all’interno di quell’insieme, sia “l’aquila di cui non si può pensare nulla di più grande” (qualsiasi cosa questo possa significare): un’aquila ‘massima’, una super-aquila, dotata di tutte le qualità migliori delle aquile e dell’esistenza, perché altrimenti non sarebbe “l’aquila di cui nulla si può pensare di più grande”, e questo perchè nella definizione di ‘più grande’ ho compreso l’esistenza. E lo stesso può valere per un super-stercorario o per la super-isola di Gaunilone. Insomma, se l’esistenza è una proprietà essenziale dell’essere ‘massimo’, questo varrà sempre per ogni cosa ‘massima’, anche se all’interno di un insieme dato, e non serve dire, come farà Anselmo, che di veramente ‘massimo’ ce n’è solo uno, perché un ente logico è un ente che è definito solo dalle sue proprietà, una pura ‘forma’, e si applica a tutto ciò che può possedere quelle proprietà. Insomma, non c’è nessuna contraddizione e nessuna forzatura.

Conclusione

Lungi da Me l’idea di dire cose nuove su un argomento su cui esiste una letteratura vastissima, il mio intento è stato quello dimettere alla prova la mappatura degli argomenti nell’analisi e nella valutazione di un argomento classico della filosofia.

Quando analizziamo una argomentazione ciò che vogliamo analizzare non è se la tesi è vera, ma se le ragioni portate a sostegno della tesi portino a quella conclusione.

Anselmo sostiene due cose: che “Dio esiste necessariamente” e che “chi lo nega si contraddice”.

Quindi, non ci chiediamo se la prova ontologica è una buona prova dell’esistenza di Dio, ma se l’argomento di Anselmo raggiunge il suo obiettivo, cioè provare la tesi della contraddittorietà della posizione di chi nega l’esistenza di Dio.

É quello che fa Gaunilone. Arrivando alla conclusione che Anselmo non è riuscito a provare né l’una né l’altra cosa.

Detto in soldoni. Per Anselmo chi comprende la parola “Dio” non può negarne l’esistenza senza contraddirsi. Portata all’estremo, questa tesi condurrebbe a credere all’esistenza di tutto ciò di cui riusciamo a comprendere una definizione.

Anselmo sfugge a questa potenziale paradossale conseguenza, attraverso la definizione di Dio come dell’essere di cui nulla può concepirsi di maggiore. Tuttavia, per cadere in contraddizione lo stolto dovrebbe, prima, accettare questa definizione di Dio, e, poi, accettare che l’esistenza sia una qualità che si aggiunge alle altre per definire il grado di perfezione di qualcosa, perché solo allora la prova di Anselmo può funzionare. Ma lo Stolto, per quanto ‘stolto’, questo non lo farebbe mai.

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Pietro Alotto
Mappe Argomentative

Scrivo di scuola, di filosofia, argomentazione, critical thinking e argument mapping (su cui ho scritto l'unico libro pubblicato in Italia).