Giornalismo 2.0 tra crowdfunding e ricerca di follower

Giulia Banfi
Mapping Journalism
Published in
10 min readJul 18, 2023

Una rivoluzione “dal basso” che si inserisce nell’ecosistema in piena evoluzione del giornalismo: il crowdfunding come modello di finanziamento e le motivazioni che spingono i donatori ad appoggiare i progetti.

di Margherita Alvisi

Cos’è il crowdfunding e come funziona

La definizione di crowdfunding riporta subito al concreto aspetto economico (finanziamento collettivo) spiegato genericamente come un processo collaborativo tra persone che utilizzano il loro denaro per uno scopo comune. È una tipologia di micro-finanziamento di progetti personali o professionali di singoli (o piccole imprese) “dal basso”, che ricerca sostenitori più che grandi finanziatori e sottintende quindi una logica di partecipazione e di inclusione. Questa tipologia prevede una condivisione degli obiettivi e una collaborazione attiva al progetto, in cui entra in gioco una componente emotiva.

Il successo (ma anche gli insuccessi) ottenuti in termini di progetti pubblicati e somme raccolte spiegano la capacità (incapacità) di costruire un ecosistema virtuale entro il quale instaurare “rapporti fiduciari”. Solo attraverso la concessione di fiducia e i conseguenti comportamenti affidabili, è possibile superare gli ostacoli legati al perseguimento di obiettivi comuni e allo stesso tempo coordinare le azioni di una molteplicità di soggetti verso esiti socialmente ottimali. Si creano così nuovi legami e diventano fondamentali i contatti che le persone hanno e che possono sfruttare attingendo al proprio capitale finanziario ed umano.

In termini sociologici il crowdfunding contribuisce a generare, consolidare e rafforzare i livelli di capitale sociale identificati come l’insieme dei valori, degli stili di vita, delle norme di comportamento che orientano le scelte individuali in direzioni coerenti con la promozione del bene comune della società o del gruppo sociale di riferimento.

I 4 modelli fondamentali di crowdfunding sono basati sulla donazione, sulla ricompensa, sul prestito e sull’equità.

È possibile applicare il crowdfunding al giornalismo?

Il crowdfunding sconvolge alcune strutture tradizionali del giornalismo. Nel modello tradizionale sono i giornalisti e gli editori che agiscono come gatekeepers mediali stabilendo l’agenda setting. Nel giornalismo finanziato dal crowdfunding invece il potere è condiviso tra giornalisti e finanziatori. I lettori “votano” con le loro donazioni scegliendo se sostenere una singola storia, un beat o una nuova piattaforma e costruiscono con le loro preferenze la selezione di quella che diventerà notizia: la manifestazione dell’intelligenza collettiva nel crowdfunding journalism.

D’altra parte, i giornalisti non devono più fare appello in prima battuta agli editori per sperare nella pubblicazione di un loro pezzo ma si rivolgono direttamente ai potenziali lettori. Diventa necessario stabilire una connessione. Il giornalista non deve “solo” occuparsi della raccolta delle informazioni e della scrittura della storia ma anche del marketing. È necessario preparare il materiale per la raccolta e testarlo; ideare una campagna pubblicitaria di impatto; seguire il progetto curando le interazioni online con i funder (donatori) e le relazioni di scambio che si instaurano. Entra in gioco l’abilità di costruirsi un pubblico. Il giornalista deve essere in grado di fare “personal branding” creandosi un’immagine riconoscibile in rete e di successo sui social media.

Il campo giornalistico in questo caso potrebbe puntare ad un’autonomia dal potere politico e dalle logiche economiche (pubblicità e paywall) sovvertendo le relazioni di influenza più comuni e manifestando un’eteronomia unicamente dal pubblico. Le pressioni esterne da cui sono dipendenti i giornalisti sono legate agli interessi di chi deve condividere il loro progetto e i temi di rilevanza nell’arena comunicativa sono necessariamente condivisi.

La fattibilità e la sostenibilità del crowdfunding

Il crowdfunding nel giornalismo è un crowdfunding ex ante. I fondi vengono raccolti prima che inizi il processo di narrazione quindi il finanziamento risulta spesso essenziale per la realizzazione della storia stessa.

Da una prima analisi svolta in termini prettamente economici possiamo facilmente concludere che il crowdfunding non sostituisce i modelli tradizionali di business (ed i redditi “sicuri” del giornalismo tradizionale) e può quindi rappresentare solo un sostegno finanziario parziale e saltuario (tra gli altri) per il giornalista freelance. Percepire un flusso di entrate continue è inoltre più impegnativo per i giornalisti che si occupano di coperture di basso profilo piuttosto che per quelli che documentano viaggi all’estero o indagini entusiasmanti che possono avere una risposta mediatica d’impatto maggiore, o per quelli che hanno già costruito una loro “immagine” che li definisce al pubblico come un marchio distintivo. Ma dobbiamo andare oltre.

Il potenziale emerso dall’analisi del “model of value creation” (Aitamurto, 2015) è invece alla base di una visione sempre più ampia e complementare di giornalismo e marketing. Il crowdfunding non riguarda solo la raccolta di fondi ma crea “valore” anche attraverso i feedback che produce testando la potenziale trazione di un argomento o il fascino di un autore. Agisce anche da meccanismo di branding di un giornalista, di un beat o di una pubblicazione e alla costruzione di un pubblico di riferimento.

Le dimensioni di valore sono intese come tessere che si accumulano, si sovrappongono parzialmente e non si escludono a vicenda, ma sono reciprocamente vantaggiose. Il processo è ciclico: maggiore è l’attenzione che una presentazione ottiene, più è probabile che raccolga fondi, sviluppi un seguito più forte e raggiunga un pubblico più ampio: questo aumenta anche le possibilità per il giornalista di trovare conoscenze e fonti pertinenti per il suo progetto.

La potenza, il perseguimento dell’obiettivo e la sostenibilità del crowdfunding richiedono prima di tutto “successo”. Devono catturare l’attenzione e raggiungere grandi folle di potenziali donatori. Nel processo giornalistico tradizionale il giornalista si concentra sulla raccolta delle informazioni e sulla scrittura dei pezzi. Nell’era del crowdfunding il giornalista si occupa anche del marketing.

Il successo del value creation process dipende dal tempo e dalle risorse che investe nelle fasi di lavoro: preparare il materiale della campagna, testare e pubblicizzare la campagna, seguire il progetto in termini di interazioni con il pubblico e ricambiare le risorse e gli input appresi nella comunità. Tenendo ovviamente conto che contestualmente l’investimento crea dei costi.

La formula non è “matematica” quindi non sempre vincente per via dei molteplici fattori che influiscono sul successo della presentazione come: l’abilità nella strategia di marketing, la quantità e la qualità delle proposte concorrenti e gli improvvisi cambiamenti nel flusso delle notizie che incidono sull’urgenza dell’argomento trattato. Di base però il fattore determinante rimane la “dimensione” del pubblico che si è in grado di raggiungere e convincere a contribuire al progetto.

Crowdfunding e partecipazione

La natura collaborativa del crowdfunding aiuta i giornalisti a costruirsi un pubblico. Potrebbe essere inteso come un modello che si ispira alla sfera pubblica habermasiana per l’inclusività che questo sottintende. Non per la supposta omogeneità del pubblico ma per la necessaria condivisione dei temi e l’apertura verso l’esterno senza le quali l’argomentazione non potrebbe prendere vita. Nel giornalismo partecipativo si crea uno spazio condiviso di comunicazione.

In una campagna di crowdfunding online i giornalisti propongono storie direttamente al pubblico e cercano una specifica somma di denaro per coprire i costi di cronaca. I lettori, dopo aver valutato i contenuti proposti, si impegnano a donare a supporto del progetto scelto che, una volta che è stato completamente finanziato, può essere completato e condiviso in rete per l’accesso di chiunque. Dal punto di vista teorico, essendo i prodotti del giornalismo finanziato dal crowdfunding condivisi non solo tra i funder, c’è un ovvio incentivo al freeride: una pratica che consiste nel consumare il prodotto che risulta dai contributi altrui, come esposto dalle teorie sull’azione collettiva (Olson, 1965) che suggeriscono come, senza ricompense esplicite, le persone approfitterebbero dei contributi degli altri (consumerebbero cioè il bene collettivo senza contribuirvi).

Ad oggi però possiamo dire che questo fenomeno non è riuscito a soffocare il crowdfunding model e molte crowdfunding campaigns prosperano comunque grazie a una serie di motivazioni che stanno alla base dei comportamenti dei funders ed agiscono come spinta alla partecipazione. Vengono identificate in altruismo, comprensione (nuove conoscenze o acquisizione di nuove competenze), credenza nella libertà dei contenuti, autostima, divertimento, influenza sociale, immagine di sé e sostegno alla propria comunità tradotto in un forte senso di appartenenza (Aitamurto, 2011).

Appare inoltre rilevante la figura della personalità che propone il progetto (Geber, Hui & Kuo, 2012) per il desiderio di aiutare i creatori con i quali si hanno legami personali o estesi, quindi la preferenza e la maggior fiducia nel supportare progetti promossi all’interno delle singole reti personali (friends & family) incrementando il proprio capitale sociale.

L’analisi sulle dinamiche che spingono il pubblico ad aderire ad un progetto di crowdfunding (Jean & Shin, 2015) supportata anche da un sondaggio somministrato ai lettori di Spot.Us (pionieristico sito web di giornalismo finanziato dal crowdfunding lanciato nel 2008) fa emergere che le motivazioni più forti dichiarate dai funders risultano essere la fede nella libertà dei contenuti, l’altruismo ed il senso di appartenenza alla propria comunità. Anche se il divertimento ed il sostegno a familiari ed amici sono comunque determinanti e fonti di alti livelli di contributi.

Queste suggeriscono però, ritornando alla precedente analisi dei business model, che il crowdfunding può essere una buona fonte di finanziamento una tantum ma non è probabile che sia un modello sostenibile per finanziare una produzione regolare di notizie.

… Oppure no?

Il caso di Valigia Blu

Valigia Blu è un progetto indipendente senza scopo di lucro sostenuto economicamente dal 2015 da campagne di crowdfunding.

È uno spazio collettivo senza pubblicità, senza paywall e senza editori che si basa sul principio di corretta informazione dando voce ai cittadini. Vuole soddisfare il bisogno di capire a fondo ciò che accade allontanandosi dalle dinamiche delle linee editoriali dei media generalisti che tendono ad inserirsi a tutti i costi nei flussi di polemica “del giorno” come imposto dai modelli legati al traffico online (o copie vedute) ed ai soldi degli inserzionisti.

Viene privilegiato l’approfondimento, l’analisi ed il commento strutturato degli argomenti specifici cercando di dare più risalto e centralità alla voce degli esperti, alla conversazione consapevole ed al formato intervista. L’attuale rete di persone che collabora con il progetto è composta da circa 100 figure provenienti da diverse parti del mondo permettendo un arricchimento dei temi da trattare.

Valigia Blu offre la possibilità di una conversazione informata e costruttiva dando vita ad una comunità estesa ed attiva con uno spazio di confronto rappresentato dal sito internet, dai profili social e dal gruppo Facebook dedicato alla community. Spazi digitali che necessitano di moderazione e di mantenere un rapporto diretto con i follower. Viene condivisa inoltre una newsletter settimanale dove vengono raccolti gli articoli e una selezione ragionata di contenuti dal web.

Con la campagna crowdfunding per l’edizione 2023 sono stati raccolti € 74.525 (dato in costante aggiornamento sul sito internet) su un obiettivo di € 70.000, da 2.066 donazioni, che saranno destinati interamente a sostegno del progetto pagando i collaboratori e coprendo i costi di gestione.

La campagna si svolge online raccogliendo donazioni con PayPal, carta di credito o bonifico bancario. Ogni sostenitore può scegliere la sua ricompensa tra libri, ebook, tazze e tazzine con il logo Valigia Blu. Potrà fare inoltre richiesta di iscrizione al gruppo Facebook, da cui è nato il progetto, e che rimane lo spazio dove autori e “lettori” si incontrano, si confrontano e discutono.

Il modello di Valigia Blu, basato su un lavoro continuo di cura della community, che rifiuta la pubblicità, che offre contenuti aperti a tutti (non ci sono paywall o abbonamenti), che si basa solo ed esclusivamente sul sostegno dei lettori, si sta consolidando anno dopo anno. È chiaramente un modello non di sistema, ma una piccola testimonianza (culturale) di cosa potrebbe essere l’informazione intesa come servizio pubblico e non come business o forma di potere. Non è un modello per il giornalismo di massa ma è pieno di buone pratiche per il giornalismo e contiene quegli elementi che spiegano bene come le comunità online producono valore (culturale e non).

Il crowdfunding sarà sostenibile anche in futuro?

Il giornalismo di crowdfunding è un giornalismo partecipativo che vede il confronto come opportunità per un’informazione “migliore” intesa come copertura e visione dei contenuti. Crea comunità di simili tra chi scrive e chi legge che possono far nascere nuove esperienze basate sulla fiducia, sul rispetto e su forme di cittadinanza attiva attraverso una riflessione condivisa. Questo tipo di progetti finanziati “dal basso” offrono anche la possibilità di approfondire le notizie verificandole e curandone la completezza nell’esposizione senza la fretta tipica di chi fa informazione da quotidiano. Il crowdfunding permette, inoltre, di allontanarsi dai meccanismi imposti dagli investitori (pubblicità) che influenzano inevitabilmente i contenuti e creano una forte dipendenza (commerciale non collaborativa) dal contesto esterno.

La qualità dei contenuti risulta quindi il punto di forza di questo tipo di giornalismo. Il modello di sostenibilità del crowdfunding rimane invece la vera sfida. Le motivazioni di adesione, come abbiamo visto, possono essere molteplici e anche oggetto di interessanti analisi sociologiche di comportamento. Ma alla base dell’operazione di raccolta fondi, che diventa una vera e propria operazione di marketing, c’è la capacità di crearsi una personalità online di effetto che possa fare la differenza e conferma come il ruolo dei social media sia determinante per il successo. La relazione tra un giornalista e la sua comunità di lettori diventa sempre di più un nodo centrale della professione e l’evoluzione digitale sta dimostrando come i contenuti prodotti online siano carichi di relazioni sociali (costruendone anche di nuove) e strettamente dipendenti da queste per la loro diffusione.

Riferimenti utili

Aitamurto, T. (2011). The impact of crowdfunding on journalism: case study of Spot.Us, a platform for community-funded reporting. Journalism Practice, 5(4), 429–445.

Aitamurto, T. (2015). The role of crowdfunding as a business model in journalism: a five-layered model of value creation. In B. Chin, L. Bennett, & B. Jones (Eds.), Crowdfunding the future: media industries, ethics end digital society (pp. 189–205). New York, NY: Peter Lang.

Aitamurto, T. (2019). Crowdfunding for journalism. The International Encyclopedia of Journalism Studies.

Boccia Artieri, G., & Valeriani, A. (2013) “Racconto le rivoluzioni. Dal basso.” Il caso di @tigella tra giornalismo, attivismo, social media curation e celebrità online. Mediascapes Journal 1/2013.

Gerber, E. M., Hui, J. S., & Kuo, P. Y. (2012). Crowdfunding: Why people are motivated to post and fund projects on crowdfunding platforms. Proceedings from the International Work-shop on Design, Influence, and Social Technologies: Techniques, Impacts and Ethics.

Jian, L., & Shin, J. (2015). Motivations behind donors’ contributions to crowdfunded journalism. Mass Communication and Society, 18(2), 165–185.

Olson, M. (1965). The logic of collective action: Public goods and the theory of groups. Cambridge, MA: Harvard University Press.

Immagine principale: Freepik

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Giulia Banfi
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Dottoranda @Unife. Studio la società, analizzando i processi comunicativi e la transizione digitale della PA ✏️ Credo in un’innovazione sociale accessibile.