Paywall: fonte di guadagno o vincolo insidioso?

Giulia Banfi
Mapping Journalism
Published in
9 min readJul 13, 2023

Come il web journalism utilizza gli abbonamenti online: cosa sono e quali sono le forme di paywall.

di Alessia Canova

Con la forte accelerazione e lo sviluppo dei nuovi media, che nel corso degli anni si sono trasformati da tradizionali a digitali, vediamo come il giornalismo in tutto questo tempo è riuscito a sfruttare abilmente le opportunità fornite da tale rivoluzione.

Abbiamo assistito e continuiamo a osservare tuttora le conseguenze della digitalizzazione. Alcune realtà solide come agenzie di stampa o testate giornalistiche, si sono viste costrette a dover conformare i loro processi produttivi alle esigenze dell’era digitale. Il mondo del giornalismo, circondato e tentato da questo forte sviluppo, inevitabilmente ha dovuto mutare la sua linea tradizionale per affrontare anch’esso il salto tecnologico che gli ha consentito di stare al passo con le nuove tendenze.

Ma in che modo tutto ciò è avvenuto? Come è riuscito ad accontentare un pubblico sempre più esigente? Scopriamolo insieme.

La nascita del giornalismo online

Dalla sua nascita il giornalismo online ha cercato di guadagnare sempre più spazio rispetto al giornalismo cartaceo. Tutto questo ha comportato una serie di ripercussioni inevitabili come la perdita di una grossa somma di denaro da parte delle aziende coinvolte con una conseguente riduzione dell’organico.

La rapidità con cui le notizie ci raggiungono è formidabile, fanno il giro del mondo in pochissimo tempo. In questo modo i lettori non vengono solo a conoscenza di ciò che accade intorno a loro o nel territorio nazionale, ma vengono raggiunti da notizie che sono pressoché ovunque.

Grandi guru del giornalismo come La Stampa, Il Corriere della Sera ma anche testate internazionali e di forte spessore e riconoscibilità come New York Times e Washington Post hanno colto fin da subito le novità rendendo i contenuti visibili anche nel loro sito web, portando a quella che è stata definita come una “liberalizzazione delle notizie (Samuele Fraternali, 2021).

Tra le strategie adottate dai giornali per le pubblicazioni online c’è il paywall, un sistema sempre più presente sui principali siti di informazione. Vediamo nel dettaglio in cosa consiste.

Freepik

Cos’è il paywall e come funziona

Con il termine paywall (traducibile in “barriera di pedaggio”) si intende un vero e proprio ostacolo digitale che impedisce la fruizione libera dei contenuti in ambito giornalistico.

Ma in cosa consiste fondamentalmente tale barriera? Il vincolo maggiore sta nel fatto che per continuare la lettura di un articolo di nostro interesse presente in qualche rivista online, ci vediamo costretti a dover registrare e a sottoscrivere con questa testata un abbonamento (solitamente mensile, annuale o addirittura a vita) proprio perché bloccati da questi paywalls. Fondamentale è prestare la massima attenzione perché con questa operazione si è costretti a dover fornire anche i propri dati personali.

A chi non è capitato, infatti, di imbattersi in questo fastidioso freno. Un ostacolo che stravolge la disponibilità di ormai quasi tutte le riviste di ogni genere, che siano accademiche, scientifiche o di attualità, di presentare e di pubblicare i propri materiali interamente gratuiti.

Implementando il paywall, queste riviste hanno costretto molti utenti a dover ricorrere ad abbonamenti che, se da una parte hanno ristretto il target e le visualizzazioni, dall’altra hanno assicurato un profitto maggiore. Si tratta di un fenomeno che ha portato l’inevitabile indignazione da parte del pubblico in rete, che sostiene la poca coerenza da parte di queste testate, rivendicando la possibilità di reperire informazioni gratuitamente anche tramite i social network come Facebook o Twitter.

Riflettendoci bene, si intuisce come anche sui social network nulla è davvero gratis: i nostri dati personali, infatti, sono pronti all’uso e possono diventare facilmente una merce di scambio redditizia.

È facile riconoscere i paywall, quasi sempre i contenuti delle riviste online ci appaiono sfocati o incompleti, con al centro un grosso avviso che recita “per continuare la lettura, devi abbonarti”.

Bisogna tenere conto però che la sottoscrizione offre delle opportunità e dei servizi in più per gli acquirenti, come ad esempio degli approfondimenti e arricchimenti delle notizie non disponibili sul supporto cartaceo. Gli editori, infatti, per ergersi dall’abbondanza di contenuti che ci sta invadendo in questi ultimi anni puntano sempre più sulla qualità e l’esclusività. Per questo i veri amatori e appassionati dell’informazione giornalistica instaurano un vero e proprio rapporto digitale con uno o addirittura più quotidiani, non lasciandosi bloccare dalla barriera dell’abbonamento.

I tipi di paywall

Anche all’interno dei paywall è necessario porre una distinzione. Possono essere classificati in:

  • Hard: è necessario un abbonamento per fruire di tutti i contenuti presenti nelle riviste
  • Freemium: alcuni contenuti sono gratuiti ma altri a pagamento
  • Misurato: paywall a tempo, viene fissato un limite entro il quale il lettore deve usufruire di un determinato numero di contenuti gratuiti mensili, terminato questo periodo di prova è necessario un abbonamento
  • Dinamico: misurato in base al coinvolgimento del lettore e al suo interesse, il paywall scatta quando il livello di interesse manifestato è alto
Fonte: https://whatsnewinpublishing.com/publishers-best-paywall-examples-of-2022/
Fonte: https://www.ilsole24ore.com/ Fonte: https://www.nytimes.com/

Cosa dicono i dati sul paywall

Facciamo ora riferimento a qualche dato che ci consente di avere più chiara la situazione nel mondo riguardo l’utilizzo del paywall.

Il Reuters Institute for the Study of Journalism di Oxford ha condotto uno studio nel 2020 sulla propensione degli utenti verso il pagamento delle notizie online. Sono state intervistate più di 80.000 persone provenienti da 40 paesi diversi tra cui Regno Unito, Stati Uniti, Norvegia, Germania ecc. Come è possibile notare dal grafico sottostante, la percentuale delle persone che pagano per essere informati negli Stati Uniti ammonta al 20%, al 42% in Norvegia e al 27% in Svezia. Risulta invece una pratica meno diffusa ma ugualmente di rilievo in Finlandia, Paesi Bassi e Danimarca .

Fonte:https://www.niemanlab.org/2020/06/in-some-countries-like-the-u-s-people-really-will-pay-for-more-than-one-news-subscription/

Confrontiamo questo grafico con la situazione registrata nel 2019, poco prima dell’avvento dell’epidemia Covid.

Fonte: https://www.niemanlab.org/2019/06/even-people-who-like-paying-for-news-usually-only-pay-for-one-subscription/?relatedstory

Risulta lampante come la fetta di popolazione in questione nel 2020 rispetto al 2019 sia stata più propensa ad aver sottoscritto abbonamenti o ad aver pagato per la lettura delle notizie.

Vediamo infatti che nel 2020 è stato registrato un aumento del 4% negli Stati Uniti, un 8% in Norvegia e un 3% nei Paesi Bassi rispetto all’anno precedente. Continua invece a restare in entrambi i grafici una propensione poco diffusa nel Regno Unito e Germania.

Per far fronte all’epidemia, si è riscontrato come molte persone abbiano avuto la necessità di informarsi da siti giornalistici diversi per verificare la veridicità delle notizie, preferendo e forse ritenendo maggiormente affidabili quelli a pagamento. Riconosciuto come media divulgativo efficiente, il web journalism durante e dopo il periodo pandemico ha goduto di un finanziamento maggiore, in gran parte riversato anche nell’incremento del numero di risorse (inviati e giornalisti) disponibili sul campo. Tutto questo ha portato a un notevole aumento di fiducia e credibilità da parte del pubblico.

Paywall: una questione di business?

Alcuni esempi ci permettono di capire il dietro le quinte del paywall. Paesi come Stati Uniti, Regno Unito, Austria ricavano ugualmente profitto da un fenomeno che solo in apparenza sembrerebbe indebolire le testate. È stato infatti rilevato che i giornali forniscono alle varie società dei media una percentuale dei ricavi ottenuti dalla pubblicazione delle notizie. Tutto questo è reso possibile grazie ai nostri dati personali e al profitto che le aziende esperte nel posizionamento di mercato ne ricavano attraverso essi.

Facciamo riferimento ora ai paesi nordici. Sono stati analizzati per 52 settimane i movimenti dei pubblici di otto differenti siti web di giornali locali: 4 norvegesi e 4 danesi. Si è notato che dopo l’introduzione del paywall le visualizzazioni sono inevitabilmente diminuite rispetto a quando i quotidiani restavano fedeli alla versione gratuita (Kammer e Mona Kristin Solvoll, 2019). Ma nonostante tutto, questo cambiamento non ha intaccato in alcun modo la diffusione delle notizie a pagamento. È un dato di fatto che la Norvegia si aggiudichi il titolo di Paese più abile al mondo nel persuadere i lettori a sottoscrivere un abbonamento online.

Un altro caso emblematico proviene dalla Germania. Il quotidiano nazionale Die Welt, ad esempio, ha lanciato un paywall misurato nel dicembre 2012 per aumentare i ricavi online e monitorare la diffusione della carta stampata (Barbara Brandstetter e Jessica Schmalhofer, 2014). È stato infatti esaminato come il paywall incida profondamente nei contenuti offerti da questo giornale. Anche in Germania quindi i paywalls modificano le notizie sia in qualità che in materiale proposto online. Lo scopo è quello di puntare su buoni contenuti per un pubblico selezionato.

Cookie, cosa sono e cosa hanno a che fare con il paywall

Un altro fenomeno collegato al paywall, sono i tanto discussi cookies. Definiti come “dei piccoli file di testo necessari affinché il server del sito web che li ha installati possa ottenere informazioni sulla specifica attività che l’utente compie su quelle pagine web” (Antonino Polimeni, 2022).

Si pensi infatti a quando online ci capita di essere bloccati improvvisamente da una frase che annuncia “consenti i cookies o modificare le impostazioni”. Il più delle volte per pigrizia, per fretta o perché non consapevoli di cosa si celi dietro, tendiamo ad accettare queste condizioni, noncuranti di cosa ne verrà fatto delle nostre informazioni e dei nostri movimenti. Ma è da notare che anche l’operazione di rifiuto spesso risulta difficile. Vengono adottate una serie di strategie di marketing, tra l’altro poco lecite e impensabili. Troviamo ad esempio il pulsante per rifiutare i cookies nascosto dietro l’avviso o si ha difficoltà a raggiungerlo perché improvvisamente la pagina web non è più scorrevole come prima o addirittura si tratta di un pulsante fasullo che non ci dà la possibilità di cliccarci sopra.

Siamo costantemente spiati?

Lo scopo di tutto ciò è colpire direttamente il lettore, sfruttando le sue ricerche per adattare al meglio i contenuti e indirizzarli esclusivamente a lui. In questo modo infatti è quasi scontato ottenere la visualizzazione di determinate tematiche.

Spesso ci capita di navigare in un noto sito di e-commerce con l’intento di acquistare un determinato prodotto. Nei giorni successivi si assisterà a un bombardamento di pubblicità inerenti a quel prodotto ovunque, mentre si fanno ricerche su Google o addirittura nei social network. Ci vengono presentate delle offerte migliori sul mercato o prodotti di concorrenza con lo scopo di ampliare la scelta d’acquisto.

Questo ci risulterà strano, ci sembrerà quasi di essere spiati ma tutto ciò può essere ricondotto a un fenomeno chiamato bolla di filtraggio di Google (o filter bubble). L’utente in qualche modo viene categorizzato in base alla sua navigazione. Un metodo che il colosso dei motori di ricerca non vuole assolutamente abbandonare per delineare le preferenze dei navigatori e per studiare i movimenti di essi.

Concludendo quindi, i vantaggi del paywall non sono certamente da escludere. Se l’esigenza è quella di restare costantemente aggiornati e di ricevere dei messaggi personalizzati nella propria posta elettronica per godere di contenuti esclusivi, possiamo affermare che fondamentale resta la registrazione e la sottoscrizione di un abbonamento che comporta anche l’accettazione dei cookies. Con la consapevolezza però del conseguente scambio dei dati personali a terzi.

Sempre più numerose testate giornalistiche stanno adottando questa barriera digitale che prevede uno scambio in denaro con notizie vendute come maggiormente verificate e ricercate. È comprensibile se si tiene conto del grosso lavoro che si nasconde dietro a una pubblicazione online, dalla cura dei testi, alla scelta e all’elaborazione delle notizie.

Fondamentale però resta la tutela del lettore e la trasparenza. Strettamente obbligatorio sarebbe rendere noto da parte degli utilizzatori a chi saranno indirizzati i nostri dati e soprattutto rispettare le norme del GDPR (Regolamento generale sulla protezione dei dati), il quale, nei suoi articoli ribadisce anche la possibilità di prestare un consenso separato ai distinti trattamenti e la tutela dei dati personali.

Riferimenti utili

Samuele Fraternali. (2021). Informazione digitale: come funziona e come sta evolvendo il giornalismo online. Osservatori.net. <https://blog.osservatori.net/it_it/informazione-digitale-come-funziona-giornalismo-online>

Pool. (2022). Publishers: Best paywall examples of 2022. Whatsnewinpublishing.com. <https://whatsnewinpublishing.com/publishers-best-paywall-examples-of-2022/>

Olsen, R. K., Kammer, A., & Solvoll, M. K. (2020). Paywalls’ impact on local news websites’ traffic and their civic and business implications. Journalism Studies, 21(2), 197–216, DOI: 10.1080/1461670X.2019.1633946

Brandstetter, B., & Schmalhofer, J. (2014). Paid content: A successful revenue model for publishing houses in Germany?. Journalism Practice, 8(5), 499–507. DOI: 10.1080/17512786.2014.895519

Antonino Polimeni. (2022). Cookie: cosa sono, come funzionano e come proteggerti. Agendadigitale.eu <https://www.agendadigitale.eu/infrastrutture/tutto-quello-che-dobbiamo-sapere-sui-cookie-per-la-privacy-da-utenti-o-gestori/>

Immagine principale: Freepik

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Giulia Banfi
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PhD Student @Unife. Studio la società, analizzando i processi comunicativi e la transizione digitale della PA ✏️ Credo in un’innovazione sociale accessibile.