Compagno?

Marco Castellani
StarDust
Published in
4 min readOct 26, 2015

Sto davanti al mio cappuccino, meditando sui miei problemi. La barista è simpatica e gentile. Non la conosco bene, non passo di qui che raramente. Come accade di solito, arrivano persone che invece la conoscono e con le quali vedo segni di un rapporto di amicizia, o almeno frequentazione, più profondo ed articolato.

Con uno in particolare, lei inizia a raccontare.

“Ma come fai a ricordarti tutto? Quando ordinano le cose?” le chiede. “Beh sapessi, di ognuno so cosa desidera, mi ricordo perfino i gusti, perfino le allergie… pensa che lo sogno perfino al notte, mi accorgo che dico al mio compagno ‘bisogna fare questo, fare quello’…”

Compagno. Registro la cosa. Compagno è per indicare una persona con la quale si convive (si dorme, si parla, si fa l’amore, si fanno i figli) senza essere intrecciati in un rapporto di matrimonio (religioso o civile che sia).

Penso che anni fa non si sarebbe detto così. Magari sarebbe successo, ma non si sarebbe detto. Si sarebbe detto comunque marito.

Però penso che in un certo senso è una grande opportunità.

Una straordinaria opportunità.

Ragiono (mentre mangio il cornetto, di dimensioni gigantesche: a proposito, non si può chiedere un piccolo cornetto, insieme con il cappuccino? Esiste, almeno come concept?).

Ed è una grande opportunità, ed una sfida. Stiamo uscendo (mi viene da dire finalmente, in un certo senso) da una epoca in cui il matrimonio era la regola, e non era assolutamente messo in discussione. Intendiamoci, di cose legate all’ambito affettivo e sessuale (di questo si parla, appunto) se ne facevano delle più varie e fantasiose, come è sempre stato. Famiglie allargate, non-famiglie, storie complicate, tradimenti e ritorni, annullamenti, ripudi, fughe, eccetera. Però non c’era questa idea di portare avanti, a livello di consapevolezza, altri modelli. Detto in altri termini. Lo scarto personale dal modello non metteva in crisi il modello stesso, non in senso più generale.

Dove voglio arrivare? Al fatto che c’era il rischio di darlo troppo per scontato, il fatto del matrimonio. Di non dover spiegare nulla a nessuno, e quindi (purtroppo) nemmeno a sé stessi.

Ora invece, mi pare che abbiamo davanti una straordinaria opportunità. Noi che siamo sposati, che — nonostante tutte le nostre fragilità — crediamo che sia un modello valido, che abbia un senso. E — nel caso del matrimonio religioso — un senso profondo, una connessione misteriosa al destino della vita, del cosmo. Di tutto.

Una unione tra uomo e donna che è una vocazione, un cammino e un modo di affrontare il reale. Una sfida essa stessa al mutare del tempo, dei gusti, dell’aspetto fisico. Una sfida che fa tremare i polsi, che si può ragionevolmente fare soltanto buttando il cuore oltre l’ostacolo. In fondo, solo se si pensa che non si è soli, nell’universo.

Che Qualcuno ha cura. Qualcuno cura.

Qualcuno guarisce. Qualcuno ti guarisce.

Ti ama come sei, perciò ti accoglie. Perciò ti accogli. Perciò può guarirti. Puoi guarire.

Diceva Luigi Giussani, ricordati sempre che Dio è contento di te e ti perdona.

Questo ha qualcosa a che vedere con il matrimonio. Ha molto a che vedere con il matrimonio, con la sua (vista, cercata, sperata, trovata) bellezza.

Così la sfida è questa, secondo me. E’ che non abbiamo più scuse, non abbiamo più alibi. Grazie al cielo, sono caduti tutti i condizionamenti, le coercizioni (fisiche o morali).

Se vogliamo difendere il matrimonio, dobbiamo smettere di difenderlo ;-)

Dobbiamo proporne la bellezza. Dobbiamo parlare di una cosa sola, dobbiamo infatti parlare solo di bellezza.

Di questa bellezza disarmata che sola può attirare la gente vera.

Come dice Julìan Carron riguardo al suo libro, «La questione che ci si pone è quale sia la strada di una positiva riscoperta di ciò che appartiene alla verità dell’esperienza umana, in vista di una rinnovata fondazione della vita comune nella nostra società plurale».

E’ proprio questa la strada.

Del resto, siamo realisti. Che gli vuoi dire a questa barista? Metterti a fare la predica? Parlare di teologia morale? Ma per amor del cielo! Non è possibile, non è più possibile.

Senza la percezione della bellezza, non si può procedere di un passo.

Allora cari fratelli miei, ci rimane una sola cosa. Finalmente, una sola cosa. Per il matrimonio, e per ogni cosa riguardi il proprio cammino umano, c’è solo una cosa che ci rimane.

Non c’è tanto da andare in piazza, fare steccati, stigmatizzare la cattiveria dei tempi. Si può fare, certo (è uno sport a cui tanti si dedicano con passione). Ma siamo sicuri che serva?

Io no. C’è appunto una sola cosa da fare. Proporre una bellezza. Intanto riscoprirla per sé, ogni momento.

E proporla. Così potremo essere utili agli altri.

Non si può che far questo, testimoniare una bellezza. Niente altro interessa.

Perché il cuore dell’uomo non attende certo un grigliato di regole, anche buone. Questo soltanto attende, una trama di bellezza.

Tutto il resto è noia, direbbe il grande Califano.

E accidenti, come dargli torto, al califfo?

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