Marciapiede

Marco Castellani
StarDust
Published in
2 min readDec 16, 2012

Ci sono cose apparentemente banali che nella propria esperienza capita di veder piano piano scomparire, senza che la cosa sia stata minimamente messa a tema. Così l’esperienza di camminare su di un marciapiede, che pure ha fatto tanto parte della mia vita, è come andata assottigliandosi pian piano dal mio orizzonte quotidiano, senza che me ne rendessi conto, senza che ne fossi consapevole.

Al solito, me ne accorgo quando mi capita di nuovo. Un sabato mattina che andiamo a piedi al mercato. Una domenica che esco a prendere il giornale. Allora la cosa che mi sembrava il massimo dell’ordinario, mi colpisce come una novità. Camminare su un marciapiede è intanto una attività molto più sociale di quanto può essere spostarsi in automobile. Anche più democratica, dopo tutto: camminiamo tutti allo stesso modo, più o meno. Mentre la BMW che ti sorpassa in un rombo mentre tu arranchi in una sgangherata utilitaria, dice al mondo qualcosa di univoco ed inequivocabile, sullo status del sorpassato e del sorpassante.

Ma ecco, è proprio la socialità potenziale inerente al marciapiede che più mi colpisce. Mentre cammini sei esposto, sei in potenza di una serie di contatti e di incontri, di sorprese (piacevoli o no). Vedi e sei visto, non sei nascosto come nell’abitacolo di una macchina, dove guardi e quasi non sei visto. In strada sei anche troppo esposto, per i tuoi gusti postmoderni. In auto forse ti senti protetto, mentre se in realtà sei isolato.

MARCIAPIEDE

Sempre in cammino…

Infine, c’è il fatto non trascurabile di camminare. Ti arriva palpabile l’evidenza che ogni obiettivo — geografico, in questo caso — che vuoi raggiungere implichi strutturalmente un percorso, un tempo. Non arrivi subito dappertutto, devi metterti in cammino. Non hai la (pericolosa) tentazione di spingere sull’acceleratore per questa strana autodistruttiva pulsione, di azzerare l’attesa, di correre verso la prossima cosa. Sei sul marciapiede e devi camminare. Certo puoi correre, ma soltanto per brevi tratti, altrimenti ti stanchi. E ti fermi.

Se mi guardo vivere, mi sorprendo in azione, mi scopro desideroso di ottenere quel che voglio, fosse un oggetto o una condizione di maggior maturità spirituale, senza camminare, come azzerando l’attesa. Come cercando di svicolarmi dalla necessità di un percorso, di un cammino.

“Aspettatevi un cammino, non un miracolo” avvertiva Don Giussani, con paterna attenzione e premura. Non possiamo pretendere un miracolo, dobbiamo lavorare su noi stessi, affezionarci a noi stessi, rimetterci sempre in cammino dopo ogni deviazione.

Specifico: non ci credo al fatto che l’importante è viaggiare, indipendentemente dalla meta. Credo però che ogni meta veramente seria (a parte casi straordinari) implichi un viaggio, che è anche interiore. E ogni fioritura implichi un’attesa.

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