Sono vulnerabile. Però scrivo.

Marco Castellani
StarDust
Published in
3 min readJul 9, 2016

Fa tutta la differenza del mondo.

Posso rimanere nel lamento, oppure posso scrivere.

A volte semplicemente devi scrivere. Non sai perchè, e non importa che tu lo sappia.

A volte mi capita di pensarci, davanti ad una difficoltà, un imprevisto, un contrattempo. Una situazione più faticosa a sostenersi, di quanto previsto.

Però posso sempre scrivere.

E questo è rasserenante, è terapeutico (in realtà mi stupisco di quanto lo sia, far appena ricircolare questo pensiero nella mia mente). E’ il motivo per cui sto scrivendo, adesso. Senza sapere se uno o dieci (di più mi sembra improbabile) verranno a leggere queste parole. Ma quello che conta non è quanti le leggono, almeno in prima istanza.

Quello che soltanto conta è che queste parole ci sono.

Però scrivo. Ma perché scrivo? Lo dice bene un post — in inglese, ma vabbè, capita…

Ecco perché scrivo, esattamente per i motivi che quel post descrive.

E Medium, fatemelo dire, aiuta — aiuta moltissimo, a scrivere.

E’ un ambiente pulito, minimale, amichevole. Vedo adesso le mie parole, le osservo scendere dalle dita alla tastiera, fluire sullo schermo. E non ne sono così spaventato. Non devo andare a cliccare preview sul blog, per poi decidere che “ma siamo matti? io non posso pubblicare queste frasi, non sono abbastanza pulite, lisciate, non sono perfette…”

Un momento. Che succede di veramente grave se la mia reputazione ne viene incrinata? Se la gente dice ah però questo qui, vedi… è debole, è fragile, è confuso…

Qual è il problema, ultimamente, nel mostrarsi vulnerabili?

Davanti a questa domanda, mi rivolgo a chi l’ha fatta (me stesso) e chiedo di rimando, “scusa, ma perché tieni tanto alla reputazione? Tanto da sacrificare la tua autenticità?”

Approfitto di un attimo di esitazione (di me stesso, del me stesso perfettino) e subito incalzo (prima che quello si riorganizzi) “vuoi mettere a nudo il tuo cuore, almeno un po’, oppure vuoi scrivere propagando la tua maschera, fosse anche di persona precisa, assennata, ragionevole?”

Per un attimo è spiazzato, non sa bene cosa rispondere, lo vedo.

Lancio subito l’affondo finale, “che male c’è se pubblichi qualche post come questo qui, anche se non ti sembra sufficientemente focalizzato, anche se ti sembra che invece di sviscerare un tema, ne tocchi di sfuggita cinque o sei?”

In effetti non mi sembra una scelta così inossidabile, questa del me stesso perfettino. Intendo, di scrivere solo quando ci si sente a posto, di lavorare in ambiente protetto, dentro confini predeterminati di persona pacata e ragionevole. Definire in anticipo e con criteri immutabili come scrivere. Che barba!

Tutte storie. Chi sente di scrivere deve scrivere sempre.

Non è che lo decide lui. E’ che è chiamato a fare così.

E’ ok poi scremare, buttare via anche migliaia di parole, se si lavora ad un progetto specifico. Non vuol dire nulla, perché quelle parole hanno comunque svolto una loro funzione.

Capisco che devo scrivere. E allenarmi a postare più spesso. Perché anche un blog, un punto in cui comunque ci si espone, richiede la messa a punto di uno stile di comunicazione, che di per sé è un’ottima palestra.

E visto che questo ambiente mi aiuta a scrivere, per un po’ metto “in pausa” anche il mio blog, e vengo a scrivere qui. Vediamo come va, in puro stile sperimentale. Ecco, niente più di un esperimento estivo, sulla scorta di quello che ho già avviato per il blog GruppoLocale.

E con la decisione di postare più spesso, visto che ci sono, prendo anche la decisione di non celare (troppo) la mia vulnerabilità. E’ difficile, è un processo che lavora ad approssimazioni successive.

Ma si può fare, penso. Qui si può fare.

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