Per chi scrivi?

Davvero, per te stessa? Perché ti fa stare bene? Perché qui allora? Perché non sul quaderno ocra a motivi etnici preso alla Feltrinelli? Perché “Publish”?

Pubblicare, publicus, rendere pubblico, rendere al pubblico. Rendere qualcosa al pubblico. Rendere te, pubblica, al pubblico. E così facendo -publish- renderti indietro a te stessa, come se fosse possibile osservarti dall’esterno mentre ti specchi. E’ possibile, lo vedi? Pubblichi; e basta controllare le statistiche, gli istogrammi, views, reads. Pubblichi, ti pubblichi.

Leggano in cinque, leggano in cento, leggano solo i tuoi amori.

Finalmente legittimi te stessa fuori da te stessa. Esiste una te fuori di te, fuori dai tuoi mentalismi, fuori dal tuo corpo, ed è quella che nasce al tictic della tastiera, tra doglie lessicali, senza tagli cesarei, per natura.

Così nascendo fuori di te, finalmente, ti rendi legittima. Smetti di cercare comprensione completa in tutti: non puoi averla, non arriverà mai. Lascia che ti comprenda chi ha voglia di farlo tra queste lettere, queste virgole, questi spazi. Lascia che parlino, quando ti interpretano. Chissà che un giorno smetteranno, e finalmente chiederanno. O forse continueranno a interpretare, e andrà bene, va bene: è segno che qualcosa da interpretare c’è.

Ricordati di te: ti sei pubblicata. E’ quanto di più puoi rendere a loro, alla tua audience, sia essa un editore, sia un insegnante, sia tua mamma.

Per chi scrivi?

Per te, per gli altri, perché hai qualcosa da dire, hai le parole, da sempre forma e contenuto, significante e significato, hai la pazienza di metterle in fila, combinarle fino a farle suonare, rileggerle fino a impararne l’ordine. Perché vuoi aiutare, vuoi creare arte, che per te è sinonimo di utile. L’arte migliore è utile, è scienza medica. Lascia perdere il “fine a se stesso”, “art for art’s sake”: sono bugie.

Pubblicati, che il tuo tictic sia utile a qualcuno, almeno ad uno, almeno a te.