Prendila così

Marco Castellani
StarDust
Published in
3 min readDec 20, 2015

E’ la canzone di inizio del disco, Una donna per amico. Bisogna fare caso ai numeri. Siamo negli anni settanta, ancora. Il 1978, per essere molto precisi. Per capirci, è il tempo di canzoni come Giulia di Antonello Venditti, di A mano a mano di Cocciante, di Gianna di Rino Gaetano, di One for you one for me di La Bionda (lo so, lo so, ma dovevo dirlo, abbiate pazienza). E’ anche il tempo di Mull of Kyntire di Mc Cartney, per capirci. Insomma c’è veramente di tutto, ad ampio spettro. Dalla melodia più estesa alla disco.

E il nostro Lucio che fa, come si avvia alla chiusura dei settanta? Cosa propone? Sfodera un disco rifinito, coraggioso, pieno di inventiva, graffiante, dolce, docile, irriverente. Tutto insieme. Ogni canzone è un differente universo, ogni canzone si trova in un punto dello spazio tempo dove i contorni delle cose sono diversi, gli umori dissimili, i sapori diseguali.

Prendila così allora è quella che deve introdurre il gioco, aprire al visitatore questa collezione di universi diversi. Un primo dato quantitativo, salta subito all’occhio: è una canzone di quasi otto minuti, ovvero qualcosa di davvero particolare per un disco che non sia di musica classica, o di rock progressivo. Davvero qualcosa di inusuale per un disco italiano di canzoni.

Il tempo poi si capisce. Ha il suo motivo. Perché il tempo serve per acclimatarsi, per accomodarsi in una storia. Qui il duo Mogol-Battisti, in splendida forma espressiva, tocca subito una vetta piuttosto alta della sua lunga produzione. Si entra in medias res dentro una storia delicata, complessa, sfaccettata. E la scelta, quanto mai vincente, è quella di restituirne dei pezzetti. Come dei puntini scelti in maniera apparentemente casuale, dai quali chi ascolta riesce a completare il quadro (secondo la sua sensibilità). E’ dunque -potremmo sostenere — una sorta di metacanzone, perché si produce in una serie di realizzazioni molto diverse, a seconda di chi ascolta. Prendila così è anche l’avvertimento che arriva all’ascoltatore, oltre che il titolo e oltre la storia raccontata. O meglio, abbozzata.

Rispetto a molte altre canzoni, qui la gamma di sentimenti ed emozioni (tu chiamale, se vuoi…) è decisamente ampia e soprattutto giocano su una tavolozza decisamente variegata e policroma, per appartenere appena ad un pezzo di musica “leggera”. Sì, si stanno lasciando. E’ una coppia che sta per dirsi addio, si capisce da quello che dicono (e come è bravo Lucio a restituire con sentimento brandelli di conversazione di lui e di lei, alternativamente). Si stanno lasciando, certo, ma indugiano.

Meno bella certo non sarai, le dice lui ad un certo punto. E senti che è sincero.

Le fa eco lei, e sembra veramente che si sia ritagliata un angolino di calore, di vicinanza nell’imminente addio, che ancora non vuole abbandonare. Sembra di vedere la scena.

No che non vorrei / io sto bene in questo posto / no che non vorrei / dopo corro e faccio presto…

Lei vuole andare, deve andare, ma anche non vuole. Sì, deve andare, deve lasciarlo. L’ha capito, l’hanno capito. Ma dopo. Va bene, questa cosa deve succedere, è meglio per tutti, ma non ora.

Così la conversazione prosegue tra rimpianti e desideri, dolcezza e speranze, risoluzioni, strategie di sopravvivenza

nasce l’esigenza di sfuggirsi /per non ferirsi di più

e desideri prima temuti poi timidamente espressi

e tu sai che io potrei purtroppo / anzi spero / non esser più solo

E in tutto questo, il bello è che non è mai esattamente descritta, ma sempre soltanto abbozzata. Direi anzi, pennellata. Fateci caso, ogni parola è scelta per il suo potere evocativo, e non specificamente descrittivo. Ogni parola è un tocco di colore che evoca una atmosfera, è detta come se accanto ad esse tu ne potessi immaginare altre mille, o duemila, che non hai potuto ascoltare, ma sai quali sono. Sai che sono lì.

Insomma, l’informazione è tolta, la modalità di compressione è attiva. Ma è una compressione intelligente, basata sulla modalità ricettiva umana (tipo un mp3, per capirci), una sorta di principal component analysis poetica: toglie informazione dove fa meno danno.

Come l’occhio da qualche linea deriva il quadro totale, la mente da qualche parole definisce un ambito completo. E — questa è la magia — restituisce più di quanto viene tolto. Perché così la scena è morbida abbastanza, indefinita abbastanza, da diventare tua.

E questa, signori, è arte.

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