Una giornata uggiosa

Marco Castellani
StarDust
Published in
4 min readJan 26, 2016

Mi piace moltissimo già nella scelta dell’introduzione. Perché è decisiva, per quello che indica, per quello che ribadisce. Decisiva, proprio. Prendi, quell’inizio così essenziale e scoperto, solo con la chitarra. Come a dire, tra un poco tutto questo viene rivestito, ripercorso con i mille strumenti dell’elettronica (come si richiede ad un disco sofisticato), però ora è così. Prendila così. Il nucleo è questo. Il nucleo delle canzoni di Lucio, la sua vera anima, è questa, è due ragazzi e una chitarra e poi…

E nella canzone che dà il titolo all’album, la canzone centrale, tutto questo viene fuori bene. Deve venire fuori, d’altronde.

A parte che l’effetto del contrasto tra la prima strofa eseguita così, a chitarra e voce, e la seconda già ricoperta e ripercorsa dalla ricchezza degli strumenti di studio, è quanto mai suggestivo. Come dire, viene intravista la parte essenziale, la melodia, ne viene evidenziata la struttura di intrinseca ed irrevocabile (italica) cantabilità, e subito dopo viene rivestita di una ricchezza di arrangiamento e poliedricità che — a distanza di anni — ancora è capace di colpire.

E le parole: le parole sono straordinarie. Mogol qui non è appena grande. No, è grandissimo. Non è assolutamente una canzone tra tante. E la genialità è proprio quella — che non sembrano concetti complessi. Sono sempre strofe canticchiabili, sembrano poco impegnative, tutto sommato.

Sembrano.

Direi che è un po’ come i migliori film Disney. Presentano sempre diversi livelli di lettura. Puoi collocarti alla profondità che vuoi: stai tranquillo che ricevi sempre nutrimento.

E qui voglio dire una cosa estrema. Voglio dire che secondo me questo pezzo contiene forse il più bel verso della canzone italiana (ecco, l’ho detto).

Lo conosciamo tutti…

Sogno al mio risveglio di trovarti accanto
intatta con le stesse mutandine rosa
non più bandiera di un vivissimo tormento
ma solo l’ornamento di una bella sposa

Io non so voi, ma su questo verso, a mio avviso, si potrebbe ragionare per anni e anni. Cavolo, c’è tutto.

C’è la bellezza, intanto. C’è quello che attrae, che desta interesse. Sogno di svegliarmi in un mondo, in un sistema di rapporti, diverso. Dove la bellezza adorna e non fa male, non è più una pena, è appena una contemplazione. Quello che in un mondo, in uno stato dell’anima, è uno strazio, un vivissimo tormento, diventa, nello stato da sveglio, da consapevole, un ornamento. Una cosa bella, non una ferita nel cuore.

Le mutandine rosa sono sempre mutandine rosa.

Non è cambiata, la cosa.

E’ cambiato il modo di vederla. Di vedere te, bella sposa.

Quello che sogna allora è precisamente un risveglio, uno stato più composto, più fondo, più ordinato, dove c’è spazio per il riposo e la contemplazione del bello, meno spazio per la ferita, lo strazio, lo struggimento del possesso.

Come potremmo, altrimenti, passare dal vivissimo tormento all’ornamento?

Questo sogno, detto in due parole dunque, è il vero sogno di ognuno. L’amore, come deve essere. L’amore, come pace e gioia. Un amore che non rinnega niente, assume in sé tutta la parte corporale, fino all’intimo (nessuno sforzo ascetico, per carità: le mutandine sono sempre lì), ma non fa male, non porta lacerazione, non allarga la ferita.

E ci potremmo fermare a cercare di capire, o meglio di sentire, come mai risuona anche così evocativa quella parolina lì, che sembra quasi messa per gioco… intatta.

Intatta. Ovvero, integra. Non violata. Non ferita. Completa.

Ma su un testo così, ci si potrebbe anche fermare su ogni singola parola.

Poniamo. Anche il termine sposa non è messo lì per caso. Perché la composizione dolce e confortante dell’amore chiama questo termine, non dice ragazza, amante, amica, dice proprio sposa. Perché dice sposa, perché nonostante tutto, nonostante tutto quello che si pensa sul matrimonio, nonostante tanti matrimoni falliti, faticosi, tiepidi, quello che volete — nonostante tutto questo, dire sposa è introdurre un aggancio al destino.

Per forza.

Sposa non è solo una persona, con la quale posso (se riesco) trafficare a vari livelli, incluso quello intimo. Anche evitando di lasciarmi coinvolgere troppo. Tenendo la mia anima da parte.

No, no.

Sposa è una persona che è impastata con me tanto da legarmi — almeno come aspirazione, come tentativo — in un comune destino. Almeno in questo tentativo, la parola sposa è certamente più dolce più femminile ancora di qualsiasi altro termine che comunque implichi la persona.

In questo stato risvegliato, allora, sembra di poter dire che la donna oggetto di amore è prima di tutto sposa.

Non è un discorso morale, badate bene: è appena un discorso di bellezza. Mi interessa la bellezza, infatti. Cosa altro?

Ecco come mai questo verso è così bello, nella sua semplicità.

E poi si prosegue.

Nello stato del risveglio, non solo gli affetti, ma anche l’amicizia, è diversa. Un amico vero non ti porta altre delusioni, altre amarezze. Ti porta nutrimento. Come la sposa.

Sogno di abbracciare un amico vero
che non voglia vendicarsi su di me di un suo momento amaro
e gente giusta che rifiuti d’esser preda
di facili entusiasmi e ideologie alla moda

E ancora, nel sogno del risveglio anche il mio ruolo nel sociale, nella comunità degli uomini, è diverso, è fragrante, è redento… Ed è per questo — di nuovo — in connessione operante e fruttuosa con il mondo naturale.

Sogno il mio paese infine dignitoso
e un fiume con i pesci vivi a un’ora dalla casa
di non sognare la Nuovissima Zelanda
Per fuggire via da te Brianza velenosa

E si potrebbe continuare, potremmo analizzarla ancora nei più minuti dettagli. Arrivare per esempio ad aggredire il lato articolato dell’arrangiamento, meravigliarsi — per dire — alla seducente complessità linea di basso che impreziosisce suggestivamente la composizione.

Ma forse si è reso l’idea. E’ tutto un territorio da esplorare, questo pezzo.

Devo dire, tutt’altro che uggioso.

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