Una storia particolare

Ovvero, confessioni esitanti di difficoltà festiva

Marco Castellani
StarDust
4 min readDec 24, 2016

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Ammetto che ogni anno aumenta la mia fatica. La mia difficoltà.

Niente, proprio non riesco. Abbiate pazienza, non ce la faccio.

Avverto bene la frequenza della solita trasmissione, quella della retorica. Quella sì, la sento chiaramente: ed è abbastanza fastidiosa.

Che cosa è poi la retorica? E’ un discorso che non scende al livello della mia umanità, della mia fatica, dei miei struggimenti, dei miei problemi. E’ un discorso inossidabile, che non mi sorride.

Non mi sorride perché in fondo non mi vede. E’ tutto impegnato in un autocompiacimento per la propria forza di persuasione, o financo nella tronfia ammirazione della sua splendente coerenza interna.

Nella ideologia, nella retorica, io in quanto persona non esisto. E’ un idolo al quale posso sacrificare la mia energia, magari il mio sincero entusiasmo, o perfino la mia vita. Ma lui non mi vede. Assorbe la mia energia senza vedermi, senza risolvermi.

E’ un corpo nero. Assorbe e non emette nulla.

Morire per delle idee / l’idea è affascinante / per poco io morivo / senza averla mai avuta. (…) A chi va poi cercando / verità meno fittizie / ogni tipo di setta offre / moventi originali / e la scelta è imbarazzante / per le vittime novizie / morire per delle idee / è molto bello ma per quali.

Così canta Fabrizio De Andrè riprendendo genialmente Georges Brassen, chiudendo già nei lontani (e assai ideologici) anni ’70 l’intera questione, ad aver appena voluto comprendere.

Il livello di retorica (laica e religiosa) aumenta inevitabilmente durante le feste, durante il periodo del Natale. E anche il mio mal di pancia, quel senso di voler espellere tutto quanto sa di finto, per respirare finalmente aria pulita.

Irresistibilmente spirate ormai le ideologie propriamente dette (con pochissimi nostalgici devoti che ne attendono ancora una improbabile resurrezione), la retorica si avviluppa, in questo periodo, in un brodo melenso di natura — vorrei dire — spiritual/commerciale (con un forzamento efferato del primo termine, per farci entrare la connessione con il secondo).

Con il risultato di aumentare la confusione di quelli già un po’ confusi (come me), che arrivati sotto Natale si domandano perché mai dovrebbero sentirsi improvvisamente più buoni. E perché invece non vi ci sentono affatto (e quindi ecco arrivare pure i sensi di colpa, nella misura in cui si cede a questa logica di pensiero).

Financo cristalline verità di fede, proposte in modo asettico e disincarnato, avulso dal tempo e dallo spazio, mi risultano difficili da assimilare, da lavorare, da impastare con la mia carne e i miei pensieri, con il fango e con le stelle.

In questo clima da latente depressione festiva, trovo un inatteso conforto nell’editoriale della rivista Tracce, che mi offre — mi pare-— una possibile via di uscita, un percorso di risanamento (anche mentale). Si intitola significativamente Una storia particolare.

Ecco. Una storia mi può ancora interessare, mi può avvincere. Un racconto, come scrivevo l’altra volta. Nomi, fatti, cose, persone. Poche idee, pochissime esortazioni o prediche (anche meglio, zero) . Ed in compenso molti volti, incontri, persone o momenti di persone da guardare.

Già il titolo (devo riconoscerlo) è ben pensato, è salvifico. Contro le ideologie e la retorica, l’unico antidoto — provato in ogni tempo-— sono le cose che accadono. I fatti, semplici e nudi. Una storia particolare, ogni storia particolare.

Frammenti di una storia, spigolature del mio universo…

Leggo dall’editoriale, che a questo punto ha catturato la mia attenzione…

È quel bimbo, nato in un momento preciso della storia, è la sua storia particolare (un luogo, un momento, una famiglia, e poi tutta la sua vicenda umana) che arriva a noi sempre attraverso volti e fatti particolari, (…) A fare sì che la porta della misericordia resti aperta sempre, in eterno. Offrendoci di continuo la possibilità di ripartire, di ricominciare, di riscoprirci abbracciati nel nostro nulla…

Una storia particolare, per dire, è la storia di un tentativo di rapporto con il divino, del tentativo di ognuno di noi (anche se si professa ateo, o agnostico, non può evitare di ricercare il rapporto con ciò che veramente vale per lui, ciò che per lui è divino).

Una storia che passa per istanti ben fermi nella memoria, e non categorie mentali, disincarnate asserzioni teologiche, iperuranici ammonimenti. No, niente affatto: volti, sorrisi, strette di mano, brandelli di dialogo, incontri.

Capisco che il divino che mi interessa, è quello che ha scelto di sporcarsi le mani con la storia, con una storia particolare, e con la storia particolare di ognuno. Con la mia storia (con tutto il rispetto, delle storie degli altri non ho poi questo grande interesse).

Persone e momenti di persone, che ho guardato. Nomi e cognomi, luoghi, cose concrete, che posso citare. Che a ripensarli, mi si scalda il cuore, superando magari momenti aridi o salite impreviste, o semplicemente il senso dello scorrere del tempo.

Non mi parlate d’altro, che non capisco.

Soprattutto a Natale.

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