Viene Colui che…

In cerca di questo infinito conforto.

Marco Castellani
StarDust
5 min readDec 22, 2016

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Riprendo un post di qualche tempo fa, un post tra l’altro che è stato rilanciato nel sito Darsi Pace, e che proprio lì ha trovato un ambiente fecondo e protettivo, da dove sono fioriti una serie di interessanti commenti e motivi di approfondimento.

Allora, il primo moto è di gratitudine, per quanto è potuto fiorire da quel post: davvero, non per mio merito. Ma come un dono.

La seconda istanza che mi muove, e per cui scrivo qui, è che questo desiderio di infinita consolazione, nel suo aspetto più terso, limpido, si traduce, come architettura psicologica, nell’attesa. Io sono così, sono come sono (dolorosamente difettato, potremmo dire), ma non posso evitarmi — proprio per questo-— di attendere, di attendere la piena risoluzione di tutto il mio dolore, del mio male, della mia imperfezione. Non posso che attendere il pieno compimento di ciò per cui il mio cuore palpita.

Ho preso atto del mio desiderio infinito di essere consolato. Della mia incapacità a riempire questa voragine dolorosa, se non procedendo a forza di compensazioni, ovvero per stordimenti parziali, temporanei, che non riempiono davvero. Ora ho la scelta, se cedere ad una opzione negativa, disperante (non potrò essere mai davvero consolato), oppure se sfondare le barriere del buon senso (quello un tanto al chilo) e fare un salto, dire sì è possibile.

E questo cambia la stoffa delle cose, direi percettibilmente. E da subito. Perché nel momento in cui accolgo una proposta, come quella cristiana, nel momento in cui la accolgo di cuore, per una mia personalissima decisione, il mio universo immediatamente cambia.

I miei rapporti con le cose, con le persone, con le stelle, cambiano. Cambia la mia esperienza del reale.

Inizio a sperare nella liberazione dalla malattia, non più sulle mie forze, ma su un progetto di resa, sempre da rilanciare e rinnovare. Come dire fai tu che io non ce la faccio, lo sai come sono. Fai tu.

Viene colui che (…) risanerà tutte le nostre malattie…

Non è dunque questione di dialettica, di cui pure siamo irrimediabilmente infatuati. Nemmeno di disquisizioni di teologia morale, che poi non ci aiutano quasi mai ad essere diversi, a cambiare. Tanto meno è questione di coerenza. Per carità. E questione ontologica, non etica. Cosa credo dell’universo, non il numero degli sbagli che faccio.

Che mi dice San Bernardo? Dice applicati, purificati, impegnati, prega, medita, studia, che poi…

Non mi pare. Dice invece Viene Colui…

Credo che una speranza di cambiare, una ipotesi di ristoro profondo, si possa basare sul ritorno alla affabulazione, alla narrazione. Per essere oltremodo chiari: non fai questo, fai quello, ma un approccio diverso. Una storia: Viene Colui che… Non un libretto delle istruzioni, ma qualcosa che accade (fuori di me). Una storia, proprio. Che intrinsecamente, guarisce.

Una storia che potrebbe essere vista un ritorno alla bellezza della favola, alla favola vera della fede cattolica, come diceva Olivier Messiaen.

In un confronto inevitabile, anche duro e aspro, tra questa ipotesi del cedere e ogni progetto alternativo, ogni idea e costruzione di una personale autonomia, di una progettualità centrata ultimamente sulla mia ipotesi di costruzione nel mondo, sulla mia scaltrezza operativa.

Questa lotta interiore da cui tutto dipende. Cristo sì o Cristo no. Combattimento che ci rende assolutamente protagonisti, perché si comprende presto come la nostra libertà sia centrale, sia l’architrave di tutto. Il resto è ormai francamente insopportabile, è retorica (laica o religiosa che sia) di cui veramente siamo saturi, con un buonismo patinato che pesa sul periodo del Natale quanto e più di una indigestione di panettone. Lo sentite già? Pesa così tanto da impedirci perfino il respiro libero, pieno.

Scrive benissimo Marco Guzzi, in un post su Facebook, che

Spesso si arriva a Natale stremati. Natale
significa regali, traffico, saldi, panettoni, e chiacchiere
infinite:
a natale si può, buoni buoni etc.,
la cultura laica dominante accetta il natale
come festa dell’albero di natale, di babbo natale,
della famiglia (quale?), dello sci:
natale senza alcun nato:
festa che non nomina mai il festeggiato:
festa di tutti noi, gli egoisti solidali.

La cultura cattolica invece
ripete le sue formule come se niente fosse,
come se tutte queste parole sul Bambino Gesù
significassero ancora qualcosa per tutti:
natale festa dei bambini, della bontà
(e ci avviciniamo molto al panettone …).

Io invece non sento nascere proprio niente
in questo profluvio di luoghi comuni.
Spesso anzi mi sento molto triste
a Natale, come Ungaretti, come ogni uomo
che resti poeta, e cioè vivente. Vorrei udire
parole che spacchino il ghiaccio
dei nostri cuori, parole-picconi
e non melense tiritere. Chi mi sa dire
OGGI
che Dio gli scoppia nel cuore
in modo credibile? che qualcosa
di davvero inaudito
sta per esplodere su tutta la terra?
Chi ci crede?

Spacca, Signore, la crosta
polare di tanta sordità,
sia di chi ti ignora che di chi fa finta di conoscerti.

Dunque, per carità, basta con la retorica natalizia. Con la dolcezza pubblicitaria che come melassa inquinante copre ogni scandalo (anche quello della pretesa cristiana), addormenta ogni ricerca, annacqua il vino e lo trasforma in acqua, lo rende inoffensivo (e spendibile commercialmente), laddove dovremmo sperare il contrario.

Aspettiamo qualcosa davvero? Ebbene, sfidiamola questa cosa, aspettiamola con tutto il cuore, confrontiamoci con questa ipotesi, lottiamo, neghiamo, cerchiamo altrove, rinneghiamo, torniamo. Ma da uomini, finalmente. Finalmente protagonisti, come Dio vuole. Come diceva Peguy, nel Mistero dei Santi Innocenti

Tutte le sottomissioni di schiavi del mondo non valgono un bello sguardo d’uomo libero.
O meglio, tutte le sottomissioni del mondo mi ripugnano e darei tutto
per un bello sguardo d’uomo libero
a questa libertà, a questa gratuità io ho sacrificato tutto, dice Dio,
a questo gusto che ho d’essere amato da uomini liberi,
liberamente,
gratuitamente,
da veri uomini, virili, adulti, saldi.
Nobili, teneri, ma di una tenerezza salda.
Per ottenere questa libertà, questa gratuità ho sacrificato tutto,
per creare questa libertà, questa gratuità, Per fare entrare in gioco questa libertà, questa gratuità.
Per insegnargli la libertà.

Verificare se viene davvero Colui che riempie il mio cuore, è un lavoro impegnativo. La promessa è grande, la verifica impegna tutto me stesso, la risposta può sfociare in una terribile, infinita delusione, o in una totale sovversione gioiosa del mio mondo, in meglio.

Comunque, sarà sempre meglio che fare finta, sarà sempre meglio che dire Gesù bambino pensando ad una bella favola, mentre si mangia il panettone, magari con l’amarezza profonda di avere accantonato questa ipotesi, prima di averla esplorata davvero. Con quella finta saggezza che dice non c’è più posto per le belle favole.

Spazziamo via tutto questo: è una esplosione di nuovo che il cuore attende. Una scorribanda virtuosa di nuova gioia, di un mondo imprevisto che invece accade, contro ogni ormai insipido buonsenso. Posso crederci?

Chi mi sa dire
OGGI
che Dio gli scoppia nel cuore
in modo credibile? che qualcosa
di davvero inaudito
sta per esplodere su tutta la terra?
Chi ci crede?

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