Il Flusso delle Anime

mario albrizio
mario albrizio
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4 min readDec 1, 2021

Chissà cosa passa per la mente di un ragazzo che vola dalla finestra, nella scuola di tuo figlio, stessa età di tuo figlio, stesso anno di corso.

Forse rivede la sua vita, come dicono i film? E che vita vuoi che riveda, a 14 anni. Una vita ancora tutta da vivere. Un film ancora da girare. Al massimo, una intro e qualche attrezzo di scena.

Forse si pente del gesto e prova a girarsi per recuperare, come suppongono i miei, di alunni, ragazzi più grandi, altro liceo, ma ugualmente sconvolti mentre commentano le notizie che si susseguono freneticamente nelle loro chat… mentre i media tradizionali sono in ritardo di ore. Il segno dei tempi, mentre si consuma la tragedia più antica e oscura del mondo.

Oppure pensa alla mamma, al papà, alla famiglia e “capisce” troppo tardi che in qualche modo li ha portati con sé in quel volo, e non voleva, e cerca di tornare indietro…

Avrà pensato un attimo a noi tutti, chissà, anche noi risucchiati da quella finestra perché è così che va, quando a fare quel passo è una vita che sboccia e rinuncia.

È una cosa enorme, che cambia le leggi della gravità delle nostre anime.

Che rende difficoltoso il ritorno alla normalità, perché si deve andare avanti anche quando tutto dentro si blocca, perché questo solo possiamo e sappiamo fare, andare avanti, come un esercito nel deserto, o tra i ghiacci, facendo finta che una parte di noi non rimanga indietro, accanto a ogni croce.

Fino a quando non ce n’è più.

Chissà se in quei due secondi avrà avuto un pensiero per i compagni che avrebbe sconvolto, per le mille e mille vite che avrebbe stravolto, per l’impazzito whatsapp delle nostre anime che provano a comunicare l’indicibile.

Come se comunicare potesse attenuare, magari guarire, riportare indietro il tempo e dargli un’altra possibilità. Una moviola metafisica e Qualcuno che gli chieda: “scusa, ma sei proprio sicuro? È davvero questo che vuoi?

Oppure se ha visto gli ultimi volti cari, che sono sempre i primi che hai visto, e imparato ad amare, quando uscivi dalla notte dei tempi in cui ora sei tornato. Dal ventre del mistero.

Chissà se gli è scappata un’imprecazione, un grido, una parolaccia di quelle che, a quella età, fanno sentire più grandi.

Oppure no. Solo buio, paura, pentimento o abbandono, confusione, turbinio di opzioni e neanche più il tempo per una scelta.

Forse “un brutto voto…” (dice sempre radio chat). Come se un voto potesse scatenare l’inferno che ognuno di noi porta dentro di sé, la croce da portare, il prezzo della nostra finitudine e della nostra lontananza da noi stessi.

Chissà cos’hai visto, oltre quella finestra. Io credo, la libertà.

Mettere fine all’inferno. Liberarsi dalla croce. Essere finalmente il meglio di sé. Raggiungersi. In un mondo purificato, a sua volta al meglio di sé. Con tutti che ti vedono per quello che sei, con la tua bellezza interiore che finalmente risplende, nella bellezza universale di un mondo ritrovato.

Non è quello il modo. Ma come fai a saperlo a 14 anni.

E chissà se erano davvero 14, se li avevi compiuti. Come quell’altra lapide dentro il cuore, “a sole tredici primavere” — ma ne aveva quasi 14. Anche lui. Era mio fratello, investito da un camion proprio all’incrocio del Liceo dove è finita anche la tua vita. Tanti anni fa. Ma ancora adesso. Ora. Tutti i giorni.

Tutto è vivo per sempre.

Come lo sarai tu per i tuoi, per chi ti ha conosciuto, per chi ti ha capito e per chi non, non ancora — per chi voleva ma non ha potuto. E come lo sarai per tutti noi. Perché non si vola mai soli da una finestra. Mai. Tanto meno a 14 anni.

Dicono che te ne sei andato “sul colpo”. E chissà se sei rimasto nell’aria per un po’, come dicono, a osservare la scena. Prima di spiccare il volo e raggiungere il flusso delle anime, chissà, con le cicogne che vengono a riprenderle, senza più il corpo con cui le hanno lasciate.

Le grida, il terrore, il pianto, le imprecazioni, i primi soccorsi e poi l’ambulanza, i sanitari, tutto il mondo che accorre, il massaggio cardiaco, i tentativi di rianimazione, il sindaco, i carabinieri. Sei diventato il centro del mondo per un attimo e allora hai capito, lo so, che per quel mondo eri importante. Tu, proprio tu, con i tuoi segreti e le tue fragilità.

Hai capito.

Che meritavamo un’altra possibilità. Che avresti potuto parlarci. Raccontarci. Sfogarti. Liberarti fino in fondo. E come quel Qualcuno della Moviola chiederci e chiederti: “ma è proprio sicuro? È davvero questo che devo fare?”

Non ci hai dato questa possibilità. Non l’hai data a te stesso. Non l’hai data ai tuoi, che oggi sono nel dolore che fa più male.

Andremo avanti. Andremo oltre. E lasceremo qualcosa di noi vicino a quella scuola, a quel trambusto, a quelle sirene, a quelle voci spezzate, come è spezzata la tua vita.

Andremo avanti. Andremo oltre. Perché solo questo possiamo e sappiamo fare. E questa croce come tutte le altre arriverà un momento, prima o poi, in questa vita o in un’altra, che tutte, una per una, torneremo a riprenderle.

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