I Due Gesù — 2

La Divina Fiction

mario albrizio
mario albrizio
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6 min readNov 13, 2017

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Dal Racconto alla Scrittura

Sappiamo che i Vangeli sono stati scritti molto dopo la vicenda di Gesù.

Non sono certo dei reportages in presa diretta, per così dire. La datazione è incerta ma i più ottimisti fanno risalire il primo Vangelo intorno al 70 d.C., cioè una quarantina d’anni dopo la morte (e resurrezione) del Crocifisso.

E una ventina d’anni dopo che sono cominciati a circolare i primi racconti rinvenienti (forse) da un’unica fonte che potrebbe essere l’apostolo Giovanni (forse, ma anche no, lo stesso omonimo evangelista), a sua volta testimone oculare della vita di Gesù.

La Parola che si racconta

Giovanni, se è lui, ci ha messo vent’anni a far circolare i primi appunti nelle varie comunità, probabilmente visitandole e portando loro il suo racconto, la sua parola, che per le cose narrate e la caratteristica via via sottolineata del protagonista, diventava man mano Parola di Dio. Il primo canovaccio. Senza dubbio orale, del tutto o prevalentemente.

E quell’originario racconto deve aver fatto più volte il giro delle comunità cristiane, le quali ci hanno messo almeno altri vent’anni a rielaborarli, affinarli, completarli, interpretarli, filtrarli… ognuna per suo conto fino a quando qualcuno non ha cominciato a metterlo su carta.

Gli evangelisti, appunto. Tanti, anche se solo 4 sono stati successivamente ritenuti “canonici” dalla Chiesa. I quattro che conosciamo.

Insomma, dal fatto al racconto, acqua sotto i ponti ne è passata tanta.

Quando la storia di Gesù comincia ad essere messa nero su bianco (per così dire), cioè se tutto va bene intorno al 70 d.C., molto se ne è già discusso, e molti problemi ermeneutici (di interpretazione) sono stati affrontati e risolti — in qualche modo.

Ovvero in molti modi, ogni comunità a modo suo, se consideriamo che le comunità erano separate, distanti, comunicavano a fatica e lentamente tra loro, e nel frattempo dovevano dare risposte concrete ai fedeli.

Molte infatti devono essere state le domande fatte dai semplici fedeli ai capi e agli ermeneuti delle varie comunità, cui spettava di spiegare e interpretare il brogliaccio giovanneo in maniera da farlo diventare cemento e amalgama per quei primi cristiani, inizialmente pochi e isolati, assediati e incerti, magari impauriti, sostenuti solo da quella fede forte ma ancora embrionale.

Deve essere stato tanto chiesto, e tanto discusso, e tanto risposto sul significato e/o sulle conseguenze di questo e quello, di quella parola, di quel gesto nella vita raccontata di Gesù, per la vita reale di quei credenti in carne e ossa, con tutto il loro carico di vita e speranza e angosce — e molto deve essere stato inventato (anche in perfetta buona fede) per adattare il racconto ai casi particolari e rispondere a quelle domande così pressanti.

Risposte via via più centrate e aderenti al target, ai bisogni degli interlocutori: sempre più utili a consolare, a incoraggiare, a far sperare. Anche, se necessario, arrotondando e adattando il nucleo originario del messaggio cristiano-giovanneo.

Non è compito di questo lavoro discutere della reale esistenza storica o meno di Gesù e degli eventi come narrati dai Vangeli. Propendiamo sostanzialmente per il sì, ma il discorso andrebbe precisato e sarebbe troppo lungo e inadatto a questa sede. La diamo qui dialetticamente per acquisita— e ci limiteremo a dare più in là qualche cenno utile.

Osserviamo però che dal tempo di vita di Gesù a quello della scrittura, dal fatto al racconto orale e dal racconto orale al racconto scritto, la storia è senza dubbio cambiata. Almeno in parte. Ed è sicuramente diventata più ricca, più dettagliata, più fantasiosa, più mistica, paradossalmente più verosimile, e molte altre cose e tutte queste cose insieme.

In una parola, via via più perfetta.

E continuerà ad essere perfezionata nei secoli, fino a quando non sarà diventata così grande, complessa, persino contraddittoria, che una Chiesa ormai forte e radicata, strutturata, riconosciuta dal potere politico romano, e a questo legata, non senta di dover intervenire per stabilire ciò che sì, e ciò che no.

Avverrà per la prima volta al Concilio di Nicea, nel 325 d.C., ben tre secoli dopo la morte di Gesù. E proseguirà ancora nei secoli successivi.

Il giusto periodo di lievitazione per quella che qualcuno ha definito “la più grande storia mai raccontata”.

Quindi, l’originario nucleo del racconto evangelico è stato inevitabilmente adattato alle necessità delle varie comunità cristiane, alle loro realtà, alle loro speranze, paure, e aspirazioni di salvezza.

Praticamente ogni comunità importante ha prodotto il suo Vangelo, cioè la sua interpretazione scritta del nucleo originario “raccontato” (forse) da Giovanni apostolo.

Ogni vangelo è l’adattamento della storia del Cristo alle necessità della logica comune, della preesistente tradizione profetica e delle esigenze religiose (ovvero anche politico-sociali) locali, come è ovvio in parte simili e in parte proprie, specifiche ciascuna delle comunità cui quei vangeli erano diretti.

La Parola che si scrive

In sintesi, quando la prima lettera della prima parola viene scritta in uno qualunque dei vangeli, canonici e non, la storia di Gesù è già diventata fiction.

Senz’altro verosimile e vicina al racconto originale. Ma piena di tutto ciò che si riteneva necessario ad una migliore comprensione, a una migliore masticazione di fede e alla produzione di comportamenti consoni da parte di uomini e donne semplici che proprio nella parola semplice e nell’esempio, per quanto raccontato e non visto, trovavano la loro via e una consolazione risarcitoria — un’altra vita perfetta ed eterna dopo la morte in cambio della propria infelice condizione nella vita corrente.

Una fiction realistica e ri-piena di tutto ciò che serviva a motivare, unire, galvanizzare e riempire di speranza le disperse comunità cristiane, ancora limitate, disorganizzate e con grandi problemi di logistica e comunicazione, in un territorio anche religiosamente ostile (sono stati i sacerdoti a volere la morte di Gesù) — e quindi in costante disagio o pericolo.

La storia o meglio la narrazione della vita di Gesù quindi è stata sicuramente aggiustata, addolcita, smussata, potenziata, per cercare di convincere anche i più scettici, e soprattutto di consolare e fortificare gli umili e i deboli, gli indifesi-cioè per forza di cose il maggior numero tra i membri delle comunità.

Storytelling a Nicea

A questo racconto, a questo storytelling creativo e caotico, in cui ogni comunità può dire la sua a pari grado, il Concilio di Nicea mette fine e impone una sostanziale omogeneità, garantita non tanto dalla parola letterale (che spesso anche nei 4 vangeli ufficiali diverge) ma proprio dalla legittimazione e dal farli propri della vera, nuova, grande novità: la Chiesa, forte della sua nuova alleanza con l’Impero.

La Chiesa. Letteralmente, l’Assemblea. Cioè la riunione e la organizzazione centralizzata di tutte le Comunità un tempo autonome e legate solo dalla identica fede in un racconto suggestivo sulla vita e la morte (e la resurrezione) di un uomo, o di un uomo-dio.

A Nicea, sotto l’accorta, esigente e onnipresente regia imperiale, finisce l’insieme delle Comunità autonome e si stabilisce un’unica comunità (Ecclesia, Assemblea) universale, cioè imperiale, strutturata gerarchicamente come un impero disarmato, che lavorerà a stretto contatto con e per l’altro impero, quello delle legioni di cui Costantino è il reggente pro-tempore.

È quello che vuole l’Impero che tenta di evitare la propria disgregazione. Ed è quello che serve ai personaggi eminenti del cristianesimo originario per evitare la disgregazione delle proprie comunità, sempre più soggette a interpretazioni particolari o eretiche del significato della vita di Gesù.

Ed è qui, in questi secoli fatali, in questo gigantesco crogiuolo storico, nell’incrocio epocale tra un potente Impero che cerca di non morire e una ambiziosa Religione che nasce e rischia di essere soffocata nella culla — è in questo loro continuo reciproco adattamento, che ritroviamo i nostri due Gesù.

La loro ragion d’essere e, probabilmente, la loro creazione. Una creazione per distinzione e quindi per divisione.

Guardiamoli più da vicino.

(2. Segue)

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