Milano Gne Gne, Europa Gne Gne

mario albrizio
mario albrizio
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4 min readNov 21, 2017

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Come perdemmo la via, la visione e l’identità

Da capitale morale a capitale della lagna istituzionale.

Milano “perde” la sede dell’EMA, cioè perde qualcosa che non ha mai avuto, e si va in psicodramma, con tanto di dichiarazioni del podestà regionale Maroni sull’incapacità di decidere dell’Europa che si affida alle monetine.

O del grigio sindaco burocrate che oggi parla di complotto.

Dopo il disastro — però.

Prima, quando ci si credeva destinati all’immancabile trionfo, era tutto ok. Anche l’Europa…

Ecco un video che riassume la vicenda per chi non l’ha seguita.

La realtà è come sempre più complessa.

La capitale economico-finanziaria d’Italia ha perso l’Ema perché ha perso da tempo la sua visione e dimenticato la sua missione. Quella di cuore e polmone del Paese.

Che raccoglie risorse e le redistribuisce secondo il ciclo economico, parallelamente a quello che Roma fa sul piano politico. Trattenendone entrambe lauti profitti che sono la fonte del loro primato.

Oggi, devastata dalla piccolezza leghista dopo decenni nell’occhio del ciclone come Tangentopoli, Milano arranca alla ricerca della cosa più importante per una Città come per un paese o per una persona. La sua identità.

Guidata (si fa per dire) da un uomo che ha già dato pessima prova di sé con l’Expo, e alla Regione da uno spirito meschino e condominiale nato e cresciuto come garzone alla corte di Bossi, Milano ha perso la strada.

Milano però, le istituzioni, non i milanesi.

Che in larghissima maggioranza hanno detto no al ridicolo e micidiale (perché suicida) referendum sulla così detta autonomia.

Ciononostante i suoi mediocrissimi governanti non hanno perso l’occasione di salire sull’ennesimo treno delle richieste a Roma.

Ovvero, la capitale “morale” manda il messaggio di aver tirato i remi in barca. E la capitale economica di scegliere l’eutanasia. O meglio, sindaci e governatori l’hanno scelta per lei.

Il messaggio chiaro e forte arrivato col famigerato referendum è che Lombardia e Veneto, Milano e Venezia, vogliono tenersi il malloppo delle loro tasse.

Milano e Venezia, non a caso: quelle già sfregiate da Expo e Mose, le due idrovore di denaro pubblico più costose e scandalose della Storia. Due buchi neri dove è sprofondata ogni morale e capacità di guida.

Il messaggio mandato in mondovisione con quei due mostri è stato orribile. Incalcolabile il danno di immagine. Perfezionato con quella caricatura di referendum con cui due minuscoli governatori leghisti hanno detto al mondo abbiamo paura, vogliamo tenerci i nostri soldi.

Cioè che non hanno più idee, progetti, visione, e gli rimane solo il portafoglio, finché dura, perché chiudendosi finirà presto.

Che il cuore-polmone vuole funzionare solo per sé. Cioè che vuole morire, perché senza il resto del corpo è questo il suo destino.

La Milano di un tempo, di fronte alla perdita dell’Ema, avrebbe risposto peggio per lei.

Perché aveva altri orizzonti e non appendeva le sue speranze a un altro postificio dove piazzare l’ennesima rete clientelare. Tutt’altro.

È tristemente evidente che i tempi sono cambiati…

E non è solo Milano. Passata da essere la Milano da bere, la città in ascesa degli anni 80, corrotta in alto ma vivace in basso, al triste spettacolo odierno di una corruzione addirittura aumentata ma senza più la visione e anzi con un capocondomino isterico che anziché farsi venire un’idea, grida “a noi le tasse, a noi le tasse”.

Non è solo Milano, ovviamente, ad essere passata da capitale morale a capitale dello gne gne, della lagna sterile e improduttivamente affaristica.

Ovunque le realtà più ricche velleitarizzano sogni di distacco da ciò che le rende ricche. Una vera e propria patologia da benessere e paura. Difendono la loro ricchezza alzando muri perché non sanno o non ricordano che l’hanno costruita abbattendoli e conquistando ciò che c’era oltre.

Senza dire della Germania, una sorta di grande Lombardia maroniana con la stressa grettezza di orizzonti. Lo Stato più ricco d’Europa la cui unica attenzione istituzionale è alla propria borsa, il cui unico orizzonte è il proprio recinto nazionale, e il cui unico metodo di governo è lesinare i soldi per mantenere sottomessi gli altri, come il signorotto nei paeselli arretrati fa con la sua plebe.

Ma il prezzo è appunto l’arretratezza, la divisione, la debolezza. Per tutti. Signorotti compresi.

È un’Europa senz’anima, quella che si nasconde dietro ai sorteggi.

Ora ci presenta il conto dell’EMA ma è lei la prima grande malata.

Un’accozzaglia di Stati che hanno perso da tempo l’ideale europeo e si ritrovano a giocare l’antica partita del chi-frega-chi.

Non è difficile immaginare come andrà a finire. Senza il collante della sua visione, della sua missione nel mondo e nella Storia, l’Europa che si regge sui contrapposti egoismi collasserà e sarà fatta a pezzi.

E tutti moriranno gridando “a noi le tasse, a noi le tasse”, come il malato che non vuole rinunciare alla causa della sua malattia.

È lei, L’Europa, la prima ad aver perso la visione e la missione. In questo Milano è, ahinoi, oggi, davvero una città profondamente europea.

E, come l’Europa, se vuole ritrovare la sua visione e il suo futuro deve innanzitutto ritrovare se stessa. E riprendere a guidare il Paese.

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