QUEL 2 AGOSTO

mario albrizio
mario albrizio
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5 min readAug 2, 2022

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Nel 216 A.C. Annibale è in #Puglia. I Romani lo seguono.

Qualcuno infatti deve aver già diffuso la storiella della “regione più bella del mondo…” ;)

Si scontrano a Canne. I Romani hanno un esercito tre, quattro o mille mila volte superiore (dipende dalla “fonte” che leggi), ma le prendono di santa ragione.

L’Italia sembra perduta perché, si legge un po’ ovunque, il diabolico Annibale ha attuato la geniale “manovra a tenaglia” che ancora oggi “si studia nelle accademie militari”, manco l’avesse inventata lui.

Il quale era un genio militare senza alcun dubbio, e la cui manovra a tenaglia è stata particolare proprio per l’inferiorità numerica, ma che almeno l’acqua calda non l’ha dovuta inventare. La manovra a tenaglia c’era già dalla notte dei tempi.

Dev’essere per quello che si perdono le guerre, visto ciò che si fa “studiare nelle Accademie”… dal momento che la manovra a tenaglia è quasi sempre stato l’obiettivo tattico finale di qualunque comandante, non solo antico, e anche l’ultimo caporale, anche l’ultimo soldato lo sa.

Tutti lo sanno. Tranne gli “storici” improvvisati che riempiono abbondantemente i meandri del web (e magari fossero solo quelli…) e che nelle ricorrenze come questa forniscono abbondanza di dotte citazioni, non importa se false, insensate e spesso contro ogni razionalità.

Non parliamo poi della conoscenza storica, visto che certe sciocchezze si leggono non solo su Facebook ma su ben più (vana)gloriosi manuali scolastici e universitari. Perché la pigrizia e la convenienza sono spesso più forti della ricerca della verità.

Non penserete che le così dette fake news siano un’invenzione contemporanea — no?

Una fake news è solo una notizia che non ce l’ha fatta. Che non rientrava nell’interesse dei potenti. Quelli che fanno (scrivere) la storia.

Se ce la fa, diventa verità ufficiale e trova il suo bel posto al sole nelle università, nei media o nei social. Nelle migliaia di wikipedie del chiacchiericcio quotidiano, che non fanno che rilanciare lo stesso riverbero all’infinito.

Tornando a Canne, che non sfugge a questa logica, ecco invece una versione probabilmente non perfetta ma molto più plausibile, fornita dal prof. Barbero:

Da dove proviene allora la ridicola e contraddittoria versione che oggi adorna tante bacheche?

Ecco per esempio uno dei tanti siti che riverberano:

Ci sono tre resoconti principali della battaglia, ma nessuno contemporaneo. Il più vicino è quello di Polibio (200–124 a.c.), scritto 50 anni dopo. Tito Livio (59 a.c. — 17 d.c.) l’ha descritta al tempo di Augusto, e Appiano di Alessandria (95–165) ancora più tardi, con eventi non citati né da Livio né da Polibio. È considerata come una delle più grandi manovre tattiche della storia militare e, in termini di caduti in combattimento, una delle più pesanti sconfitte di Roma, seconda solo alla battaglia di Arausio.

Quindi il primo ne scrive 50 anni dopo. Figuriamoci gli altri. Della battaglia non ha visto neanche un fotogramma. Neanche un meme. Neanche il selfie finale di Annibale che festeggia coi suoi. Nulla di nulla.

Polibio è stato un grande storico, ha seguito molte imprese del grande Scipione e le ha narrate per così dire in diretta. Ma Canne no. Perché lui è nato nel 200, secondo altri nel 206 a.C. In entrambi i casi la battaglia si è combattuta quando lui non era ancora nato.

Come avrà fatto a raccontare quel che non ha visto?

Nel migliore dei casi avrà sentito qualche reduce, più facilmente “aristocratico”, che magari avrà spinto per questo lavoro di “ricerca storica” e che ovviamente avrà raccontato a modo suo, quel che ricorda - o quel che conviene ricordare, esagerando i propri meriti e nascondendo i propri errori — del pezzo di battaglia che ha vissuto.

O di cui ha sentito parlare, con la inevitabile escalation di esagerazioni di questi casi, per attirare l’attenzione.

Il resto lo ha aggiunto l‘immaginazione dello storico, la narrazione letteraria di precedenti battaglie (altrettanto “fortunosamente” ricostruite) e gli interessi dei dominanti del suo tempo. Che non avendolo perseguitato evidentemente approvavano.

Approvavano cosa, nella narrazione di una drammatica sconfitta che aveva fatto vacillare l’impero?

Non è difficile da intuire. Basta guardare alla distribuzione delle responsabilità.

L’esercito repubblicano era guidato da due consoli. Un “popolare” e un “aristocratico”.

E le sconfitte, si sa, scatenano la caccia ai responsabili. Di chi sarà mai stata allora la colpa di questa sconfitta? A chi mai l’avrà attribuita la storiografia controllata e finanziata dal potere, ovviamente “aristocratico”?

Naturalmente al console “popolare”, descritto immancabilmente come inesperto, irruento, ambizioso-vorace, che scatena la battaglia (o vi si fa incastrare) contro il parere del saggio, esperto e lungimirante console “aristocratico” o mentre questi non c’era perché era il giorno di comando dell’altro… (Ohibò, e dove se ne andava quando non era in comando, con la battaglia imminente - a fare shopping su Amazon?)

Volete una controprova? Guardate la sconfitta di Arausio, qui sopra citata. Un secolo dopo. Ma stesso schema, stessa narrazione. Il console popolare ambizioso e coglione che manda all’aria la possibile vittoria, anzi certa, se ci si fosse affidati all’esperto collega “aristocratico”.

A Carre invece, nel 53 a.C., mezzo secolo dopo Arausio, sconfitta altrettanto devastante, non ci fu alcun bisogno di riproporre la solita narrazione console buono-console cattivo. Il comando era in mano a Crasso, un “popolare”, ovvero un (ricchissimo) non aristocratico. Nessuna guerra delle responsabilità. Il disastro si poteva lasciare tranquillamente sulle sue spalle.

La vittoria è come il porco, non si butta via niente.

Ma anche la peggiore sconfitta si può trasformare in vittoria. Se si riesce a darne la colpa ai propri avversari interni.

Questo insegna la Storia. E a questo, spesso, è servita e serve la narrazione storica. Che con la Storia vera ha sovente ben poco a che fare, e con la ricerca della Verità anche meno.

Chi controlla la narrazione degli eventi, ieri con i libri e le scuole e le chiese, oggi con i mass media, usa questo potere per attribuirsi i meriti dei successi e per dare le colpe agli avversari.

Anche qui, come per la famosa “manovra a tenaglia”, niente di nuovo sotto il sole. Lo vediamo tutti i giorni. Business as usual.

E poi c’è un altro 2 agosto di cui si dovrebbe parlare. Ma di quello, col sangue ancora caldo delle vittime e una verità ancora da venire - di quello la Storia deve ancora tacere.

Di sicuro c’è solo che a Canne, ad Arausio, a Carre, a Teutoburgo ecc.. si è reagito. A Bologna ancora no. Il nemico è ancora da battere. E prima ancora, forse, da individuare.

E un’altra cosa si può dire con certezza. Che la guerra per attribuire le responsabilità di quella strage risponde alle medesime logiche di Canne.

Cambiano i tempi e le persone. Ma le esigenze del potere di mantenersi in sella e di cambiare le sconfitte sul campo in vittorie della narrazione, e quindi in consolidamento del proprio potere, non cambiano mai.

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