Negazione

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Quando la coscienza agisce negando la realtà, la realtà reagisce negando la coscienza, secondo il noto principio di azione-reazione.

Pupillo. Sono felice che ci siamo finalmente incontrati per discutere dei temi che ci stanno più a cuore.

Mentore. È un’opportunità davvero preziosa. Vediamo dunque di non sprecarla in inutili convenevoli e andare dritti al punto.

Pupillo. Bene, allora te lo chiederò senza troppi giri di parole: qual è secondo te il problema fondamentale di noi umani?

Mentore. Vuoi una risposta breve?

Pupillo. Certo, e magari anche sintetica.

Mentore. Il problema fondamentale di noi Homo sapiens sapiens è la falsa identificazione.

Pupillo. Il che significa?

Mentore. Che abbiamo l’incresciosa tendenza di immedesimarci con tutto ciò che non siamo.

Pupillo. Perché sarebbe un problema?

Mentore. Perché la falsa identificazione produce negazione della realtà. E i conflitti, sia interiori che esteriori, sono sempre la conseguenza di un processo di negazione della realtà. Inoltre, come sai, i conflitti sono la ragione stessa delle nostre sofferenze, siano esse fisiche, emotive, oppure mentali.

Pupillo. Sei stato decisamente sintetico, forse un po’ troppo per i miei gusti. Non sono sicuro di avere capito.

Mentore. Cosa non avresti capito?

Pupillo. Ad essere sincero… tutto!

Mentore. In particolare, che cosa non avresti capito di quel tutto?

Pupillo. Ad esempio ciò che intendi con “falsa identificazione”.

Mentore. Possiedi un’automobile?

Pupillo. Sì, una bella auto sportiva che ho appena acquistato.

Mentore. Immagina che proprio sotto i tuoi occhi un individuo si avvicini al tuo bolide nuovo fiammante graffiandone tutta la fiancata. Lo stai immaginando?

Pupillo. … sì!

Mentore. Cosa provi?

Pupillo. Provo dolore. È come se stesse graffiando me. Sento anche salire una gran rabbia e il desiderio di strangolare quel balordo!

Mentore. Ecco, hai appena sperimentato la falsa identificazione!

Pupillo. Spiegati meglio.

Mentore. Sei un essere umano, giusto?

Pupillo. Senza dubbio.

Mentore. Non sei un’auto sportiva.

Pupillo. Mi sembra evidente.

Mentore. Per quale ragione allora, quando un losco individuo graffia la carrozzeria della tua auto, tu soffri come se si trattasse della tua stessa pelle?

Pupillo. Non vorrai farmi credere che mi sono identificato con la mia automobile?

Mentore. In un certo senso sì. E dato che non sei un’auto, ma un essere umano, si tratta di falsa identificazione.

Pupillo. Hm… dubito che la tua conclusione sia corretta. So benissimo di non essere un’automobile: io possiedo un’automobile, il che è diverso.

Mentore. Perché allora soffri?

Pupillo. Soffro perché qualcuno sta danneggiando qualcosa di mio, qualcosa a cui tengo. Cosa ci sarebbe di sbagliato in questo?

Mentore. Nulla. Se però reputi che sia più desiderabile vivere senza soffrire anziché soffrendo, potresti interrogarti sul perché questo avvenga.

Pupillo. Intendi dire per quale ragione soffro quando qualcuno danneggia la mia auto?

Mentore. Ad esempio.

Pupillo. E la tua risposta, se ho capito bene, sarebbe che soffro perché sono in preda a una forte confusione, dal momento che credo di essere un’automobile?

Mentore. In un certo senso sì.

Pupillo. Eppure io so bene di non essere un’automobile. E so che tu sai che io so di non essere un’automobile!

Mentore. Ecco perché prima ho detto “in un certo senso”. Indubbiamente, sei perfettamente in grado di fare la differenza tra te e la tua autovettura.

Pupillo. Allora concordi: non mi sono identificato con la mia auto.

Mentore. Non in senso stretto. Però coltivi dei pensieri sulla tua auto.

Pupillo. Certo, è normale.

Mentore. Pensieri che consideri veri.

Pupillo. Ovviamente.

Mentore. Pensieri ai quali credi.

Pupillo. Senza dubbio.

Mentore. Naturalmente, quelli relativi alla tua auto sono solo una piccola parte dei pensieri che ritieni veri e in cui credi. Ma dimmi: questi pensieri sono o non sono parte di te?

Pupillo. Essendo pensieri miei, in cui credo, immagino siano parte di me.

Mentore. Possiamo allora affermare che tu sei quello in cui credi?

Pupillo. Hm… non ho mai riflettuto alla cosa in questi termini.

Mentore. Fallo ora.

Pupillo. Be’, non posso certo affermare di essere esclusivamente ciò in cui credo, ma ciò in cui credo è indubbiamente una parte di ciò che sono.

Mentore. In altre parole, la tua identità, o almeno parte di essa, risiede in ciò in cui credi, nei tuoi sistemi di credenza.

Pupillo. Penso sia corretto affermarlo, ma dove vuoi arrivare?

Mentore. Sono già arrivato. Hai affermato di coltivare delle credenze a proposito della tua auto: potresti farmi un esempio?

Pupillo. “La mia auto è nuova e raggiunge la velocità di 250 chilometri all’ora.” Ecco, questo è un pensiero che ritengo vero, in cui credo.

Mentore. Dunque, poiché le tue credenze sono parte della tua identità, e la tua automobile è parte delle tue credenze, non è forse lecito dedurre che sei parzialmente identificato con la tua automobile?

Pupillo. Puoi ripetere per favore?

Mentore. I tuoi sistemi di credenza, che definiscono in parte la tua identità di essere umano, hanno numerosi contenuti. Tra questi vi è quello della tua automobile. Perciò, le tue credenze sulla tua automobile sono parte della tua identità ed è lecito affermare che per mezzo di esse ti sei parzialmente identificato con la tua automobile.

Pupillo. Sono d’accordo, ma non vedo per quale ragione ciò costituirebbe un problema.

Mentore. Ora te lo spiego. Supponiamo che tra le tue credenze sulla tua automobile vi sia anche quella che afferma che nessuno dovrebbe permettersi di graffiarla.

Pupillo. Non hai bisogno di supporlo, ci credo fermamente: nessuno dovrebbe permettersi di graffiare la mia automobile, per nessuna ragione! Le persone dovrebbero sempre rispettare la proprietà altrui!

Mentore. Si tratta indubbiamente di qualcosa in cui credi. E poiché ci credi, è parte della tua identità.

Pupillo. Una piccolissima parte però.

Mentore. Sì, una piccolissima parte con la quale necessariamente ti identifichi.

Pupillo. Non vedo cosa ci sia di male nell’identificarsi con i propri pensieri, quelli in cui si crede: ha tutta l’aria di essere un processo naturale.

Mentore. Può darsi, ma tale processo diventa alquanto problematico quando i pensieri con i quali ti identifichi sono falsi. Poiché in tal caso si tratta di falsa identificazione. O meglio, si tratta di un’identificazione doppiamente falsa. È falsa a un primo livello, in quanto i pensieri con i quali ti identifichi sono falsi. Ed è falsa a un secondo livello, in quanto la tua identità non è riconducibile al mero contenuto dei tuoi pensieri.

Pupillo. Non capisco: cosa ci sarebbe di così sbagliato nel pensiero che nessuno dovrebbe graffiare la mia auto?

Mentore. Il tuo pensiero è soltanto un pensiero e in quanto tale non può essere sbagliato. L’errore, se di errore si può parlare, sta nel ritenere che il contenuto di questo pensiero esprima una verità, quando invece, indubbiamente, esprime una falsità. Infatti, nega la realtà!

Pupillo. Quale realtà?

Mentore. La tua realtà personale, tutto ciò che esiste per te, nel senso di tutto ciò che è disponibile alla tua esperienza. Immagina ancora una volta quell’individuo che graffia la tua preziosa automobile. Il suo potrebbe essere un semplice atto di vandalismo inconsapevole. Ritieni che un tale evento sia possibile o impossibile?

Pupillo. Decisamente possibile. Ad essere sincero mi è già capitato!

Mentore. Mi stai dicendo che il tuo bolide nuovo fiammante è già stato graffiato da qualcuno?

Pupillo. Sì, proprio ieri mi sono accorto di un graffietto che sono certo di non avere fatto io. Penso sia successo in un parcheggio.

Mentore. E cosa provi quando pensi a quel graffietto?

Pupillo. Mi sale una gran rabbia.

Mentore. Guardando più in profondità, cosa c’è dietro a quella rabbia?

Pupillo. Dolore, credo: il dolore che mi ha procurato quel graffio.

Mentore. Un po’ come se fosse stato fatto sulla tua stessa carne?

Pupillo. Qualcosa del genere.

Mentore. La rabbia è una reazione al dolore. Una reazione di natura aggressiva nei confronti di chi o cosa, dal nostro punto di vista, si è reso responsabile delle nostre pene.

Pupillo. Capisco, qualcuno mi ferisce e io reagisco cercando di ferirlo a mia volta.

Mentore. In questo modo però si alimenta un circolo vizioso, che può essere rotto solo nell’istante in cui le “vittime” realizzano che non c’è nessuno in grado di aggredirle, se non loro stesse.

Pupillo. Mi sembra un’affermazione un po’ drastica.

Mentore. Lo è. Si tratta di un cambiamento radicale di prospettiva: dal pieno vittimismo alla piena responsabilità per la propria vita. Ma non divaghiamo. Stavamo analizzando le tue credenze sulla tua automobile, e in particolare quella che sostiene che nessuno dovrebbe permettersi di graffiarla. Questa tua credenza è vera oppure falsa?

Pupillo. Vera: nessuno dovrebbe farlo!

Mentore. Però qualcuno lo fa! Sei stato tu a confermarmi che un tale evento è possibile.

Pupillo. Mi stai forse dicendo che il fatto che qualcuno possa graffiare la mia automobile significa che il mio pensiero non può essere corretto?

Mentore. Mi sembra evidente. Il fatto che vi siano persone che possono graffiare la tua auto dimostra esattamente questo: che non è vero che non lo dovrebbero fare.

Pupillo. Per quale ragione?

Mentore. Per la semplice ragione che possono farlo, e ogni tanto lo fanno, come tu stesso mi hai confermato. E se lo fanno allora non può essere vero che non lo dovrebbero fare.

Pupillo. È un gioco di parole?

Mentore. Non lo è. La possibilità che qualcuno graffi la tua auto è un aspetto della tua realtà che falsifica de facto la teoria in cui credi.

Pupillo. Sarà, ma continuo a pensare che nessuno dovrebbe graffiare la mia auto.

Mentore. Lo so. Questa tua convinzione è la vera causa della tua sofferenza, non l’individuo che ha graffiato la tua automobile. In altre parole, sei il solo responsabile della tua pena.

Pupillo. Ora non ti seguo più.

Mentore. Andiamo per gradi. La tua teoria si fonda sul principio che nessuno dovrebbe graffiare la tua auto. La realtà sostiene invece che ci sono individui che graffiano le automobili altrui, violando il principio su cui si fonda la tua teoria. Mi segui?

Pupillo. Fin qui ci sono, o almeno credo. L’esistenza stessa di individui irrispettosi della proprietà altrui implica che la mia teoria non può essere corretta.

Mentore. Sì, poiché a questi individui non si applica il tuo principio di non dover graffiare la tua auto. A loro si applica un altro principio, contrapposto al tuo: ogni tanto lo devono fare, dacché di fatto lo fanno!

Pupillo. In altre parole, la mia teoria sarebbe falsa e io farei meglio a disfarmene, o comunque a correggerla.

Mentore. Esattamente. D’altra parte, è proprio così che funziona la ricerca scientifica: le teorie vengono costantemente messe alla prova per mezzo di esperimenti di natura critica, in grado di confermarle oppure di falsificarle.

Pupillo. Nel caso della mia teoria, l’esperimento critico quale sarebbe?

Mentore. Semplicemente l’osservazione che esistono individui che si dilettano a graffiare le carrozzerie altrui. Ma siccome la tua teoria non contempla l’esistenza di tali individui, manifestamente essa nega la realtà dei fatti.

Pupillo. Ho capito: la realtà non si comporta in questo modo, si tratta unicamente di un mio desiderio, che si fonda su un’errata convinzione.

Mentore. Una convinzione che non tiene conto dei tuoi dati empirici, delle tue osservazioni.

Pupillo. Avrei quindi peccato di negligenza, non avendo corretto la mia teoria alla luce dei dati che avevo a disposizione.

Mentore. Sì, e per questo hai sofferto quando ti hanno graffiato l’automobile. Dunque, in ultima analisi, si tratta di sofferenza autoinflitta.

Pupillo. Mi manca un passaggio. Comprendo di avere commesso un errore nel non aver corretto la mia teoria quando avevo gli elementi per farlo. Però sono sempre convinto che il responsabile della mia sofferenza non sia io, bensì l’individuo che ha commesso l’atto di vandalismo.

Mentore. Ancora una volta si tratta di un’errata convinzione.

Pupillo. Puoi spiegarmi?

Mentore. Sei d’accordo che le tue convinzioni sono solo e unicamente una tua responsabilità, nel senso che sei solo tu a scegliere in quali teorie credere?

Pupillo. Concordo, nessuno mi obbliga a credere a nulla.

Mentore. Sei dunque un uomo libero, almeno interiormente.

Pupillo. Indubbiamente.

Mentore. Un uomo che sceglie liberamente di credere che nessuno dovrebbe graffiare la sua automobile, giusto?

Pupillo. Sì, anche se ora ho capito che questa credenza andrebbe corretta.

Mentore. Questo perché grazie alla nostra conversazione ti sei reso conto che essa nega la realtà. Ma ora chiediti: cos’ha causato il tuo dolore, allorché visualizzavi quell’individuo graffiare la tua automobile?

Pupillo. Non cosa, ma chi! Secondo me è stato proprio quell’individuo a procurarmi il dolore.

Mentore. È sorprendente non trovi, quell’individuo era forse un mago?

Pupillo. Che intendi dire?

Mentore. Deve avere degli enormi poteri: senza nemmeno sfiorarti è stato in grado di provocarti un’intensa sensazione di dolore. Come ci è riuscito?

Pupillo. A dire il vero non lo so.

Mentore. Sai come funziona il meccanismo del dolore fisico?

Pupillo. Vagamente, puoi ricordarmelo?

Mentore. Il nostro corpo è provvisto di ricettori specifici, detti nocicettori. Quando subiamo un’aggressione, di qualunque natura essa sia, i nocicettori si attivano inviando al nostro cervello una sensazione spiacevole di dolore. L’attivazione dei nocicettori e la conseguente sensazione di dolore è una reazione utile, di natura difensiva: il dolore ci informa che è in atto un’aggressione e che dobbiamo correre ai ripari se vogliamo evitare che il nostro corpo subisca dei danni strutturali troppo ingenti, che ne pregiudicherebbero la funzionalità.

Pupillo. Questo cosa c’entra con la nostra discussione?

Mentore. Ora che sai dell’esistenza dei nocicettori che determinano le nostre sensazioni di dolore, posso farti la seguente domanda: com’è riuscito quell’individuo ad attivare i tuoi nocicettori, non essendo nemmeno entrato in contatto con il tuo corpo?

Pupillo. Un bel mistero!

Mentore. Nessun mistero: lui non po’ avere attivato i tuoi nocicettori, dato che non ha aggredito te, bensì la tua autovettura. Tra l’altro, vorrei ricordarti che hai sperimentato la sensazione di dolore anche solo immaginando la scena.

Pupillo. Mi arrendo: se quell’individuo, reale o immaginario che sia, non mi ha toccato, allora per forza di cose non può essere lui il responsabile dell’attivazione dei miei nocicettori.

Mentore. Chi altro rimane?

Pupillo. Secondo te sarei stato io che, masochisticamente, mi sarei inferto quel dolore?

Mentore. In un certo senso sì.

Pupillo. Non capisco: se c’è dolore allora c’è aggressione. E se c’è aggressione per forza di cose devono esserci sia una vittima che un aggressore, vale a dire almeno due entità. Io però sono un’entità sola, e se escludo che quell’individuo sia in alcun modo responsabile delle mie sensazioni, rimango solo io a dover personificare simultaneamente entrambi i ruoli, sia quello di vittima che quello di aggressore. Com’è possibile?

Mentore. Ci sono due livelli possibili di analisi. Al primo livello tu hai perfettamente ragione: necessariamente devono essere presenti due entità, una che aggredisce e una che subisce l’aggressione. Ma al secondo livello di analisi si scopre che l’entità aggredita è essa stessa responsabile della propria aggressione.

Pupillo. Per quale ragione?

Mentore. Perché sceglie di farsi aggredire quando potrebbe evitarlo. In altre parole, è lei stessa la mandante della propria aggressione.

Pupillo. Al primo livello di analisi posso però sostenere che è stato quell’individuo ad aggredirmi, giusto?

Mentore. Pensavo ti fosse chiaro ormai che non può averti aggredito in alcun modo, non avendoti nemmeno sfiorato. La sola entità che ha aggredito è la tua auto, graffiandola.

Pupillo. Allora spiegami, al primo livello di analisi chi sarebbe il famigerato aggressore?

Mentore. La realtà.

Pupillo. La realtà mi avrebbe aggredito?

Mentore. In un certo senso sì. Sia ben chiaro, non ce l’ha con te a livello personale.

Pupillo. Perché allora lo ha fatto?

Mentore. Perché tu l’hai provocata.

Pupillo. Mi stai prendendo in giro?

Mentore. Mai stato più serio. La realtà crede fermamente nella terza legge di Newton. Te la ricordi?

Pupillo. Se la memoria non m’inganna, la terza legge di Newton afferma che: se un’entità A agisce su un’altra entità B, allora A subisce a sua volta un’azione uguale e contraria da parte di B. Qualcosa del tipo: se io spingo te tu reagisci spingendo me!

Mentore. Esatto, e infatti la terza legge di Newton è detta anche legge di azione e reazione.

Pupillo. Se ho capito bene, la realtà mi avrebbe aggredito per reazione a una mia azione. Ma cosa avrei fatto di così terribile?

Mentore. Hai tentato di negarla, affermando che dovrebbe essere diversa da ciò che è. Ma la realtà non può essere diversa da ciò che è. Per questo non possiamo negarla, sebbene a volte tentiamo di farlo.

Pupillo. Ancora non capisco: quando esattamente avrei tentato di negare la realtà?

Mentore. Lo hai fatto nel momento in cui hai creduto alla tua falsa teoria in cui gli esseri umani non dovrebbero graffiare le automobili altrui. La realtà, come tu stesso hai ammesso, non concorda con questa tua teoria, che costituisce un tentativo bell’e buono di negarla.

Pupillo. Ho l’impressione che la realtà sia troppo suscettibile: la mia era solo una teoria!

Mentore. La realtà non è suscettibile: la realtà semplicemente è, e non può fare altro che essere ciò che è! Se lanci un piatto di porcellana contro un muro di cemento il piatto si disintegrerà, a causa della forza di reazione esercitata dal muro. Diresti per questo che il muro è troppo suscettibile?

Pupillo. Ho afferrato il concetto: attraverso la mia teoria ho tentato di negare la realtà, e a causa della terza legge di Newton la realtà ha reagito.

Mentore. Ha reagito negando a sua volta la tua teoria, ossia falsificandola.

Pupillo. Perché l’effetto di questa sua reazione è così doloroso?

Mentore. La tua teoria è parte di te. Tu sei ciò in cui credi, ricordi?

Pupillo. Dunque la realtà reagirebbe negando ciò che sono?

Mentore. Non tutto ciò che sei, solo quella parte di te che tenta di negare la realtà.

Pupillo. Come un piatto di porcellana che tenta di negare la solidità di un muro di cemento?

Mentore. Esattamente. Ma il piatto non può sperare di farcela: la porcellana non può penetrare il cemento!

Pupillo. Però affinché vi sia dolore è necessario un contatto con l’aggressore.

Mentore. Tu e la realtà, infatti, siete sempre in contatto intimo. Se così non fosse non ne faresti parte.

Pupillo. Se ho capito bene, quando adotto una falsa teoria della realtà (ad esempio affermando che nessuno dovrebbe graffiare la mia auto) sono come un piatto di porcellana che si crede più duro di un muro di cemento. Così, quando la realtà si scontra con la mia teoria, ne produce lo sbriciolamento, con la conseguente attivazione dei miei nocicettori. Come se il mio corpo fosse letteralmente costituito da tutte le mie teorie della realtà.

Mentore. Non “come se”: è proprio così!

Pupillo. Ma la mia era solo una metafora!

Mentore. È molto più di una metafora: hai mai sentito parlare dell’interazione mente-corpo?

Pupillo. Credo di sì: la mia mente percepisce la realtà per mezzo del mio corpo. Ad esempio, quando il mio corpo viene aggredito chi percepisce il dolore, in ultima analisi, è la mia mente.

Mentore. Le cose vanno anche nell’altro senso: quando la tua mente viene aggredita, il tuo corpo si ferisce. I pensieri, soprattutto quelli in cui credi, sono entità energetiche in grado di interagire con il tuo corpo. Quando provochi la realtà per mezzo di un pensiero che tenta di negarla, la realtà reagisce “aggredendo” quel pensiero, dunque la tua mente. E a causa dell’interazione mente-corpo (mediata in parte dal cervello) la cosa si ripercuote sul piano fisico.

Pupillo. Ecco perché dicono che pensare in modo negativo non sia cosa tanto salutare.

Mentore. I pensieri negativi sono spesso falsi, e prima o poi subiscono la reazione avversa della realtà.

Pupillo. Se ho capito bene, è come se il nostro corpo non potesse fare la differenza tra realtà fisica e realtà immaginata dalla nostra mente.

Mentore. Se immagini di mordere un limone, cosa accade alle tue ghiandole salivari?

Pupillo. Si attivano come se stessi mordendo un limone vero!

Mentore. Proprio così.

Pupillo. Ma se tra mente e corpo c’è una connessione così intima, non sarebbe più corretto affermare che sono una cosa sola?

Mentore. È quello che ho appena affermato: il nostro corpo e la nostra mente sono aspetti inseparabili di un’unica entità.

Pupillo. E questo strano “corpomente” tu come lo chiameresti?

Mentore. Semplicemente, mente, o come hai suggerito tu, corpomente.

Pupillo. In altre parole, mi stai dicendo che noi esseri umani saremmo entità essenzialmente di natura mentale.

Mentore. Non solo noi esseri umani: ogni essere vivente.

Pupillo. Anche un microbo?

Mentore. Anche lui.

Pupillo. Ma per possedere una mente non bisogna avere un cervello?

Mentore. Non necessariamente. La mente, intesa come sede della cognizione, vale a dire del processo della conoscenza, può essere assimilata al processo stesso della vita e della sua evoluzione. In tal senso, la mente non dipende dall’esistenza di un cervello, essendo la percezione sufficiente a conferire anche a un semplice microbo la capacità della cognizione, sebbene a un livello molto elementare. Secondo questo punto di vista, noi esseri umani, e più generalmente tutti gli esseri viventi, siamo entità puramente cognitive, mentali, la cui struttura corporea non è altro che il supporto per mezzo del quale rendiamo manifesto e tangibile il contenuto delle nostre teorie della realtà.

Pupillo. Più che organismi viventi saremmo allora delle strane teorie viventi della realtà!

Mentore. In un ceto senso sì. Non dimenticarti però del secondo livello di analisi.

Pupillo. Che intendi dire?

Mentore. Al primo livello abbiamo osservato che la realtà aggredisce, se così si può dire, le nostre false teorie della realtà, un processo che in scienza è detto di falsificazione. Al primo livello di analisi ci sono dunque due entità: la realtà che ti aggredisce e tu che vieni aggredito. Questa descrizione è però solo parzialmente corretta, poiché a un’analisi più attenta scopriamo che la scelta delle teorie con le quali ci identifichiamo è una nostra responsabilità. Se scegliamo di identificarci con delle false teorie non possiamo poi ritenere la realtà responsabile della sua reazione, apparentemente aggressiva, proprio come non possiamo ritenere un muro responsabile del nostro ematoma se ci andiamo a sbattere contro. Quindi, al secondo livello di analisi, scopriamo che vittima e aggressore sono la medesima entità. Per di più, se è vero che abbiamo totale libertà di scelta su quali teorie adottare, ciò significa che non siamo riducibili alla mera somma delle nostre teorie, ma che siamo molto di più. Assimileresti uno scultore alle sue statue?

Pupillo. Certo che no, uno scultore è l’autore delle sue statue.

Mentore. E noi, non siamo forse gli autori delle nostre teorie, e più generalmente dei nostri processi di pensiero?

Pupillo. Be’ sì, ovviamente.

Mentore. Concorderai allora che non è totalmente esatto affermare che siamo delle teorie viventi della realtà, poiché di fatto siamo molto di più: siamo gli artefici delle nostre teorie, ne siamo i costruttori. Fa una bella differenza, non credi?

Pupillo. Non siamo statue bensì scultori!

Mentore. Sì, creatori onnipotenti di realtà interiori, nelle quali integriamo, e per mezzo delle quali esprimiamo, la nostra conoscenza della realtà.

Pupillo. Dunque nemmeno possiamo dire di essere riducibili a delle mere entità mentali?

Mentore. Possediamo una mente, o un corpomente se preferisci, ma non siamo una mente.

Pupillo. Cosa siamo allora?

Mentore. Qualcosa di più.

Pupillo. E quel qualcosa ha per caso un nome?

Mentore. Possiamo chiamare quel qualcosa coscienza. Il termine coscienza deriva dal latino cosciente, che è la composizione di con (avere, possedere) e scire (conoscenza). Secondo l’etimologia della parola, una coscienza è dunque un essere (nel senso di un soggetto) dotato di conoscenza.

Pupillo. Conoscenza di che cosa?

Mentore. Della realtà, sia interiore che esteriore. Una conoscenza in continua evoluzione, resa manifesta tramite la costruzione di teorie operative della realtà. Teorie che la coscienza elabora sulla base della propria esperienza, e in seguito integra nella struttura intima del proprio corpomente.

Pupillo. Il nostro corpo, o corpomente, o mente, a seconda di come vogliamo chiamarlo, sarebbe dunque una sorta di memoria ambulante, dinamica, nella quale noi coscienze integriamo sotto forma di teorie la nostra esperienza del reale.

Mentore. Proprio così. E nella misura in cui ampliamo, approfondiamo e affiniamo la nostra esperienza-conoscenza della realtà, instancabilmente riscriviamo la nostra memoria, rimpiazzando le teorie obsolete con teorie più avanzate. Un processo detto di evoluzione, o più precisamente di evoluzione della coscienza.

Per maggiori informazioni:

Anche gli scienziati soffrono. Dialogo sulla realtà. Un mentore e il suo pupillo s’interrogano sulla natura del nostro rapporto con la realtà, evidenziando l’umana tendenza a negare ciò-che-è, e creare così il senso di impotenza e la miseria esistenziale. Questo li porta ad esaminare quello che sembra essere l’unico metodo da seguire per migliorare tale condizione, e rendere obsoleto il triste meccanismo evolutivo della sofferenza: un metodo di natura critica, scientifica, che si fonda sul potente meccanismo della realtà specchio; poiché quando guardiamo fuori vediamo primariamente dentro, quando osserviamo la realtà stiamo primariamente osservando le nostre teorie della realtà. È sufficiente allora rovesciare la nostra visione per poter identificare l’errore, la falsa credenza, e lasciarla poi andare, o semplicemente correggerla, aprendoci così alle gioie infinite del paradiso, che non è chissà dove, ma nel nostro qui-e-ora, se solo ci arrendiamo al ritmo della vita, alla bellezza, all’amore, alla pace, che permeano ogni cosa. Dacché tutto si ridurrebbe a questo, a una semplice scelta: la scelta di abbandonare la falsità e tornare a casa, nella realtà. Una realtà dove ogni coscienza partecipatrice ha un suo posto speciale, in qualità di entità puramente creatrice, completa, perfetta.

Lulu edizioni: versione stampata; versione e-book

Originally published at www.zenon.it on March 15, 2014.

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