Cosa abbiamo imparato quest’anno

meduse
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11 min readDec 24, 2021

Il 2021 secondo meduse

È stato un anno impegnativo da diversi punti di vista ma non per questo privo di spunti ed occasioni di crescita personale e collettiva. Abbiamo, quindi, pensato di fare ai medusiani una domanda semplice solo all’apparenza: “Cosa hai imparato quest’anno?”.

Questo è quello che ci hanno risposto; un po’ meduse wrapped, un po’ pensierini prima delle vacanze.

Elena Gabei — Designer

Una risata ci salverà

Il 2021 è stato un anno particolare perchè ha consolidato la nuova strategia di lavoro da casa a tempo pieno, situazione iniziata forzatamente nel 2020, ma che durante quest’anno ha assunto la sua nuova veste “libera” da lockdown, almeno per ora — incrociamo le dita fino al 31 Dicembre.

In questa situazione è emerso chiaramente come lavorare dalla stessa città o persino nazione non fosse più così essenziale per raggiungere un buon grado di collaborazione all’interno del team. L’unico modo per lavorare serenamente è sfruttare e migliorare tutte quelle soft skills tanto care al team HR.

Quindi ho imparato che spesso una semplice battuta per allentare la pressione può salvare ore di lavoro.

Gabriele Brombin — Art Director

Oltre la progettazione

Trovo sempre più difficile colmare lo scarto fra la narrazione che il settore fa di sé, con le sue buzzwords e il suo slancio giustamente aspirazionale, e l’attività progettuale concreta giorno per giorno. La mente ondeggia fra proiezioni di futuri totalmente integrati e automatizzati e scogli realizzativi e logistici dei più banali.

Nell’attesa dell’Apocalisse per mano delle IA, che supereranno con slancio queste umane piccolezze, la figura del designer che voglia ottimizzare la sua efficacia deve sempre più liquefarsi e permeare con la propria ricerca di senso ogni fase del progetto, necessariamente disamorandosi del proprio piccolo output e facendosi trovare pronto e combattivo negli anfratti del pre-fatto, del non-specificato e del dato-per-scontato, le Origini di Tutti i Disastri.

Senza far proprio questo poco appariscente ma fondamentale ruolo di supporto il cliente non otterrà ciò di cui ha realmente bisogno, l’utente non avrà un’esperienza all’altezza, e alla fine anche il designer non trarrà soddisfazione dal risultato, al di fuori di quell’immacolato file Sketch conservato con cura tanatopratica nella cartella (locale) dei “Progetti Belli”.

Andrea Ferrari — Lead Designer

“Tell me why” 🎶

Se c’è qualcosa che ho imparato quest’anno, è l’importanza delle domande.

Che si tratti di test di user research, interviste con gli stakeholder, analisi funzionali, workshop di design thinking o semplicemente di una call con il cliente, le domande sono alla base della progettazione. Senza, non siamo in grado di capire i bisogni degli utenti (che tanto ci stanno a cuore) e di conseguenza risulta difficile progettare qualcosa che gli utenti ameranno.

Sebbene porre domande sia una delle cose più naturali del mondo, porre domande efficaci è tutta un’altra storia. Credo che ad ogni designer sia capitato di ritrovarsi alla fine di una fase di analisi con più interrogativi che risposte.

Dalle esperienze di quest’anno mi porto a casa due concetti molto semplici ma estremamente utili: primo, fai domande efficaci, aperte, a cui non sia possibile rispondere solo con sì o no (questa è la cosa più difficile, provateci e poi mi direte); devono essere quesiti brevi, con un obiettivo ben specifico e se possibile espressi in forma positiva (mettere a suo agio l’interlocutore non è mai sbagliato). Secondo, non fermarti alla prima risposta: per raggiungere il senso di ciò che si sta cercando vale la regola dei “5 perché”, scava con curiosità per arrivare alla radice reale del bisogno del tuo interlocutore: la prima risposta raramente è quella che ti serve.

Fabia Ciccone — Designer

Questione di tempo

Anno 2019.
Ore 7:00 sveglia. A seguire trucco, parrucco, colazione e preparazione della schiscetta.
Ore 8:30 fuori casa direzione ufficio. Quando va bene la 62 passa subito, altrimenti 20 minuti di camminata e passa la paura. E per fortuna che casa e ufficio sono abbastanza vicini.
Ore 9:00 caffè e via con il lavoro.
Ore 18:00 casca la penna.
Ore 18:30 allenamento.
Ore 22:00 esco dalla palestra, il mio ragazzo e alcuni amici mi aspettano al bar.
Ore 00:30 torniamo a casa, due chiacchiere, ci raccontiamo la giornata, guardiamo la serie tv del momento, cuocio il riso per il giorno dopo, lavo i piatti, programmo la lavatrice e stendo il bucato del giorno.
Ore 2:00 sonno profondo.

Ecco, nel 2021 ho imparato il valore del tempo. Il tempo da dedicare al lavoro, alle passioni, agli affetti, alla mente, alla vita.

Vanessa T. — Business Analyst

Soluzioni collettive a sfide epocali

“Pandemia” (“Covid-19”, “vaccini”, “area gialla”), “diritti civili” (“inclusione”, “comunità”, “black lives matter”, “omosessualità”, “transessualità”, “femminismo”, “eutanasia”), “sostenibilità” (“green”, “zero waste”, “consumismo”) “ e “investimenti” (“inflazione”, “token digitali”, “criptovalute”, “nft”, “social token”, “caso Gamestop”) sono state le parole che più hanno popolato i miei feed social nel 2021 e che, immagino, continuerò a trovare nel 2022.

Credo infatti rappresentino alcune delle sfide che dobbiamo ancora finire di affrontare, partendo da una soluzione individuale che poi riesca a diventare collettiva. La risposta collettiva è quella più importante, perché sarà il terreno su cui costruire le nostre future società, tra cui il Metaverso. Personalmente vorrei vedere la progettazione di ecosistemi fisici e digitali dove siano i comportamenti virtuosi a diventare virali, anche a prescindere da premi economici e altre ricompense.

Senza però partire per Utopia, ci sono già degli eventi o delle realtà testimoni di un moto in questa direzione, basti pensare al fenomeno del crowdfunding, o alla spinta della community digitale che ha avversato la speculazione di alcuni grossi fondi contro l’azienda Gamestop o a quella che ha riunito le persone americane a manifestare in piazza urlando “black lives matter” o, ancora, ai progetti di “Smart community” in cui sono le azioni collaborative e sostenibili ad essere il valore fondante.

C’è ancora molta strada da fare, certo, ma queste sono tappe più o meno importanti del percorso.

Davide Rossi — Head of Design

Abbracciare l’incertezza

Nel corso dell’anno siamo stati costantemente esposti a situazioni di diversa natura che sono mutate rapidamente così come le regole che ne conseguivano. Credo che, per essere un buon designer, sia fondamentale la capacità di riconoscere il cambiamento ed abbracciare l’incertezza.

Vuol dire essere consapevoli che le cose non funzioneranno per sempre come stanno funzionando adesso e vuol dire essere sempre pronti ad intercettare quello che succede intorno a noi allargando lo sguardo al di fuori della bolla del design. Perchè i piccoli o grandi cambiamenti che avvengono a livello globale finiscono sempre per condizionare il nostro lavoro.

Penso ovvimente a fatti eclatanti come la pandemia, che sta giocando un ruolo importante nello spingere verso la digitalizzazione di servizi fino a ieri fisici (come il rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione); ma anche a movimenti, che pur senza aver avuto un preciso momento dirompente, stanno plasmando una nuova sensibilità verso temi come l’accessibilità, l’inclusività e la sostenibilità, che un progettista non può ignorare.

Parte del nostro lavoro consiste nel tenere gli occhi aperti ed osservare il mondo che cambia.

Gabriele Mellera — Lead Motion Designer

Work from office

Quest’anno più che nel 2020 ho capito quanto fosse importante per me condividere la scrivania, la stanza, l’ufficio con qualcuno.

Quei momenti in cui mi impicciavo nel lavoro degli altri, e quelli in cui non si parlava di lavoro ma di cosa succedeva attorno a noi, adesso sono relegati ai minuti in cui qualcuno non si è ancora aggiunto alla call che poi quando arriva si comincia e non c’è più tempo.

Lavorare da casa è bellissimo e comodissimo per tutti, e poterlo fare ha reso la vita più facile a molti di noi, per questo non insisto se qualcuno decide di non venire in ufficio.

Sappiate però, care medusine e polipetti del mio cuore, che quando siamo assieme, sono un po’ più felice.

I video che faccio non vengono meglio (o peggio) se c’è qualcuno seduto accanto a me, ma di certo mi diverto di più mentre li faccio.

Alberto Ferro — Designer

101%

Durante quest’ultimo anno ho imparato che vale sempre la pena puntare al 100 + 1 per cento. O meglio: ho dovuto impararlo di nuovo.

Credo di non essere l’unico che durante una pandemia così iper-connessa ha visto i propri confini restringersi invece che aprirsi. E non parlo solo degli spostamenti. Che si tratti di accendere la webcam durante una call o di cercare nuove opportunità di lavoro, uscire fuori dalla propria bolla è vitale, ma non basta.

È necessario riservarsi del tempo alla ricerca di quel “di più”.

Clarissa Landucci — Project Manager

Credere in se stessi

Il 2021 mi ha fatto capire l’importanza di credere in se stessi.

In diverse occasioni mi sono trovata a sviluppare progetti sfidanti, accogliere nuove opportunità e promuovere nuove idee. L’ho provato sulla mia pelle, non dobbiamo essere solo dei “portavoce” di questi eventi, per raggiunge il risultato dobbiamo crederci, dobbiamo portarli avanti, soprattutto farli diventare nostri.

Tutto ciò sono riuscita a farlo SOLO quando ho imparato a credere in me stessa, quando mi sono data una chance e quando ho capito che la strada non fosse sbagliata nonostante ci siano stati errori di percorso.

Come dice Peter Pan “Io credo nelle fate. Lo giuro, lo giuro” perché ogni sorte che sembra già segnata può cambiare.

Roberta Viganò — Project Manager

Work-life balance nell’epoca delle call

“Mamma anche io da grande voglio lavorare con il computer e parlare con la gente tutto il giorno”… ecco come viene percepito il mio lavoro dopo quasi due anni smart working.

Effettivamente passo il 90% della giornata lavorativa in call, sia con i colleghi che con i clienti, e spesso arrivo alle 18:00 senza aver ancora iniziato a “lavorare”, allora presa dal senso di responsabilità continuo ad oltranza finché non penso di aver finito le attività programmate per la giornata… mentre mia figlia dall’altra parte della stanza mi aspetta per raccontarmi come è andata la giornata.

Lo Smart Working è stato fondamentale per affrontare l’emergenza Covid, ma ha assottigliato notevolmente il confine tra la sfera privata e quella lavorativa.

Quello che ho capito quest’anno è che dobbiamo imparare a dare valore al nostro tempo, fissando dei limiti tra lavoro e vita privata, vivendo con lucidità il presente, senza distrazioni, solo così si può dare la giusta importanza al nostro tempo e a quello delle altre persone.

Averlo capito non vuol dire essere riusciti a metterlo in pratica, infatti quest’anno ho collezionato numerose call andate più lunghe del previsto, riunioni seguite a metà perché nel frattempo rispondevo ad altre mail, telefonate infinite prima e dopo l’orario di lavoro, pranzi frugali con la famiglia sempre con un occhio alle mail o a teams… visto che siamo a fine anno ho il proposito perfetto per il 2022: cercare di dare il giusto valore a ogni momento, per rispettare il mio tempo e quello degli altri.

Giada Casella — Designer

La comunicazione è tutto

Negli ultimi due anni la nostre abilità comunicative e di interazione sono state messe a dura prova dalla situazione emergenziale in cui ci siamo ritrovati improvvisamente. Nel 2021, in particolare, mi sono ritrovata a interfacciarmi con contesti e situazioni che richiedessero un’interazione più stretta, personale e chiara.

Quando pensiamo alla parola “comunicazione” all’interno del nostro settore, la nostra mente tende ad associarla quasi immediatamente a termini “tecnici” quali ad esempio il tone of voice o il look & feel. Tendiamo spesso a dimenticare — soprattutto in quelle situazioni di stress e ansia che tutti abbiamo avuto modo di provare — che tra le mille sfaccettature che la comunicazione si porta dietro esiste anche quella interpersonale.

Le occasioni di interagire con altre persone all’interno di un contesto professionale sono sempre molte: in riunione con il cliente, all’interno di un workshop con persone aventi ruoli e background diversi dai nostri, ma anche in call, o in presenza, con colleghi di livello professionale, ruolo e persino nazionalità diverse.

Mai come quest’anno ho ragionato sull’importanza di ascoltare le opinioni e le idee di tutti, di accettarle e valutarle attentamente per raggiungere uno scopo che è spesso comune (pensiamo alla buona riuscita di un progetto, ad esempio), di comunicare in modo tempestivo e completo tutte le informazioni ai colleghi che verranno dopo di noi (l’esempio più lampante qui è sicuramente il passaggio di materiale tra designer e sviluppatori) ma anche di esprimere in modo corretto feedback e pareri più o meno personali in modo che questi possano fungere da boost per realizzare qualcosa di valore piuttosto che fermare la creatività e il benessere del team.

E infine, ho imparato che il lost in translation è un nemico da non sottovalutare.

Nicola Brignoli — Motion Designer

Technology is the answer, but what was the question?

Negli ultimi anni abbiamo sperimentato un cambiamento di tecnologie senza precedenti, e siamo stati in grado di implementare nel nostro workflow strumenti di collaborazione che fino a qualche tempo fa erano solo immaginazione. O forse semplicemente non ci servivano.

Inoltre sempre più spesso, anche come designer, usufruiamo di risorse aperte e condivise. Credo che questo sia un punto di convergenza importantissimo per poter dare priorità ad una buona progettazione ed evitare tecnicismi ed esercizi di stile.

Virginia Saracino — Designer

[Not] my job

C’è la UX e la UI, il brand e il design system, il backend e il frontend, il prototipo e lo user testing. Ma hanno un ordine definito? Dipende. E se sì, chi è responsabile di cosa? Anche qui, dipende.

Credo che partecipare attivamente a progetti ampi e con molti attori coinvolti mi stia insegnando ad affrontare realtà che prima, più comodamente, avrei definito “non di mia competenza”.

Quest’anno per me è stato importante iniziare a progettare in maniera più consapevole, sapendo riconoscere che ad ogni scelta apparentemente “di solo design” si concatenano una serie di decisioni su altri fronti: strategia, sviluppo, business etc.

È un concetto forse semplice ma che nella pratica mi ha fatto crescere ed imparare a cogliere l’importanza di partecipare a discussioni esterne al proprio ambito, individuando di volta in volta quando e con chi confrontarsi.

Riassumendo, in parole poverissime: ad ognuno il suo, è chiaro, ma ruoli e competenze non segnano confini.

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